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Il (OMISSIS) ha proposto appello, dolendosi, in particolare, che il Tribunale, pur non dubitando del contenuto diffamatorio della comunicazione, avesse ritenuto erroneamente sussistente, in favore dell’Istituto di credito, la causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto di cui all’articolo 51 c.p..
La Cassa si e’ costituita chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte di Venezia, con la sentenza oggetto dell’odierno gravame, ha accolto l’impugnazione ed ha condannato l’istituto di credito cooperativo al risarcimento del danno non patrimoniale richiesto dal (OMISSIS) nella misura di Euro 50.000,00 equitativamente determinata, respingendo le pretese relative al danno patrimoniale in quanto rimaste indimostrate.
Con il ricorso in esame, la (OMISSIS) ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata affidandosi a tre motivi di gravame, illustrati da memorie ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1.
Non e’ stato presentato controricorso dall’intimato.
Il P.G. ha presentato conclusioni scritte.
2. Considerato, in diritto, che:
il ricorso in esame e’ fondato su tre motivi.
Con il primo motivo, riferendosi all’ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’Istituto di credito lamenta che la Corte d’Appello aveva omesso di valutare fatti discussi dalle parti e decisivi per la soluzione della controversia.
In particolare, si duole che non era stato esaminato:
1) l’esplicito riconoscimento, da parte del (OMISSIS) in data 13.4.2000, dell’avvenuta esecuzione di movimenti di vendita di JPY, operazione foriera di gravi perdite per i bilanci della Cassa ed eseguiti in autonomia senza alcun preavviso alla dirigenza aziendale (doc. 6), oltre all’ammissione di pregresse operazioni errate, ed in particolare di cinque movimenti eseguiti per un disguido di propria iniziativa ed in violazione dei limiti dello statuto;
2) il riconoscimento, in data 27.3.2000, da parte dello stesso dipendente, della falsificazione di dati di bilancio avvenuta attraverso l’annotazione di scritture di rettifica finalizzate a non contabilizzare le perdite in cambi maturate (doc. 3);
3) il riconoscimento espresso del (OMISSIS) di aver abusato della fiducia dei dirigenti (doc. 3);
4) l’ammissione del dipendente, contenuta nell’atto di citazione del giudizio d’appello in data 2.3.2007, di aver dato le dimissioni dopo aver ricevuto la lettera di circostanziata contestazione degli addebiti in data 30.3.2000 “a norma e per gli effetti di cui all’articolo 87 del vigente CCNL”.
Deduce, al riguardo, che tali atti erano decisivi per escludere che fosse stata effettuata un’operazione denigratoria nei confronti dell’ex dipendente, visto che il contenuto della comunicazione oggetto della richiesta risarcitoria (“Oggetto: Comunicazione. Ritengo di far cosa gradita nel portare a vs conoscenza che l’ex dipendente di questa Cassa, che sta girando in questi giorni per le vostre case per proporre prodotti di altro istituto, e’ il medesimo dipendente che, com’e’ ben noto da tempo, ha causato pesanti perdite alla nostra Cassa. Il risparmio e’ una cosa seria e va gestita con competenza e professionalita’ e pertanto e’ quanto mai opportuno affidarlo a persone altrettanto competenti e professionalmente preparate”) rappresentava fatti corrispondenti alla realta’ e si riferiva a condotte che i clienti della banca avevano il diritto e l’interesse di conoscere, e rispetto alle quali la Cassa aveva un dovere di informazione nei loro confronti.
Il motivo e’ infondato.
La Corte d’appello di Venezia, infatti, nell’accogliere l’impugnazione proposta, ha escluso che sussistesse la scriminante dell’esercizio della liberta’ di pensiero, riconducendo la comunicazione contestata al “presumibile fine di mettere l’ex dipendente in cattiva luce di fronte ai clienti “perche’ passato alla concorrenza” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata): ma, nel passaggio motivazionale precedente a tale affermazione – che verra’ analizzato con il secondo motivo da espressamente atto di aver esaminato, sia pur in modo complessivo, tutte le produzioni della parte convenuta, considerandole, con espresso riferimento “alle dichiarazioni a suo tempo rilasciate dal (OMISSIS) in cui ammetteva nella sostanza le sue responsabilita’”, alla stregua di ” esigui elementi di valutazione” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
In tal modo la Corte dimostra di aver valutato tutta la documentazione prodotta che, del resto, ha per oggetto fatti pacifici e non contestati neanche dal (OMISSIS): ragione per cui la prima censura deve essere respinta.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, richiamando l’articolo 360 c.p., n 2, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 595 c.p., dell’articolo 2043 c.c., nonche’ dell’articolo 51 c.p. e dell’articolo 21 Cost..
Lamenta, in particolare, che la Corte d’Appello aveva omesso di considerare la sussistenza dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica che, consistendo in una forma di manifestazione del pensiero, doveva essere tutelato in quanto era stato correttamente esercitato: al riguardo, richiamando i reiterati arresti di questa Corte sulla “continenza” nella fattispecie, deduceva che la comunicazione oggetto di contestazione era espressione di un ragionato dissenso rispetto a condotte censurabili dell’ex dipendente che erano state da lui pacificamente poste in essere.
Il motivo e’ fondato anche se la censura e’ frutto di un evidente lapsus calami, in quanto,avendo per oggetto la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto specificamente richiamate, deve essere ricondotto all’articolo 360, n 3 (e non all’articolo 360 c.p.c., n. 2).
Si osserva, infatti, che il tenore della comunicazione – sopra letteralmente riportato – e’ descrittivo ma impersonale ed ha come premessa fatti veri: la Corte d’appello, nell’escludere che la Cassa, attraverso la nota informativa oggetto di contestazione, abbia esercitato il diritto alla libera manifestazione del pensiero in chiave critica (e possa conseguentemente invocare l’esimente di cui all’articolo 51 c.p.), riconduce la comunicazione a “presumibili ragioni di competizione sul mercato con il gruppo concorrente”, affermando – in modo apodittico e privo di collegamento a fatti concreti dai quali la presunzione potesse essere desunta – che la finalita’ informativa della comunicazione nulla avesse a che vedere con l’interesse pubblico in ordine alla corretta raccolta di fondi per investimenti finanziari.
La Corte aggiunge, senza alcuno specifico riferimento alle emergenze processuali, che la finalita’ della nota scritta era solo strumentale all’esclusivo interesse della Banca di addossare le perdite subite all’operato dell’ex dipendente, cosi’ squalificandolo di fronte a tutti e “facendogli intorno terra bruciata fra i risparmiatori della zona” (cfr. pag. 8 sentenza impugnata): in tal modo, non spiegando sulla base di quali elementi sia giunta ad escludere l’esimente invocata dalla Cassa e riconosciuta dal primo giudice e facendo prevalere il significato denigratorio della comunicazione sull’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito strettamente connesso con i doveri di protezione del risparmio propri dell’istituto di credito, la Corte d’appello di Venezia mostra di non tener conto dei piu’ recenti arresti di legittimita’ sull’applicazione ed interpretazione dell’articolo 51 c.p.: si richiama, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte che ha avuto modo di chiarire entro quale perimetro possa estendersi il diritto di critica (cfr. Cass. 4545/2012; Cass. 7274/2013) e con la quale viene costantemente valorizzato l’interesse al racconto, ravvisato anche quando non si tratti di interesse della generalita’ dei cittadini ma di quello della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione.
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