Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 1 febbraio 2018, n. 2483. Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere oggettivamente prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze

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Cio’ precisato, le doglianze di parte ricorrente sono da esaminare in ragione dell’evocata fattispecie legale di responsabilita’ ex articolo 2043 c.c..

2.2. – In tale prospettiva, esse colgono nel segno la’ dove evidenziano la mancata applicazione degli articoli 40 e 41 c.p., e articolo 1227, comma 1 (come evocato nella sostanza delle argomentazioni, a prescindere da taluni incongruenti richiami al secondo comma della stessa norma: cfr., in tale ottica, Cass., 25 febbraio 2014, n. 4439), c.c., in relazione alla condotta stessa della minore danneggiata, compiendo cosi’ il Tribunale una incompleta e non corretta operazione di sussunzione del “fatto” nell’alveo della fattispecie legale di riferimento, segnata dal combinato disposto dell’articolo 2043 c.c., e (per l’appunto) articoli 40 e 41 c.p., e articolo 1227 c.c., comma 1.

2.3. – Il tema implicato dallo scrutinio imposto dalle doglianze di parte ricorrente offre l’occasione per talune preliminari puntualizzazioni.

2.3.1. – Lo spettro di indagine e’, anzitutto, quello del rapporto di causalita’ materiale nell’ambito della responsabilita’ extracontrattuale (cfr., segnatamente, l’analisi di Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, nn. 576 e ss.), che muove dai principi penalistici, di cui agli articoli 40 e 41 c.p., in base alla c.d. teoria della condicio sine qua non (nel cui ambito operano al contempo i principi dell’equivalenza delle cause e della causalita’ efficiente), per poi giungere, in ambito civilistico, alla c.d. teoria della causalita’ adeguata o a quella similare della c.d. regolarita’ causale, per cui occorre dare rilievo solo alle serie causali che ex ante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile. In particolare, alla stregua della c.d. teoria della regolarita’ causale, la conseguenza normale imputabile sara’ quella che – secondo l’id quod plerumque accidit e, quindi, in base alla regolarita’ statistica o ad una probabilita’ apprezzabile ex ante (se non di vera e propria prognosi postuma) integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento (sia esso una condotta umana oppure no) originario, che ne costituisce l’antecedente necessario. Sicche’, il principio della regolarita’ causale, rapportato ad una valutazione ex ante e di carattere oggettivo, diviene la misura della relazione probabilistica in astratto (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra il criterio di imputazione – il comportamento nella responsabilita’ per colpa o l’evento generatore in quella oggettiva – del danno ed evento dannoso (nesso causale) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata.

2.3.2. – In tale contesto, anche il “fatto” del danneggiato (e, come si vedra’, anche se questi e’ incapace di intendere e volere) puo’ venire in rilievo (sia in ipotesi di responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., che di quella ex articolo 2051 c.c.) ai fini della verifica di sussistenza del nesso di causa tra condotta del danneggiante ed evento dannoso ed essere, quindi, sia fattore concorrente nella produzione del danno ex articolo 1227 c.c., comma 1, sia fattore idoneo – in base ad un ordine crescente di gravita’ – ad elidere il nesso eziologico anzidetto, in base ad un giudizio improntato al principio di regolarita’ causale (cfr. in termini analoghi anche Cass., 6 maggio 2015, n. 9009, in motivazione).

Del resto, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17152; Cass., 17 febbraio 2017, n. 4208), il fondamento stesso dell’articolo 1227 c.c., comma 1, non riposa sul c.d. principio di autoresponsabilita’, bensi’ trova ragione e applicazione nei principi della causalita’ e del funzionamento del nesso causale e la colpa alla quale la norma citata fa riferimento (e sul cui concetto e portata si avra’ modo di tornare piu’ avanti) e’ da intendersi non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perche’ il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all’articolo 2043 c.c.), bensi’ come requisito legale della rilevanza causale del comportamento del danneggiato, ovvero, come riconosce una dottrina, come criterio di selezione delle concause rilevanti ai fini della riduzione del risarcimento.

2.3.3. – Giova, difatti, osservare, in linea piu’ generale, che, proprio alla luce della previsione codicistica della limitazione del risarcimento in ragione di un concorso del proprio fatto colposo, risponde a criteri di ragionevole probabilita’ e quindi di causalita’ adeguata l’imposizione di un dovere di cautela in capo anche al danneggiato, cio’ trovando giustificazione altresi’ nel dovere di solidarieta’, previsto dall’articolo 2 Cost., di adozione di condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per gli altri in nome della reciprocita’ degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse contingenze con cui si venga a contatto.

In tal senso, del resto, gia’ si e’ statuito che la responsabilita’ civile per omissione puo’ scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano il compimento di una determinata attivita’ a tutela di un diritto altrui: principio affermato sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell’autore dell’illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno, ex articolo 1227 c.c., comma 1, (Cass., sez. un., 21 novembre 2011, n. 24406).

Un tale contemperamento risponde anche al canone di proporzionalita’ imposto dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle liberta’ fondamentali allorquando si coinvolga uno di tali diritti, quale quello alla vita (di cui all’articolo 2 della Convenzione) o alla salute (di cui, sia pure in maniera indiretta, all’articolo 8, commi 1 e 2, di quella): come gia’ affermato da questa Corte in tema di tutela del diritto alla vita (Cass., 22 settembre 2016, n. 18619), supera il controllo di conformita’ alla detta Convenzione il principio di diritto (affermato da Cass., 23 maggio 2014, n. 11532) secondo cui “la persona che, pur capace di intendere e di volere, si esponga volontariamente ad un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto”.

In particolare, un detto principio, nella sua astrattezza, deve dirsi contemperare adeguatamente l’esigenza – che impone l’obbligo di adottare ogni precauzione per scongiurare pericoli per la vita (e l’incolumita’ o la salute) degli individui – di tutela del diritto alla vita da parte dello Stato e dei pubblici poteri (con conclusione che si estende agevolmente alla tutela del diritto alla salute od all’incolumita’ in genere e, per di piu’, ai rapporti tra privati, anche a questi applicandosi la Convenzione: da ultimo, Corte EDU 20 dicembre 2016, Ljaskaj c/ Croazia), con quella – altrettanto imperiosa e dettata da elementari esigenze di ragionevolezza – di non accollare alla collettivita’ – o comunque immotivatamente al prossimo – le conseguenze dannose, soprattutto di natura economica, che derivino da condotte che siano qualificate come assurte in via esclusiva a volontaria e consapevole esposizione al rischio serio o grave per la vita da parte della potenziale vittima e quindi unica causa del danno da questa patito, quand’anche al bene primario della vita stessa.

E si e’ concluso che, per il margine di apprezzamento normalmente riconosciuto al singolo Stato nell’assicurare la salvaguardia dei diritti fondamentali, la tutela del diritto alla vita – e quindi anche di quello all’incolumita’ e alla salute – da parte dei pubblici poteri – e nei rapporti interprivati – non puo’ spingersi al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta volontaria, qualificata unica causa della lesione a quel diritto, del titolare di quel diritto.

2.3.4. – In tale quadro giustificativo, va allora ribadito che la condotta della vittima puo’ anche assumere efficacia causale esclusiva, ma soltanto ove possa qualificarsi come estranea al novero delle possibilita’ fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo in caso contrario poter rilevare ai fini del concorso nella causazione dell’evento, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1; e, se la disattenzione e’ sempre prevedibile come evenienza, la stessa cessa di esserlo – ed elide il nesso causale tra condotta del danneggiante e evento di danno – quando risponde alla inottemperanza ad un invece prevedibile dovere di cautela da parte del danneggiato in rapporto alle circostanze del caso concreto.

2.4. – Cio’ premesso, il giudice di secondo grado – senza, peraltro, evidenziare di aver compiuto una valutazione in concreto sullo stato di capacita’ di intendere e di volere della minore (Cass., 3 dicembre 2004, n. 22776) – ha messo unicamente in rilievo (in base all’accertamento di fatto ad essa riservato) che la caduta della stessa (OMISSIS) (di anni nove) nel burrone posto nelle vicinanze della strada (“piu’ di 5 mt.”: p. 7 della sentenza di appello) sulla quale la stessa era intenta a giocare “con il fratellino nei pressi dell’abitazione dei nonni in orario pomeridiano” non potesse ascriversi “a difetto di vigilanza da parte dei genitori”, non essendo un evento “di per se’ prevedibile (ed evitabile) utilizzando la normale diligenza”, cosi’ da non potersi ravvisare “un’efficacia causale sull’evento ne’ un concorso di colpa, rilevante ai sensi dell’articolo 1227 c.c., degli adulti tenuti alla vigilanza sulla bambina” (p. 8 della sentenza di appello).

2.5. – Opinando in tal modo, la Corte territoriale ha erroneamente concentrato il giudizio esclusivamente sulla possibile responsabilita’ concorrente, nell’illecito ascritto al Comune convenuto, degli adulti tenuti alla vigilanza della minore, tralasciando ogni indagine sulla questione davvero rilevante ai fini della decisione, ossia quella dell’accertamento e della valutazione, in rapporto alla acclarata condotta omissiva colposa del Comune convenuto (non fatta oggetto di specifiche e congruenti censure in questa sede), dell’esistenza di una eventuale incidenza causale della condotta tenuta dalla stessa minore in ordine alla produzione dell’evento dannoso, in termini di concorso colposo nella sua verificazione ovvero anche di elisione stessa del nesso causale.

2.6. – Il giudizio di responsabilita’ concorrente degli adulti “vigilanti” era, infatti, irrilevante, poiche’, nella specie, viene in rilievo un evento di danno subito dalla minore di eta’ in conseguenza del fatto illecito altrui e non un illecito dalla stessa minore commesso in danno di terzi e tale, dunque, nella ricorrenza dei rispettivi presupposti, da rendere immediatamente applicabile la disciplina dell’articolo 2047 c.c., o dell’articolo 2048 c.c..

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