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4.32. – Un tale contemperamento risponde anche al canone di proporzionalita’ imposto dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle liberta’ fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata – in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – con L. 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955) allorquando si coinvolga uno di tali diritti, quale quello alla vita (di cui all’articolo 2) o alla salute (di cui, sia pure in maniera indiretta, all’articolo 8, commi 1 e 2,): come gia’ affermato da questa Corte in tema di tutela del diritto alla vita (Cass. ord. 22/09/2016, n. 18619), supera il controllo di conformita’ alla detta Convenzione il principio di diritto (affermato da Cass. 23/05/2014, n. 11532) secondo cui “la persona che, pur capace di intendere e di volere, si esponga volontariamente ad un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto”.
4.33. – In particolare, un detto principio, nella sua astrattezza, deve dirsi contemperare adeguatamente l’esigenza di tutela del diritto alla vita da parte dello Stato e dei pubblici poteri (con conclusione che si estende agevolmente alla tutela del diritto alla salute od all’incolumita’ in genere e, per di piu’, ai rapporti tra privati, anche a questi applicandosi la Convenzione: da ultimo, Corte EDU 20/12/2016, Ljaskaj c/ Croazia), con quella – altrettanto imperiosa e dettata da elementari esigenze di ragionevolezza – di non accollare alla collettivita’ – o comunque immotivatamente al prossimo – le conseguenze dannose, soprattutto di natura economica (e quindi tutelate dall’articolo 1 del primo protocollo aggiunto alla richiamata Convenzione europea), che derivino da condotte che siano qualificate come assurte in via esclusiva a volontaria e consapevole esposizione al rischio serio o grave per la vita da parte della potenziale vittima e quindi unica causa del danno da questa patito, quand’anche al bene primario della vita stessa.
4.34. – E si e’ concluso che, per il margine di apprezzamento normalmente riconosciuto al singolo Stato nell’assicurare la salvaguardia dei diritti fondamentali, la tutela del diritto alla vita – e quindi anche di quello all’incolumita’ e alla salute – da parte dei pubblici poteri – e nei rapporti interprivati – non puo’ spingersi al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta volontaria, qualificata unica causa della lesione a quel diritto, del titolare di quel diritto.
4.35. – Ne consegue che, quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione (squisitamente di merito), che va compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende sempre un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela: e quando manchi l’intrinseca pericolosita’ della cosa e le esatte condizioni di queste siano percepibili in quanto tale, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenuto integrato il caso fortuito (in termini sostanzialmente analoghi: Cass. 05/12/2013, n. 28616).
4.36. – Pertanto, ove la condotta del danneggiato assurga, per l’intensita’ del rapporto con la produzione dell’evento, al rango di causa esclusiva dell’evento e del quale la cosa abbia costituito la mera occasione, viene meno appunto il nesso causale tra la cosa custodita e quest’ultimo e la fattispecie non puo’ piu’ essere sussunta entro il paradigma dell’articolo 2051 c.c., anche quando la condotta possa essere stata prevista o sia stata comunque prevedibile, ma esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarita’ causale.
4.37. – In caso di rapporto via via meno intenso, ferma allora la responsabilita’ del custode in ragione della sussistenza (nel senso di non riuscita elisione) del nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa del danneggiato rilevera’ ai fini del primo comma dell’articolo 1227 c.c., sulla base di una valutazione anche ufficiosa.
4.38. – Gia’ in tale senso, del resto, la richiamata Cass. 29/07/2016, n. 15761, ha ribadito il principio (di cui a Cass. 22/03/2011, n. 6550) che il custode si presume responsabile, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., dei danni riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione stessa della cosa custodita e delle sue pertinenze, potendo su tale responsabilita’ influire la condotta della vittima, la quale, pero’, assume efficacia causale esclusiva, soltanto ove possa qualificarsi come estranea al novero delle possibilita’ fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo in caso contrario rilevare ai fini del concorso nella causazione dell’evento, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1; e, se la disattenzione e’ sempre prevedibile come evenienza, la stessa cessa di esserlo – ed elide il nesso causale con la cosa custodita – quando risponde alla inottemperanza ad un invece prevedibile dovere di cautela da parte del danneggiato in rapporto alle circostanze del caso concreto.
4.39. – In definitiva, i principi di diritto da applicare alla fattispecie possono cosi’ ricostruirsi:
a) “l’articolo 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilita’ che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicche’ incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosita’ o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”;
b) “la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’articolo 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacita’ di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso”;
c) “il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, e’ connotato da imprevedibilita’ ed inevitabilita’, da intendersi pero’ da un punto di vista oggettivo e della regolarita’ causale (o della causalita’ adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere”;
d) “il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, e’ connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa – dell’articolo 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarieta’ espresso dall’articolo 2 Cost.. Pertanto, quanto piu’ la situazione di possibile danno e’ suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto piu’ incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benche’ astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarita’ causale”.
5. – Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, nella sentenza impugnata, non ha fatto buon governo del principio di diritto sub § 4.39, lettera d), anche alla luce delle precisazioni di cui ai §§ 4.17., 4.20. e 4.21. (che precedono).
5.1. – La giurisprudenza di questa Corte, in relazione agli eventi naturali – e, segnatamente, alle precipitazioni atmosferiche – dotati di un’efficacia di tale intensita’ da costituire la causa da sola sufficiente a determinare l’evento dannoso, ha affermato, gia’ in epoca ormai risalente e con orientamento stabile, che la loro riconducibilita’ all’ipotesi di “caso fortuito”, di cui (anche, ma non solo) alla fattispecie legale disciplinata dall’articolo 2051 c.c., e’ condizionata dal possesso dei caratteri dell’eccezionalita’ e della imprevedibilita’ (tra le altre, Cass. 21/01/1987, n. 522; Cass. 11/05/1991, n. 5267; Cass. 22/05/1998, n. 5133; Cass. 26/01/1999, n. 674; Cass. 09/03/2010, n. 5658; Cass. 17/12/2014, n. 26545; Cass. 24/09/2015, n. 18877; Cass. 24/03/2016, n. 5877; Cass. 28/07/2017, n. 18856), mentre quello della inevitabilita’ rimane intrinseco al fatto di essere evento atmosferico (cfr. Cass. n. 25837 del 2017, cit.).
La necessaria compresenza degli anzidetti caratteri del “fortuito”, siccome costituito anche dalle precipitazioni atmosferiche, e’ ben scolpita dalla citata Cass. n. 5267 del 1991 (richiamata anche da Cass. n. 26545 del 2014, cit.), secondo cui “per caso fortuito deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell’evento. Il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non e’, quindi sufficiente, di per se’ solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilita’ in base alla comune esperienza”.
Il senso delle affermazioni appena rammentate, dunque, si colloca pianamente nel solco tracciato in precedenza, la’ dove l’imprevedibilita’, alla stregua di un’indagine ex ante e di stampo oggettivo in base al principio di regolarita’ causale, “va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento”, mentre l’eccezionalita’ e’ da “identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come “normale”” (§ 4.17.).
Nell’ambito di tale contesto d’indagine e di valutazione circa la ricorrenza del “caso fortuito”, risulta, del pari, armonico il principio per cui, al fine di poter ascrivere le precipitazioni atmosferiche nell’anzidetta ipotesi di esclusione della responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c., “la distinzione tra “forte temporale”, “nubifragio” o “calamita’ naturale” non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma – in relazione alla intensita’ ed eccezionalita’ (in senso statistico) del fenomeno – presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso” (Cass. n. 522 del 1987, cit.).
In tale ottica, dunque, l’accertamento del “fortuito” rappresentato dall’evento naturale delle precipitazioni atmosferiche deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia.
5.2. – Giova, poi, ribadire, nel quadro della fattispecie legale di cui all’articolo 2051 c.c., l’estraneita’ all’ambito della predetta indagine, e, quindi, degli accertamenti e valutazioni successivi (riservati tutti al giudice del merito), dei profili inerenti alla colpa del custode (§ 4.19.) nella predisposizione di cautele (specifiche e/o generiche) atte a rendere la res idonea a non arrecare pregiudizio allo scopo.
Nella specie, il riferimento e’, quindi, al (buon) funzionamento sistema di smaltimento delle acque meteoriche predisposto dai convenuti, anche attraverso la pulizia e adeguata manutenzione dello stesso.
Sicche’, l’allegazione dello “stato” del sistema di smaltimento di dette acque, nella sua effettiva consistenza attualizzata al momento del sinistro, viene ad assumere rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” medesima e l’evento lesivo.
5.3. – Cio’ precisato, il Tribunale ha fondato il giudizio di eccezionalita’ ed imprevedibilita’ delle precipitazioni atmosferiche causative del danno lamentato dall’attrice – e quindi la riconduzione di esse nel “caso fortuito” ex articolo 2051 c.c. – sulla scorta della Delib. Giunta regionale Siciliana 15 febbraio 2010 e Delib. Giunta regionale Siciliana 28 ottobre 2010, che avevano dichiarato lo stato di calamita’ naturale a seguito, rispettivamente, degli eventi meteorici verificatesi nei territori delle province di Messina e di Palermo nel settembre 2009-febbraio 2010 e, poi, nei giorni 18, 19 e 20 ottobre 2010.
Tuttavia, proprio la portata delle predette delibere (il cui contenuto e’ precisato in ricorso ed esibito dalla stessa sentenza impugnata) – nelle quali si fa riferimento a “piogge, talora intense, altre volte con elevati valori cumulati su lunghi periodi” o anche a “piogge prolungate”, in un territorio non certo circoscritto e delimitato puntualmente, quello delle province di Palermo e Messina – da’ ragione dell’errore di sussunzione commesso da giudice del merito (con la riconduzione nell’ambito della fattispecie legale di un fatto ad essa estraneo), non potendosi ravvisare nelle precipitazioni appena descritte i caratteri, innanzi rammentati, della eccezionalita’ e, tantomeno, della imprevedibilita’, connotanti il “caso fortuito” di cui all’articolo 2051 c.c., da accertarsi, come detto, in base ad elementi concreti e specifici, tenuto conto (anzitutto) dei dati statistici-pluviometrici della zona interessata.
Del resto, concorre a corroborare siffatta conclusione anche la circostanza che, secondo quanto declinato dalle predette delibere giuntali, gli “eventi calamitosi” (fondanti le declaratorie dello stato di “calamita’ naturale”) non trovano la propria eziologia nel solo fattore atmosferico (le precipitazioni), ma anche nella combinata incidenza del “fragile tessuto geomorfologico, litologico e geostrutturale del territorio della Regione”.
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