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4.13. – Queste conclusioni vanno poi applicate alla peculiare fattispecie del “danno cagionato dalle cose in custodia”; e l’assenza di specificazioni di sorta comporta che il danno rilevante – di cui cioe’ il custode e’ responsabile – prescinde dalle caratteristiche della cosa custodita, sia quindi essa o meno pericolosa, c.d. seagente (ovvero dotata di intrinseco dinamismo) oppure no; e la fattispecie puo’ allora comprendere, sempre dando luogo alla responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c., una gamma potenzialmente indefinita di situazioni sotto i relativi profili:
– quanto al ruolo nella sequenza causale, cioe’ alla partecipazione della cosa custodita alla produzione materiale dell’evento dannoso: a partire dai casi in cui la cosa e’ del tutto inerte ed in cui l’interazione del danneggiato e’ indispensabile per la produzione dell’evento, via via fino a quelle in cui essa, per il suo intrinseco dinamismo, viene a svolgere un ruolo sempre maggiore di attiva interazione con la condotta umana, fino a diventare preponderante od esclusiva, in cui cioe’ l’apporto concausale della condotta dell’uomo e’ persino assente;
– quanto alle caratteristiche intrinseche della cosa custodita, cioe’ alla sua idoneita’ a cagionare situazioni di probabile danno (pericolosita’): a partire dalle fattispecie in cui essa non presenta rischi derivanti dall’interazione con l’uomo, via via fino a quelle in cui il funzionamento o il suo stesso modo di essere comporti di per se stesso, per le modalita’ sue normali, il rischio (cioe’, la probabilita’ ragionevole) di una conseguenza dannosa con chi viene in contatto con la cosa custodita.
4.14. – In questo complessivo contesto va calata la conclusione, tradizionale nella giurisprudenza di legittimita’, dell’accollo al danneggiato della sola prova del nesso causale tra la cosa e il danno: ove la cosa oggetto di custodia abbia avuto un ruolo nella produzione, a tanto deve limitarsi l’allegazione e la prova da parte del danneggiato; incombe poi al custode o negare la riferibilita’ causale dell’evento dannoso alla cosa, cio’ che esclude in radice l’operativita’ della norma, cioe’ dare la prova dell’inesistenza del nesso causale, oppure dare la prova della circostanza, che solo a prima vista potrebbe coincidere con la prima, che il nesso causale sussiste tra l’evento ed un fatto che non era ne’ prevedibile, ne’ evitabile.
4.15. – Su quest’ultimo punto, la recente Cass. ord. 31/10/2017, n. 25837, ha puntualizzato che il caso fortuito e’ cio’ che non puo’ prevedersi (mentre la forza maggiore e’ cio’ che non puo’ evitarsi), per poi giungere, dopo un’accurata disamina del ruolo della condotta del danneggiato, alla conclusione che anche questa puo’ integrare il caso fortuito ed escludere integralmente la responsabilita’ del custode ai sensi dell’articolo 2051 c.c., ma solo purche’ abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode.
4.16. – Tale conclusione richiede alcune puntualizzazioni.
In effetti, puo’ senz’altro convenirsi che, per “caso fortuito” idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno, ai fini della peculiare responsabilita’ disegnata dall’articolo 2051 c.c., va generalmente inteso quel fattore causale, estraneo alla sfera soggettiva, che presenta i caratteri dell’imprevedibilita’ e dell’eccezionalita’ (fattore causale comprensivo anche del fatto del terzo o, in via descrittiva ed a seconda dei casi, della colpa del danneggiato): purche’ esso abbia, in applicazione dei principi generali in tema di causalita’ nel diritto civile, efficacia determinante dell’evento dannoso.
4.17. – Pertanto, anche il caso fortuito (oggettivo e valutato ex ante) va allora inquadrato in questo contesto: e l’imprevedibilita’ va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento, benche’ non anche come sua impossibilita’, mentre l’eccezionalita’ e’ qualcosa di piu’ pregnante dell’improbabilita’ (quest’ultima in genere intesa come probabilita’ inferiore alle cinquanta probabilita’ su cento), dovendo identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come “normale”, vale a dire entro margini di oscillazione – anche ampi – intorno alla media statistica, che escludano i picchi estremi, se isolati, per identificare valori comunemente accettati come di ricorrenza ordinaria o tollerabile e, in quanto tali, definibili come ragionevoli.
4.18. – Su queste premesse, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l’assenza di colpa del custode resta del tutto irrilevante ai fini della sua responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c..
4.19. – E’ chiaro che non si esclude certo che un’eventuale colpa sia fatta specificamente valere dal danneggiato, ma tanto deve aver luogo allora ai fini – ed accollandosi quegli i ben piu’ gravosi oneri assertivi e probatori – della generale fattispecie dell’articolo 2043 c.c., in cui egli deve dare la prova, prima di ogni altra cosa, di una colpa del danneggiante e non solamente del nesso causale tra presupposto della responsabilita’ ed evento dannoso; quando, pero’, l’azione e’ proposta ai sensi dell’articolo 2051 c.c., la deduzione di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode puo’ essere diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, sempre ai fini dell’allegazione e della prova del rapporto causale tra l’una e l’altro.
4.20. – Puo’ concludersi quindi che l’imprevedibilita’ – idonea ad esonerare il custode dalla responsabilita’ – deve essere oggettiva, dal punto di vista probabilistico o della causalita’ adeguata, senza alcun rilievo dell’assenza o meno di colpa del custode; tuttavia, l’imprevedibilita’ e’ comunque di per se’ un concetto relativo, necessariamente influenzato dalle condizioni della cosa, di piu’ o meno intrinseca pericolosita’ in rapporto alle caratteristiche degli eventi in grado di modificare tali condizioni ed alla stessa interazione coi potenziali danneggiati.
4.21. – Sotto il primo profilo, puo’ rilevarsi come l’oggettiva imprevedibilita’ si esaurisca nel tempo: una modifica improvvisa delle condizioni della cosa, a mano a mano che il tempo trascorre dal suo accadimento in rapporto alle concrete possibilita’ di estrinsecazione della signoria di fatto su quella, comporta che la modifica finisca con il fare corpo con la cosa stessa, sicche’ e’ a questa, come in effetti modificata anche dall’evento originariamente improvviso, che correttamente si ascrive il fatto dannoso che ne deriva.
4.22. – Sotto il secondo profilo, puo’ rilevarsi come la prevedibilita’ deve riferirsi alla normalita’ – ovvero alla non radicale eccezionalita’, per estraneita’ al novero delle possibilita’ ragionevoli secondo quel criterio di ordinaria rapportabilita’ causale da valutarsi ex ante ed idoneo ad oggettivizzarsi – del fattore causale.
4.23. – L’operazione logica da compiersi e’ allora quella di identificazione del nesso causale, sulla base dei fatti prospettati dalle parti ed acquisiti in causa: ma occorre distinguere a seconda che con la relazione causale tra cosa e danno interferisca una diversa relazione causale tra la condotta umana del danneggiato ed il danno stesso oppur no.
4.24. – Nella seconda ipotesi, effettivamente deve trattarsi di un evento obiettivamente imprevedibile (ovvero, a seconda dell’elaborazione di volta in volta accettata, che talvolta comprende nella nozione di caso fortuito anche la causa di forza maggiore, inevitabile), secondo la rigorosa ricostruzione di cui alla gia’ richiamata Cass. ord. 25837/17; nel primo caso, cioe’ di compresenza di una condotta del danneggiato, occorre osservare che, una volta delibato come sussistente il nesso causale tra cosa e danno, subentra, siccome applicabile anche alla responsabilita’ extracontrattuale in virtu’ del richiamo di cui all’articolo 2056 c.c., la regola generale del primo comma dell’articolo 1227 c.c., in ordine al concorso del fatto colposo del danneggiato.
4.25. – Va sottolineato, al riguardo, che la ricostruzione del nesso causale tra il criterio di imputazione della responsabilita’ e l’evento dannoso va operata dal giudice anche di ufficio (Cass. 22/03/2011, n. 6529: anche quando il danneggiante o il responsabile si limiti a contestare in toto la propria responsabilita’): pertanto, in tema di responsabilita’ per i danni cagionati da una cosa in custodia ai sensi dell’articolo 2051 c.c., l’allegazione del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, idonea ad integrare l’esimente del caso fortuito, deve essere esaminata e verificata anche d’ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull’eventuale incidenza causale del fatto del terzo o del comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte, purche’ risultino prospettati gli elementi di fatto sui quali si fonda l’allegazione del fortuito (integrando cosi’ una mera difesa la fattispecie di cui dell’articolo 1227 c.c., comma 1: per tutte, Cass. 30/09/2014, n. 20619; Cass. Sez. U. 03/06/2013, n. 13902).
4.26. – A queste condizioni puo’ allora rilevare il fatto del danneggiato, oggetto anche di una mera allegazione – e, in caso di contestazione, di prova – da parte del danneggiante, perfino implicita nel suo impianto difensivo.
4.27. – Tanto in ipotesi di responsabilita’ per cose in custodia ex articolo 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) puo’ – in base ad un ordine crescente di gravita’ – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilita’ del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’articolo 2051 c.c.).
4.28. – In particolare, quanto piu’ la situazione di possibile pericolo e’ suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto piu’ incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (espressamente in tali termini: Cass. 06/05/2015, n. 9009; in precedenza, peraltro, gia’ Cass. 10300/07).
4.29. – In altri termini, se e’ vero che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilita’ si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita in funzione di prevenzione dai danni prevedibili a chi con quella entri in contatto (Cass. 17/10/2013, n. 23584), e’ altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde anch’essa a criteri di ragionevole probabilita’ e quindi di causalita’ adeguata.
4.30. – Tale dovere di cautela corrisponde gia’ alla previsione codicistica della limitazione del risarcimento in ragione di un concorso del proprio fatto colposo e puo’ ricondursi – se non all’ormai non piu’ in auge principio di auto responsabilita’ – almeno ad un dovere di solidarieta’, imposto dall’articolo 2 Cost., di adozione di condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per gli altri in nome della reciprocita’ degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali si venga a contatto con la cosa.
4.31. – In tal senso, del resto, gia’ si e’ statuito che la responsabilita’ civile per omissione puo’ scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano il compimento di una determinata attivita’ a tutela di un diritto altrui: principio affermato sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell’autore dell’illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno, ex articolo 1227 c.c., comma 1, (Cass. Sez. U. 21/11/2011, n. 24406).
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