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Tale ultimo regolamento, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 300 del 1992, allegato 1, punto 81, integra la tabella C, includendo la materia “pubbliche affissioni” in relazione al “Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 639, articolo 28, comma 4”, ricollegandovi la formazione del silenzio assenso trascorsi 30 giorni dalla presentazione dell’istanza al Comune competente.
Nondimeno, come e’ agevole ricavare dal collegamento sistematico con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1972, articolo 28, comma 4, (peraltro abrogato) frutto del rinvio recettizio operato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 407 del 1994, articolo 28, comma 4, l’ambito di operativita’ del silenzio-assenso e’ limitato, giacche’ destinato a surrogare il consenso del Comune solo per l’ipotesi di “affissione diretta in spazi di pertinenza propri degli interessati”, mentre il provvedimento ampliativo tacito non e’ ammesso per il procedimento in esame, relativo alla installazione di cartelli pubblicitari su strada statale (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, 3, 17 aprile 2002, n. 1490 e 16 dicembre 2004, n. 6479; T.A.R. Piemonte, 1, 14 novembre 2005, n. 3523; v. anche T.A.R. Sardegna, 23 gennaio 2002, n. 56 e T.A.R. Lombardia, Milano, 3, 24 ottobre 2005, n. 3891; T.A.R. Umbria, 3 febbraio 2010, n. 50).
Definita la cornice normativa, correttamente il Tribunale di Teramo ha disapplicato il regolamento comunale “per la disciplina della pubblicita’ e delle affissioni e per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicita’ e del diritto sulle affissioni” del 1995, per contrasto con la normativa di rango superiore, escludendo di conseguenza la formazione del silenzio-assenso. Del resto, il mancato ricorso all’annullamento d’ufficio in autotutela non esonera il giudice dal sindacato sugli atti amministrativi, secondo le cadenze e gli effetti di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, articoli 4 e 5 All. E..
5) Quanto alla configurabilita’ di un legittimo affidamento in capo al ricorrente, poiche’, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 3, per integrare l’elemento soggettivo dell’illecito e’ sufficiente la semplice colpa, l’errore sulla liceita’ della condotta, collegato alla buona fede, puo’ rilevare in termini di esclusione della responsabilita’ amministrativa solo quando esso risulti inevitabile.
A tal fine e’ necessario rintracciare un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della suddetta liceita’, oltre alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, cosi’ che l’errore non sia suscettibile di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza (v. Cass., 19759/2015, 16320/10, 13610/07, 11012/06, 9862/06, 5426/06 e 11253/04).
L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede e’ a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimita’ se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 23019/09).
In tale prospettiva, la valutazione compiuta dal Tribunale di Teramo va esente da censure. Il giudice a quo ha correttamente escluso che il concorso dell’amministrazione comunale abbia avuto efficacia scusante sull’erronea credenza del privato di agire in forza di un titolo abilitativo tacito. La concomitanza di una pluralita’ di fattori, tra i quali l’imprudente comportamento dell’autore della violazione – da ritenersi ravvisabile nel caso in cui, in una situazione di dubbio sulla liceita’ dell’affissione, il privato abbia omesso di attivarsi per dissipare la situazione di incertezza – non elide il nesso tra colpa e illecito amministrativo compiuto (Cass. 1781/2008).
Di qui, il Tribunale ha ritenuto con motivazione completa e congrua che, in quanto fondato su un regolamento comunale illegittimo, in palese contrasto con il chiaro dato derivante dalla normativa di rango superiore, l’error iuris fosse evitabile. Il ricorrente, infatti, di fronte ad una prassi illegittima avviata dal Comune avrebbe potuto e dovuto chiedere chiarimenti alla Pubblica Amministrazione (Cass. 1781/2008) o, davanti alla persistente inerzia, attivare i rimedi giurisdizionali a sua disposizione contro il silenzio inadempimento.
Conforme alla giurisprudenza di legittimita’, inoltre, e’ l’apprezzamento del giudice a quo circa l’irrilevanza del fatto per cui il Comune abbia chiesto ed incamerato la relativa imposta sulla pubblicita’ (Cass. 17625/2007).
In proposito, va soggiunto che il ricorso non fornisce alcun elemento in grado di inficiare l’impianto motivazionale, limitandosi ad invocare una rivalutazione degli elementi gia’ apprezzati dal giudice a quo senza addurre specifici rilievi sul punto.
Nel dettaglio, il consolidamento della situazione di affidamento e’ asserzione generica, priva di un parametro che consenta al giudicante di misurare la consistenza del lasso temporale intercorso tra la presentazione dell’istanza e l’irrogazione della sanzione amministrativa.
Ancora, gli argomenti di parte ricorrente non superano i rilievi analitici svolti dal Tribunale circa l’incompletezza della domanda. Sul punto, la decisione del giudice a quo ha rimarcato, nella valutazione della buona fede, l’assenza di una richiesta del privato volta ad ottenere il nulla osta tecnico dell’ente proprietario della strada, letta in uno con il grado di diligenza richiesto ad un operatore professionale in rapporto al livello di affidamento rilevante a norma della L. n. 689 del 1981, articolo 3.
Infatti, in tema di illecito amministrativo, l’inevitabilita’ dell’ignoranza del precetto violato va apprezzata anche alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione alle sue qualita’ professionali e al suo dovere di informazione sulle norme e sulla relativa interpretazione (Cass. 18471/2014).
Discende da quanto sopra il rigetto del ricorso.
Non vi e’ luogo a provvedere sulle spese in mancanza di attivita’ difensiva dell’intimato.
Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Da’ atto della sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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