Deve ritenersi sussistente la circostanza aggravante dell’uso delle armi, prevista per la rapina dall’art. 628 comma 3 n. 1, prima ipotesi, c.p., solo quando la minaccia sia realizzata utilizzando un’arma giocattolo non riconoscibile come tale.

Sentenza 1 febbraio 2018, n. 4712
Data udienza 17 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere

Dott. PACILLI G. – rel. Consigliere

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2890 della Corte d’Appello di Catanzaro del 1.12.2016;

Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

Udita nella pubblica udienza del 17.11.2017 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Pacilli Giuseppina Anna Rosaria;

Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Dr. Casella Giuseppina, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 1.12.2016 la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 26.5.2016, con cui l’imputato e’ stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di rapina aggravata in concorso.

Avverso la sentenza di appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:

1) inosservanza dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, per avere la Corte d’appello omesso di motivare in merito agli specifici motivi di gravame relativi alla ritenuta gravita’ indiziaria a carico dell’imputato;

2) inosservanza di legge e vizi di motivazione in relazione all’articolo 111 Cost., comma 6, per avere l’anzidetta Corte fatto ricorso ad una motivazione definita per relationem ma in realta’ apparente, non contenente un autonomo vaglio critico;

3) mancata assunzione di una prova decisiva, gia’ richiesta in primo grado, consistente in una perizia antropomorfica in grado di affermare l’eventuale compatibilita’ dei tratti somatici dell’imputato con quelli di uno dei due soggetti che salgono a bordo dell’autovettura, con la quale, secondo gli inquirenti, i rapinatori si sarebbero allontanati;

4) inosservanza di legge e vizi di motivazione per avere la Corte territoriale: a) ritenuto sussistente l’aggravante dell’uso dell’arma, ignorando e travisando le dichiarazioni delle due testi escusse, secondo cui l’arma era dotata di tappo rosso, ben visibile; b) omesso di motivare in merito a quale delle due aggravanti ad effetto speciale fosse la piu’ grave e sul perche’ per la seconda aggravante si operasse l’ulteriore aumento, previsto solo quale facoltativo ed operato in misura superiore al terzo, in violazione dell’articolo 63 c.p., n. 4.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato solo con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’uso dell’arma mentre e’ inammissibile nel resto.

1.1 I primi tre motivi sono privi del necessario requisito della specificita’, in quanto reiterativi di doglianze gia’ esaminate e non accolte dalla Corte di appello, e comunque del tutto assertivi.

La Corte di merito, infatti, e’ pervenuta ad affermare la responsabilita’ del ricorrente sulla base di un autonomo vaglio critico delle risultanze processuali e con argomentazioni che sfuggono a rilievi censori.

Dalla lettura della sentenza impugnata emerge chiaramente che la Corte di merito non si e’ limitata a rinviare tout court alla motivazione della sentenza del Tribunale ma ha fatto riferimento alla ricostruzione degli eventi, come operata dal giudice di primo grado, e alle “puntuali” argomentazioni espresse da quest’ultimo, che ha pienamente condiviso. La sentenza impugnata (cfr. f. 2 e 3) ha poi puntualmente vagliato i motivi di gravame espressi nell’atto di appello, rilevandone con esauriente e coerente percorso valutativo l’infondatezza e cosi’ pervenendo a ribadire l’univoco valore dimostrativo delle fonti di prova acquisite, in forza delle quali ha ritenuto superflua l’effettuazione della perizia richiesta dall’appellante (v. f. 3).

In tale contesto devono quindi disattendersi le censure mosse alla sentenza impugnata, che ha compiuto, di contro, un’autonoma valutazione delle emergenze processuali e delle deduzioni difensive e ha affermato la responsabilita’ del ricorrente con argomentazioni immuni da vizi sindacabili da questa Corte, il cui compito, come piu’ volte ricordato (Cass., Sez. Un., n. 24 del 24.11.1999, Rv 214794; Sez. Un., n. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074), non e’ quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti, contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito, dovendo invece la Corte di legittimita’ limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, non sia inficiato da illogicita’, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’; vizi che nel caso di specie non e’ dato riscontrare.

1.2 Sono fondate invece le censure relative all’aggravante dell’uso dell’arma.

La Corte ha ritenuto sussistente la menzionata aggravante, essendo emerso dalle dichiarazioni rese dalla teste (OMISSIS) “come i rapinatori all’atto della rapina impugnassero una pistola che, seppur giocattolo, e’ idonea ad integrare l’aggravante in contestazione”.

A fronte di tale affermazione deve, pero’, evidenziarsi che, al fine della sussistenza dell’aggravante de qua, cio’ che conta e’ l’effetto intimidatorio che deriva sulla persona offesa dall’uso di un oggetto che abbia l’apparenza esteriore dell’arma, in quanto tale effetto intimidatorio e’ dipendente non dall’effettiva potenzialita’ offensiva dell’oggetto adoperato, ma dal fatto che esso abbia una fattezza del tutto corrispondente a quella dell’arma vera e propria (come avviene quando l’arma-giocattolo sia sprovvista di tappo rosso o quando questo sia reso non visibile), cosicche’ possa incutere il medesimo timore sulla persona offesa.

Seppure deve quindi escludersi che l’uso di un’arma giocattolo sia incompatibile con l’aggravante prevista per la rapina dall’articolo 628 comma 3, n. 1, prima ipotesi, deve tuttavia ritenersi sussistente la circostanza aggravante dell’uso delle armi solo quando la minaccia sia realizzata utilizzando un’arma giocattolo non riconoscibile come tale (v. Sez. 2, n. 18382 del 27/3/2014, Rv. 260048 in motiv.).

Nel caso in esame, le testi, come dedotto dallo stesso ricorrente ed evincibile dalle relative deposizioni (i cui stralci sono stati allegati al ricorso), hanno affermato che l’arma aveva un tappo rosso alla canna.

Essendo pertanto l’arma riconoscibile come arma giocattolo, deve ritenersi insussistente l’aggravante in parola e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio con riguardo a tale aggravante, la cui eliminazione, idonea – attraverso un esame di merito non effettuabile in questa sede – ad influire sul giudizio in ordine al trattamento sanzionatorio – comporta la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante del fatto commesso con armi, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena.

Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Sentenza con motivazione semplificata

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