Corte di Cassazione, sezione quinta, sentenza 7 febbraio 2018, n. 5820. Il ricorso per cassazione presentato da persona offesa che non sia costituita parte civile va dichiarato inammissibile

Il ricorso per cassazione presentato da persona offesa che non sia costituita parte civile va dichiarato inammissibile perche’ proposto da non avente diritto, non essendovi alcuna previsione normativa che legittima tale impugnazione. La persona offesa avrebbe percio’ dovuto sollecitare il P.M. ad impugnare l’ordinanza in epigrafe (soggetta ad appello ex articolo 310 c.p.p., con successiva ricorribilita’ per cassazione del provvedimento del Tribunale adito).

Sentenza 7 febbraio 2018, n. 5820
Data udienza 17 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa il 04/05/2017 dal Gip del Tribunale di Catanzaro, nell’ambito del procedimento iscritto nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PERELLI Simone, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso, per sopravvenuta rinuncia.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore / procuratore speciale di (OMISSIS) impugna l’ordinanza indicata in epigrafe, recante la revoca di misure cautelari applicate nei confronti di (OMISSIS), gia’ sottoposto ad obbligo di presentazione alla p.g., nonche’ al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, per essersi reso autore – secondo l’ipotesi accusatoria – di atti persecutori in danno della odierna ricorrente.
Nell’interesse della (OMISSIS) si fa rilevare che la richiesta di revoca, sulla quale il Gip del Tribunale di Catanzaro risulta essersi pronunciato adesivamente, non era stata a lei notificata, come invece prescritto dall’articolo 299 c.p.p., comma 3, all’esito delle modifiche introdotte nel 2013; in tal modo, non le sarebbe stato consentito di presentare memorie nei successivi due giorni, come sarebbe stato suo diritto. Anche del provvedimento impugnato, peraltro non emesso dal giudice procedente (vi era stato un decreto di giudizio immediato dinanzi al Tribunale, con tanto di costituzione di parte civile gia’ formalizzata in udienza), non sarebbe stata curata alcuna notifica alla (OMISSIS).
Con atti successivi, datati 14 e 28 settembre 2017, il difensore della ricorrente:
– ha formalizzato una dichiarazione di rinuncia all’impugnazione, segnalando che l’ordinanza de qua risulta essere stata gia’ annullata dal Tribunale di Catanzaro, investito ex articolo 310 del codice di rito da autonomo appello del Pubblico Ministero;
– ha insistito nella rinuncia anzidetta, allegando procura speciale rilasciata a tal fine dalla persona offesa e chiedendo non pronunciarsi condanna alle spese del procedimento od a sanzioni pecuniarie (atteso che la carenza di interesse della (OMISSIS) all’impugnazione proposta e’ sopravvenuta per causa a lei non imputabile).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, sia a seguito della rituale rinuncia che – gia’ a monte – per le ragioni appresso evidenziate.
2. Innanzi tutto, deve essere chiarito che alla persona offesa – nella peculiare fattispecie concreta – sarebbe senz’altro spettato l’avviso della cui omissione ella si duole, considerando le modifiche normative sopra accennate e la conseguente evoluzione giurisprudenziale. Dopo essersi affermato piu’ volte che “la nozione di “delitti commessi con violenza alla persona”, utilizzata dal legislatore nell’articolo 299 c.p.p., comma 2 bis, al fine di individuare l’ambito di applicabilita’ dell’obbligo di notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, ai sensi del successivo comma terzo, evoca non gia’ una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall’elemento della violenza (sia essa fisica, psicologica o morale) alla persona, bensi’ tutti quei delitti, consumati o tentati, che, in concreto, si sono manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa” (Cass., Sez. I, n. 49339 del 29/10/2015, Gallani, Rv 265732), il massimo organo di nomofilachia ha infatti ulteriormente precisato – sia pure a proposito della parallela disposizione in tema di avviso della richiesta di archiviazione – che l’obbligo formale sancito dall’articolo 408 c.p.p., comma 3 bis, “e’ riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi, previsti rispettivamente dagli articoli 612 bis e 572 c.p., in quanto l’espressione “violenza alla persona” deve essere intesa alla luce del concetto di “violenza di genere”, risultante dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario” (Cass., Sez. U, n. 10959 del 29/01/2016, C., Rv 265893; nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. II, n. 30302 del 24/06/2016, Opera).
Il delitto di atti persecutori, sia nella sua previsione dogmatica quale ipotesi di reato abituale, sia con riguardo alla dimensione avuta nel caso oggi in esame, esclude peraltro che il soggetto passivo possa intendersi vittima soltanto “occasionale” della condotta penalmente sanzionata, dovendosi tener presente che la giurisprudenza di questa Corte ha inteso altresi’ distinguere, ai fini della valutazione di ammissibilita’ o meno di istanze di revoca o sostituzione di misure cautelari non notificate alle persone offese, le ipotesi in cui la condotta violenta si caratterizza anche per l’esistenza di un pregresso rapporto relazionale tra autore del reato e vittima, ove percio’ la violenza alla persona e’ da intendersi mirata in danno di un determinato individuo, da quelle in cui il soggetto aggredito risultava selezionato dall’autore su base puramente casuale od estemporanea (v., per una diffusa analisi della questione, Cass., Sez. II, n. 43353 del 14/10/2015, Quadrelli).
3. Tanto premesso, ci si deve chiedere quali rimedi l’ordinamento appresti a tutela della persona offesa, laddove il diritto di costei ad essere avvisata ai sensi dell’anzidetto articolo 299 c.p.p., comma 4 bis, non sia stato rispettato; in particolare, occorre valutare se la persona offesa (sia pure attraverso un difensore, eventualmente munito di procura speciale) possa dirsi legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal giudice procedente a seguito dell’istanza che mirava a modificare in melius il regime de libertate del soggetto sottoposto a restrizione, ordinanza intervenuta – stante l’omesso avviso – senza l’interlocuzione della stessa persona offesa.
Si tratta, all’evidenza, di un quesito che implica problemi di non poco momento, atteso che l’annullamento di un’ordinanza de libertate formalmente viziata (ma comunque necessariamente migliorativa dello status della persona gia’ sottoposta a misura cautelare) comporta giocoforza il ripristino della situazione anteatta, nuovamente valutabile solo una volta garantito il contraddittorio pretermesso. Con il risultato di introdurre possibili forme di limitazione della liberta’ personale, sia pure nei confronti di soggetti gia’ in precedenza gravati da restrizioni, sulla base di iniziative imputabili a parti private, piuttosto che all’ufficio del Pubblico Ministero.
3.1 Secondo un primo approccio interpretativo, si e’ ritenuto “inammissibile il ricorso per cassazione proposto per saltum dalla persona offesa del delitto di atti persecutori (c.d. stalking) – avverso il provvedimento del Gip di inammissibilita’ della richiesta di revoca dell’ordinanza di modifica della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora nei confronti dell’indagato – in quanto avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari e’ ammesso esclusivamente il rimedio dell’appello, previsto dall’articolo 310 c.p.p., mentre il ricorso immediato per cassazione puo’ essere proposto, ex articolo 311 c.p.p., comma 2, soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e solo nel caso di violazione di legge nonche’, ex articolo 568 c.p.p., comma 2, contro i provvedimenti concernenti lo status libertatis non altrimenti impugnabili” (Cass., Sez. 5, n. 35735 del 31/03/2015, S., Rv 265866).
La pronuncia appena richiamata, dunque, riguardava un caso in cui la persona offesa aveva chiesto direttamente al giudice procedente di revocare l’ordinanza emessa senza contraddittorio, e successivamente impugnato in sede di legittimita’ il provvedimento con cui tale richiesta era stata disattesa. Nella motivazione della sentenza si legge che “la ricorrente avrebbe dovuto proporre impugnazione avverso il provvedimento di modifica della misura cautelare, di cui invece ha chiesto la revoca al giudice che lo ha emesso, con la conseguente declaratoria di inammissibilita’ pronunciata da quest’ultimo. La ricorrente lamenta un vizio relativo al provvedimento del Gip con il quale e’ stata modificata la misura cautelare e, in particolare, l’omessa notifica dell’istanza di revoca (…): tale vizio avrebbe potuto essere oggetto di impugnazione dinanzi al Tribunale, dovendo peraltro escludersi la possibilita’ di ricorso immediato per cassazione, giacche’ (…) avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari e’ ammesso esclusivamente il rimedio dell’appello, previsto dall’articolo 310 del codice di rito (…). Infatti, se, ai sensi dell’articolo 311 c.p.p., comma 2, l’imputato e il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva, la norma tuttavia, come da costante indirizzo giurisprudenziale di questa corte (…), non si presta ad essere interpretata nel senso di ammettere il ricorso per saltum anche contro i provvedimenti che intervengono a seguito di richiesta di modifica della misura. Nessun’altra disposizione di settore consente d’altra parte il ricorso diretto avverso tali provvedimenti, mentre la norma generale, l’articolo 569 c.p.p., si riferisce esplicitamente alle sole sentenze”.
3.2 Stando a un diverso indirizzo, “nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, la persona offesa puo’ dedurre con ricorso per cassazione l’inammissibilita’ dell’istanza di revoca o sostituzione di misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla p.g.) applicate all’imputato, qualora quest’ultimo non abbia provveduto contestualmente a notificarle, ai sensi dell’articolo 299 c.p.p., comma 4 bis, l’istanza di revoca, di modifica o anche solo di applicazione della misura con modalita’ meno gravose” (Cass., Sez. 6, n. 6864 del 09/02/2016, P., Rv 266542). La Sezione Sesta ha osservato, in motivazione, che “in virtu’ delle modifiche introdotte dal Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, nel caso in cui venga in considerazione una delle misure cautelari di cui agli articoli 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p., e si tratti di procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di revoca o di sostituzione della misura, che non sia stata presentata in sede di interrogatorio di garanzia (articolo 299 c.p.p., comma 3) o che non sia stata presentata nel corso dell’udienza (articolo 299 c.p.p., comma 4 bis), deve essere contestualmente notificata a pena di inammissibilita’ presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio. La modifica e’ volta ad assicurare alla persona offesa la concreta facolta’ di interlocuzione, mediante presentazione di memorie nei due giorni successivi. Tale disciplina mira a garantire alle vittime di reati caratterizzati da violenza alla persona, in relazione alla possibilita’ che il soggetto, cui i reati sono attribuiti, si renda ancora pericoloso, l’opportunita’ di apprestare preventivamente le proprie difese, fornendo elementi idonei a rappresentare situazioni che sconsiglino la revoca o la sostituzione richieste. Cio’ si correla ad una piu’ ampia e pregnante considerazione dei diritti delle vittime dei reati, in sintonia con le previsioni contenute nella Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell’11 maggio 2011, ratificata con L. n. 77 del 2013, e con le istanze che hanno ispirato la direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25/10/2012 recante norme minime in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, cui e’ stata data attuazione con il Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212”. Sulla base di tali premesse, illustrative della ratio della novella, la sentenza giunge alla conclusione che “la persona offesa che deduca la mancata notifica della richiesta di revoca o di sostituzione, possa dolersi di cio’ mediante ricorso, venendo in considerazione un vulnus alle prerogative specificamente riconosciute alla persona offesa a propria tutela, vulnus che dunque primariamente la stessa persona offesa, proprio in ossequio al quadro di diritti e facolta’ piu’ ampiamente riconosciute alle vittime di reato, deve ritenersi legittimata a far valere”.
In senso sostanzialmente conforme, la Sezione Prima (con sentenza n. 51402 del 28/06/2016, Zacheo) ha accolto il ricorso presentato dai prossimi congiunti della vittima di un reato di omicidio non preventivamente informati dall’imputato della richiesta di sostituzione della misura custodiale; in quest’ultimo caso, peraltro, all’annullamento senza rinvio dell’ordinanza che aveva sostituito la custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari ha fatto seguito la comunicazione del provvedimento di annullamento al Procuratore generale in sede, rilevandosi la necessita’ di dare “i provvedimenti occorrenti, conseguenti al venire meno del titolo concessivo degli arresti domiciliari (…), in applicazione (estensiva) del disposto dell’articolo 626 del codice di rito”.
3.3 Un’ulteriore pronuncia di questa Sezione ha ribadito che “nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona (nella specie, stalking), e’ ammesso il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l’ordinanza con cui si dispone la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva in atto, al fine di far valere la violazione del disposto di cui all’articolo 299 c.p.p., comma 4 bis, e la mancata declaratoria di inammissibilita’ dell’istanza di modifica cautelare di cui sia stata omessa la notifica” (Cass., Sez. V, n. 7404/2017 del 20/09/2016, D.P., Rv 269445). In motivazione, si e’ osservato come “la previsione della sanzione dell’inammissibilita’ comporti conseguentemente la possibilita’ di farla valere dalla parte nei cui confronti la sanzione e’ stata eminentemente apprestata e, pur tuttavia, il legislatore non ha inserito la nuova previsione nel sistema delle impugnazioni delle misure coercitive, improntato all’iniziativa del Pubblico Ministero, dell’imputato e del suo difensore. L’articolo 299 c.p.p., non prevede, infatti, un rimedio in favore della p.o. e, comunque, come detto, la possibilita’ della p.o. di “interloquire” nell’ambito del procedimento cautelare costituisce un novum che non trova pregresse specifiche previsioni normative”.
Analizzando poi i principi ricavabili dal precedente arresto di cui alla sentenza n. 35735/2015, la pronuncia da ultimo richiamata rileva – quale dato ostativo all’interpretazione suggerita in quella sede – “il fatto che legittimati alla proposizione dell’impugnazione ex articolo 310 c.p.p. (…) sono solo il P.M., l’imputato ed il suo difensore, e tale norma deve senz’altro ritenersi di stretta interpretazione (…), quindi non suscettibile di alcuna estensione analogica, in linea con il principio di tassativita’ dei mezzi di impugnazione, sancito dall’articolo 568 c.p.p., comma 1 (…). Neppure puo’ ritenersi applicabile estensivamente alla fattispecie in esame il rimedio del ricorso per saltum, previsto dall’articolo 311 c.p.p., comma 2, atteso che – a prescindere dalla testuale previsione, anch’essa di stretta interpretazione, della esperibilita’ di tale rimedio da parte dell’imputato e del suo difensore – come condivisibilmente evidenziato dalla pronuncia citata, in ogni caso, il ricorso immediato, ai sensi della suddetta disposizione, e’ ammesso specificamente soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva (…). Nel contesto descritto si ritiene, dunque, che in mancanza di una specifica previsione la p.o., al fine di far valere la violazione del disposto dell’articolo 299 c.p.p., comma 4 bis, e’ legittimata ad esperire il rimedio del ricorso per cassazione sulla base della prescrizione di carattere generale di cui all’articolo 111 Cost., comma 7 – secondo cui contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla liberta’ personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali e’ sempre ammesso il ricorso per cassazione – nonche’ della previsione di cui all’articolo 568 c.p.p., comma 2, secondo cui sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla liberta’ personale”.
4. Il Collegio ritiene di giungere a conclusioni differenti, muovendo da alcuni presupposti che, pur nella lettura di norme di nuova introduzione e rispondenti a pregnanti esigenze di offrire tutela a soggetti che l’ordinamento impone di tenere in peculiare considerazione, non sembrano potersi porre in discussione.
4.1 Innanzi tutto, ne’ l’articolo 310, ne’ l’articolo 311, contemplano la persona offesa fra i soggetti legittimati a presentare, rispettivamente, appello o ricorso per cassazione in tema di provvedimenti de libertate (e, conformemente a quanto segnalato nella motivazione della sentenza segnalata da ultimo, non puo’ ritenersi che tali norme – peraltro disciplinanti specifici mezzi di impugnazione siano suscettibili di applicazione oltre i casi ivi tassativamente previsti). Analogamente, pero’, non puo’ convenirsi con la lettura dell’articolo 111 Cost. che la medesima pronuncia del 2016 di questa Sezione suggerisce: vero e’ che contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla liberta’ personale deve sempre ritenersi ammesso il ricorso per cassazione, ma non e’ revocabile in dubbio che la norma sia a sua volta (anzi, ancor piu’) di stretta interpretazione, nel senso di imporre che i soggetti legittimati all’impugnazione siano solo colui che soffre la limitazione della propria liberta’ (ovvero il suo difensore) e l’organo chiamato a tutelare le ragioni – pubbliche – sottese all’esigenza eccezionale di limitare la liberta’ altrui.
Ne’ puo’ ritenersi che la generalizzata possibilita’ di esperire ricorso per cassazione, in casi come quello oggi in esame, sia ricavabile da norme disciplinanti altri istituti.
Secondo la gia’ richiamata sentenza n. 6864/2016, sarebbe agevole tener conto, a tal fine, della interpretazione “costituzionalmente orientata” formatasi sull’articolo 409 c.p.p., in tema di omessa notifica della richiesta di archiviazione alla persona offesa (ove, appunto, la Corte Costituzionale ha riconosciuto a quest’ultima il diritto ad impugnare il decreto di archiviazione nell’ipotesi di omesso avviso, oltre i limiti della espressa previsione della norma): al contrario, pero’ – come la stessa decisione della Sesta Sezione segnala -, non puo’ tralasciarsi il dato che con la sentenza n. 353/1991 la Corte Costituzionale ritenne che potesse ricavarsi dal sistema – che gia’ riconosceva espressamente alla parte offesa, proponente opposizione, la legittimazione a ricorrere per cassazione contro l’ordinanza di archiviazione pronunciata dal Gip ad esito dell’udienza in camera di consiglio celebrata senza averle dato modo di parteciparvi – la sussistenza di un analogo rimedio nell’ipotesi, ben piu’ grave, in cui la persona offesa fosse stata privata ancora “a monte” dell’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero nonostante la sua espressa richiesta. Tanto che il giudice delle leggi evidenzio’ come quella raggiunta fosse la conclusione non solo piu’ adeguata alla ratio dell’articolo 409, comma 6, del codice di rito, ma anche la piu’ conforme all’esigenza di disciplinare unitariamente l’istituto dell’archiviazione, senza implicazioni pregiudizievoli sul principio di tassativita’ dei mezzi di impugnazione.
Ergo, in tanto e’ stato possibile alla Consulta introdurre un’ulteriore ipotesi di ricorso per cassazione a tutela delle ragioni della persona offesa in quanto, in materia di archiviazione, tale rimedio gia’ esisteva (financo per ipotesi in cui le ragioni del soggetto passivo dal reato potevano dirsi oggetto di minor compromissione), si’ da poter pervenire ad una ragionevole disciplina d’insieme; in altre parole, a fronte della pacifica e gia’ contemplata impugnabilita’ di un’ordinanza emessa senza il rispetto delle forme di cui all’articolo 127 c.p.p., con le garanzie di un contraddittorio di ben altra estensione, la Corte Costituzionale ha avuto agio di intervenire con la soluzione descritta. Il che non e’ a dirsi – e non pare possibile – nel caso oggi in esame, dove rimedi siffatti non si rinvengono in alcuna disposizione normativa: tanto da aver portato questa Corte ad affermare, in via generale, che “il ricorso per cassazione presentato da persona offesa che non sia costituita parte civile va dichiarato inammissibile perche’ proposto da non avente diritto, non essendovi alcuna previsione normativa che legittima tale impugnazione” (Cass., Sez. 7, n. 48896 del 15/11/2012, Bossi, Rv 253927, nonche’ Cass., Sez. 5, n. 17802 del 14/03/2017, M., Rv 269714).
4.2 Non rimane, pertanto, che ricorrere all’unico istituto idoneo a consentire, da un lato, effettivita’ al diritto attribuito alla persona offesa, e dall’altro il rispetto delle regole generali poste a presidio delle – comunque non recessive, ove poste in relazione al diritto medesimo – garanzie di tutela della liberta’ personale, non soggetta a limitazioni se non su iniziativa del Pubblico Ministero: vale a dire la norma di cui all’articolo 572 c.p.p., che identifica appunto nel P.M. l’organo istituzionalmente preposto a “mediare” le richieste di impugnazione della parte offesa, in tutti i casi in cui la legge non attribuisce a quest’ultima un potere di impugnazione diretta.
La persona offesa, odierna ricorrente, avrebbe percio’ dovuto sollecitare il P.M. ad impugnare l’ordinanza in epigrafe (soggetta ad appello ex articolo 310 c.p.p., con successiva ricorribilita’ per cassazione del provvedimento del Tribunale adito). Impugnazione che – al di la’ della constatazione empirica che vede un appello del Procuratore della Repubblica, nella fattispecie concreta, effettivamente presentato e financo accolto – sarebbe stata strumentale a far valere la violazione del diritto della (OMISSIS) a ricevere la notifica della richiesta di revoca o sostituzione della misura, e conseguentemente a rilevare l’inammissibilita’ della richiesta ed il vizio incidente sulla successiva ordinanza; ma al contempo, per espressa previsione del citato articolo 572, avrebbe avuto valore ad ogni effetto penale, ivi compreso il necessario ripristino, alle condizioni di legge, della misura revocata o sostituita (come effettivamente accaduto).
5. Il ricorso, come gia’ accennato, e’ stato financo oggetto di rinuncia, il che costituisce una ulteriore ragione di inammissibilita’ (comunque originaria e non solo sopravvenuta, il che comporta la condanna della (OMISSIS) al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’).
Considerando, in ogni caso, che le ragioni della ritenuta inammissibilita’ dell’impugnazione – a prescindere dalla successiva rinuncia – derivano da un’analisi dell’elaborazione giurisprudenziale su istituti di nuova introduzione, elaborazione dove si sono registrate anche pronunce in linea con la tesi della legittimazione della ricorrente, il Collegio ritiene non esservi i presupposti per la condanna di quest’ultima a sanzioni pecuniarie.
Stante la peculiare natura dei reati oggetto del procedimento, si impone infine – ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52 – l’omissione, in caso di diffusione della presente sentenza, dell’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi delle parti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge

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