Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 gennaio 2018, n. 1646. La domanda volta a far dichiarare la nullità, l’invalidità o l’inefficacia degli atti di cessione del ramo di azienda e la conseguente domanda di condanna al ripristino del rapporto di lavoro

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7.3. Sicche’, in realta’, il motivo consiste nella mera contestazione della valutazione probatoria del giudice di merito, cui solo spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza e di scegliere, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando cosi’ libera prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass. 10 giugno 2014, n. 13054; Cass. 27 gennaio 2015, n. 1547): secondo un esercizio insindacabile dal giudice di legittimita’, al quale spetta solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito (nel caso di specie con puntuale indicazione degli elementi di formazione del convincimento decisionale: al terzo e quarto cpv. di pg. 13, al secondo capoverso di pg. 16, al secondo e agli ultimi quattro capoversi di pg. 17 della sentenza), non equivalendo il sindacato di logicita’ del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

8. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di nullita’ della cessione del ramo d’azienda, e’ infondato.

8.1. Neppure ricorre la denunciata omessa pronuncia, posto che nel caso di specie non difetta, per le ragioni illustrate in riferimento al primo mezzo, una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto: sicche’, il vizio deve essere escluso in relazione a una questione esplicitamente o anche implicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza, quindi suscettibile di riesame nella successiva fase del giudizio, se riprospettata con specifica censura (Cass. 19 marzo 2004, n. 5562; Cass. 20 febbraio 2015, n. 3417; Cass. 26 gennaio 2016, n. 1360).

9. Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’articolo 113 c.p.c., articoli 2112 e 1406 c.c. per esclusione della nullita’ della cessione del ramo d’azienda in difetto del requisito di preesistenza e in presenza di una lieve modificazione dell’attivita’ dei lavoratori) puo’ essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il quinto (vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sui fatti controversi e decisivi di preesistenza e non alterazione della trasferita “Linea GI” nella sua residua consistenza e di piena adeguatezza del know how ceduto).

9.1. Essi sono infondati.

9.2. Deve essere ribadito, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, come, ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’articolo 2112 c.c., anche nel testo modificato dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 32 costituisca elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacita’, gia’ al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente (Cass. 31 maggio 2016, n. 11247). Sicche’, non si configura un ramo d’azienda suscettibile di cessione, in difetto di preesistenza di una realta’ produttiva autonoma e funzionalmente esistente, ma qualora sia stata creata ad hoc una struttura produttiva in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo. Ne’, come anticipato, la nozione giuridica e’ stata mutata dalla richiamata novellazione dell’articolo 2112 c.c. ad opera dell’articolo 32 Decreto Legislativo cit., dovendosi per ramo d’azienda intendere ogni entita’ economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identita’ (come del resto previsto dalla prima parte dell’articolo 32, prima parte Decreto Legislativo cit.), sul presupposto di una preesistenza, potendo conservarsi solo qualcosa che gia’ esista: essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta’ dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entita’ economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalita’ (Cass. 26 luglio 2016, n. 15438; Cass. 28 settembre 2015, n. 19141; Cass. 12 agosto 2014 n. 17901; Cass. 15 aprile 2014 n. 8757; Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711; Cass. 8 giugno 2009 n. 13171; Cass. 9 ottobre 2009 n. 21481).

Ne’ la correttezza di una tale interpretazione appare inficiata da un supposto contrasto con la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia (in causa C-458, Amatori e altri), come prospettato dalla ricorrente nella memoria comunicata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c., per le ragioni, qui richiamate, gia’ espresse da questa Corte (Cass. 28 settembre 2015, n. 19141; Cass. 12 agosto 2014 n. 17901).

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