Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 gennaio 2018, n. 1646. La domanda volta a far dichiarare la nullità, l’invalidità o l’inefficacia degli atti di cessione del ramo di azienda e la conseguente domanda di condanna al ripristino del rapporto di lavoro

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6. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. Fall., articolo 24, articoli 409 e 433 c.p.c. per improcedibilita’ delle domande incidenti sull’asse della procedura fallimentare della cessionaria, e’ infondato.

6.1. Premessa l’esatta impostazione della questione in termini, non gia’ di competenza in funzione della vis attractiva del foro fallimentare, ai sensi della L. Fall., articolo 24 (non derivando comunque l’azione dal fallimento), ma piuttosto in termini di rito, a norma della L. Fall., articolo 52 e articolo 92 ss. (Cass. 29 marzo 2011, n. 7129; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20131), e’ corretta l’esclusione della devoluzione cognitoria al giudice fallimentare delle domande in questione.

6.2. Al riguardo, appare opportuno chiarire come il discrimen tra le due sfere di cognizione sia ravvisabile nell’individuazione delle rispettive speciali prerogative: del giudice del lavoro, quale giudice del rapporto e pertanto delle controversie aventi ad oggetto lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualita’, miranti a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro), in quanto appartenenti alla cognizione speciale propria di tale giudice (Cass. 29 marzo 2011, n. 7129; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2975); del giudice fallimentare, quale giudice del concorso, nel senso dell’accertamento e della qualificazione dei diritti di credito dipendenti da rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso (anche eventualmente in conseguenza di domande di accertamento o costitutive in funzione strumentale: Cass. 20 agosto 2013, n. 19271) e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, a norma della L. Fall., articolo 96, u.c., ovvero destinate comunque ad incidere sulla procedura concorsuale e che pertanto devono essere esaminate nell’ambito di quest’ultima per assicurarne l’unita’ e per garantire la parita’ tra i creditori.

6.3. In esatta applicazione dei suenunciati principi di diritto nell’interpretazione delle domande dei lavoratori (di accertamento di nullita’, inefficacia o illegittimita’ della loro assegnazione all’ipotizzato ramo d’azienda “Linea GI”; con conseguente accertamento “nei confronti” dei predetti di nullita’, inefficacia o illegittimita’ della cessione del preteso ramo d’azienda e comunque della cessione del contratto di lavoro; e “per l’effetto” di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro con la societa’ cedente, di condanna al suo ripristino con determinazione delle modalita’ per la sua effettiva reintegrazione), la Corte territoriale ha ritenuto la domanda “strumentale soltanto all’accertamento della continuita’ del rapporto di lavoro degli appellanti con la societa’ cedente e alla condanna della stessa al ripristino del rapporto”, sicche’ “l’accertamento richiesto non costituisce… premessa di una pretesa economica nei confronti della massa fallimentare”, neppure potendo “ritenersi che la statuizione richiesta sia destinata a ripercuotersi sul riassetto delle componenti patrimoniali accertate nell’ambito della procedura concorsuale” potendo derivarne “l’unico effetto del “ritorno dei due appellanti alle dipendenze di (OMISSIS) e non anche il rientro degli altri beni strumentali ceduti” (cosi’ dal penultimo capoverso di pg. 12 al primo di pg. 13 della sentenza). Ed essa accertava coerentemente, in dispositivo, la sola “sussistenza senza soluzione di continuita’ del rapporto di lavoro tra (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.p.a. con condanna di quest’ultima al ripristino del rapporto”.

6.4. Bene pertanto e’ stata dalla Corte meneghina qualificata la domanda e la sua portata in esito ad un accertamento in fatto, che, come noto, e’ insindacabile in sede di legittimita’ qualora, come appunto nel caso di specie, sia sorretto da una motivazione congrua ed esente da vizi logici ne’ giuridici (Cass. 20 agosto 2002, n. 12259; Cass. 7 luglio 2006, n. 15603; Cass. 18 maggio 2012, n. 7932).

Ne’, per la ragione illustrata, la pronuncia si pone in contrasto con precedente di questa Corte, secondo cui la domanda relativa all’accertamento della nullita’ o della simulazione delle cessioni d’azienda sarebbe attratta al foro fallimentare, per l’incidenza degli effetti di giudicato del suo accoglimento “nei confronti di tutte le parti”, con inevitabile ripercussione sul riassetto delle componenti patrimoniali accertate nell’ambito della procedura concorsuale (Cass. 9 ottobre 2006, n. 21634).

6.5. Infine, appare irrilevante, per la genericita’ dell’allegazione e la violazione del principio di autosufficienza in assenza di trascrizione ne’ di produzione della documentazione relativa, il riferimento alle conseguenze sullo stato passivo accertato nel fallimento della cessionaria (all’ultimo capoverso di pg. 15 del ricorso), che la Corte non e’ in grado di valutare.

7. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c. per la mancata indicazione delle ragioni di formazione del convincimento decisorio, e’ inammissibile.

7.1. Non si configura, infatti, la denunciata violazione di norme di diritto, siccome non integrata dagli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

7.2. In particolare, cio’ deve essere escluso per la violazione dell’articolo 2697 c.c., ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne e’ gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiche’ in questo caso vi e’ soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimita’ solo per il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 5 dicembre 2006, n. 19064; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107). E parimenti per gli articoli 115 e 116 c.p.c., non configurandosi una loro violazione per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorche’ si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero RG abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000).

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