Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 25 gennaio 2018, n. 1894. Rimessa alle Sezioni Unite il tema della proponibilita’ della revocatoria contro convenuto (gia’) fallito

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6.- Nel negare la proponibilita’ in quanto tale dell’azione revocatoria contro una Procedura concorsuale, la sentenza di Cass. n. 10486/2011 ha affermato che la proseguibilita’ dell’azione iniziata prima del fallimento della parte convenuta “puo’ spiegarsi con la considerazione (generalmente accettata…) che gli effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda, per il generale principio che la durata del processo non deve recar danno a chi ha ragione”.
Sembra peraltro ragionevole dubitare dell’effettiva forza persuasiva di simile rilevazione. Nel senso che la stessa si preoccupa propriamente di reperire una giustificazione per il punto della proseguibilita’ della revocatoria iniziata prima del fallimento del convenuto, la’ dove il tema – che, per contro, rimane pur sempre di base – e’ quello della predicata non proponibilita’ dell’azione revocatoria nei confronti di un soggetto gia’ fallito.
Del resto, la tendenziale opinabilita’ di una soluzione che intenda differenziare tra proseguibilita’ dell’azione verso il fallito e promuovibilita’ della stessa e’ resa manifesta proprio dalla norma dell’articolo 51 legge fall., che per l’appunto in modo espresso parifica in relazione alle azioni individuali di tipo esecutivo e cautelare – il proseguimento dell’azione al suo inizio.
Non mancano, d’altro canto, delle ragioni che risultano atte a indicare che, con specifico riferimento all’azione revocatoria, la segnalata convergenza vada individuata nel senso dell’esperibilita’ in ogni caso della azione.
7.- Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’esercizio vittorioso dell’azione revocatoria ha effetto retroattivo: pur intrinsecamente valido, l’atto – che sia stato revocato – manca ab imo di efficacia nei confronti del fallimento che l’ha esperita (cfr., di recente, Cass., 24 aprile 2012, n. 6270). Secondo quanto comunemente si ritiene, d’altro canto, il debito restitutorio del soggetto, che la revoca ha subito, e’ debito di valore (cfr. gia’ Cass. SS. UU., 28 aprile 1973, n. 1169); gli interessi sulla somma da restituire, poi, vengono a correre anche prima della domanda giudiziale, se vi e’ stato atto di costituzione in mora (Cass., 25 giugno 2009, n. 14896). Non sembra, di conseguenza, che l’azione in esame sia destinata a incidere sul c.d. principio di cristallizzazione della massa passiva.
Non pare, per altro verso, che la azione revocatoria possa essere ricondotta al divieto “di inizio” e “di proseguimento” delle azioni esecutive e cautelari disposto dalla L. Fall., articolo 51. Secondo una convincente opinione, emersa in dottrina, l’azione revocatoria si manifesta piuttosto come azione di accertamento con effetti costitutivi: rispetto alla quale chi la propone non chiede l’accertamento ne’ di un diritto di credito, ne’ di un diritto reale o personale di godimento; chiede, per contro, una pronuncia che ricostituisca la garanzia patrimoniale del proprio debitore. Secondo quanto, del resto, e’ compito precipuo delle procedure concorsuali di fare (cfr., per tutte, Cass., n. 21810/2015).
Ne’ sembrerebbe potere assumere pregio, in proposito, il rilievo fatto proprio pure dalla sentenza impugnata dal ricorrente – che l’azione revocatoria viene considerata azione strumentale all’esercizio di azioni esecutive sul patrimonio del debitore. La giurisprudenza di questa Corte ha gia’ fermato l’attenzione sull’oggettiva esigenza di non procedere a frettolosi accostamenti e assimilazioni in materia (cfr., cosi’, Cass., 2 dicembre 2011, n. 25850); e, in effetti, si tratta di azioni che rimangono strutturalmente e funzionalmente distinte tra loro e separate. Nel caso di convenuto in revocatoria che sia fallito, le azioni esecutive – successive all’esito vittorioso di questa – non risulteranno comunque esercitabili, giusta appunto il divieto di cui alla L. Fall., articolo 51: lo sbocco naturale e proprio dell’esito vittorioso consistendo – come si e’ gia’ visto essere insegnamento tradizionale di questa Corte – nell’insinuazione del credito da restituzione (come in sostanza relativo al valore del bene di cui alla revoca) nel passivo fallimentare del convenuto perdente.
Ma da tenere in adeguato conto, sotto il profilo sistematico in specie, e’ pure la norma del Decreto Legislativo n. 270 del 1999, articolo 91 dedicato alla regolamentazione della procedura di amministrazione straordinaria, che ammette la c.d. revocatoria aggravata nei confronti appartenenti al medesimo gruppo di quella dichiarata insolvente.
8.- Segnalato in tal modo il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte, va ancora rilevato che il tema della proponibilita’ della revocatoria contro convenuto (gia’) fallito si pone pure come “questione di massima di particolare importanza” ex articolo 374 c.p.c..
Nel senso che l’operativita’ attuale presenta, in particolare, casi frequenti di spostamenti patrimoniali intervenuti tra societa’ facenti parte di un medesimo gruppo e in avanzato stato di decozione, con lo scopo di “favorire”, in prospettiva, una massa creditoria piuttosto che un’altra.
9.- In conclusione, il Collegio ritiene di rimettere la causa al Primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di questa Corte.
P.Q.M.
dispone la trasmissione del procedimento al Primo presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite civili.

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