Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 19 febbraio 2018, n. 3955. In tema di risarcimento del danno da occupazione usurpativa

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3.2. Espunta per evidente inconferenza la doglianza riferita alla pretesa violazione dell’articolo 113 c.p.c. – a cui peraltro neppure lo stesso deducente sembra credere (“anche a voler prescindere dalla denunziata violazione dell’articolo 113 c.p.c., comma 1”, si legge a pa. 26 del ricorso) – per l’intuitiva ragione che “l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 c.c., espressione del piu’ generale potere di cui all’articolo 115 c.p.c., da’ luogo non gia’ ad un giudizio di equita’, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equita’ giudiziale correttiva od integrativa” (Cass., Sez. 3, 30/04/2010, n. 10607) e ricordato previamente che, soggiacendovi la specie ratione temporis, il novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha ridotto al minimo costituzionale il sindacato di legittimita’ sul vizio di motivazione, va detto che le residue doglianze che i ricorrenti argomentano con riferimento alle violazioni di diritto sono invece fondate e meritano percio’ di essere accolte.
3.3. E’ dirimente in proposito la considerazione che, sebbene, come si e’ dianzi rammentato, il giudice di merito goda di un’ampia liberta’ di scelta nell’adozione dei criteri e delle metodiche di stima ai fini della determinazione del valore dei beni espropriati, nondimeno il giudizio a cui egli perviene non puo’ deflettere dal fondamentale postulato, ancora da ultimo ribadito dalla Corte (Cass., Sez. 3, 25/05/2017, n. 13153), secondo cui qualora proceda alla liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito e’ tenuto ad indicare i criteri seguiti per determinare l’entita’ del risarcimento, diversamente scivolando la sua decisione nel limbo dell’arbitrarieta’ (Cass., Sez. 3, 4/04/2013, n. 8213), di modo che la lamentata violazione non sussiste solo se la motivazione del provvedimento adottato dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si e’ pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo (Cass., Sez. 4, 7/01/2009, n. 50).
La decisione impugnata ha manifestamente disatteso questo principio, poiche’, pur giustificando il ricorso alla liquidazione equitativa del pregiudizio sofferto dai ricorrenti con l’inidoneita’ dei metodi tradizionalmente impiegati in materia ad offrire un responso “affidabile” – e quindi assolvendo l’obbligo motivazionale commessogli con riguardo alla premessa della liquidazione equitativa operata in concreto -, ha poi sic et simpliciter ritenuto che tanto bastasse non solo a legittimare la scelta compiuta, ma pure ad esaurire il compito motivazionale demandatole, in tal modo cedendo all’errata convinzione che a questo fine fosse bastevole richiamarsi al “quadro di riferimento costituito da non decisivi, ma comunque significativi, dati storici all’uopo utilizzabili come parametri orientativi”. Quei dati, al contrario, possono, infatti, al piu’, aiutare a dare conto del “perche'” procedere ad una valutazione equitativa, ma non gia’ a chiarire il “come” di quella valutazione, che abbisogna, al contrario, di indicazioni concrete, specifiche e determinate e non puo’ accontentarsi dal mero rinvio ad essi, tanto piu’ se quei dati, in difetto di ogni piu’ sicuro elemento per pervenire alla loro identificazione, debbano essere estrapolati da un panorama di considerazioni valuiative che si dilunga per oltre 20 pagine di motivazione (da pag. 40 a pag. 61 per l’esattezza) e che, lasciando in definitivinterprete arbitro di se’ stesso, non chiariscono e non giustificano l’aestimatio in concreto qui operata dal giudice d’appello.
4. Cassandosi, dunque, l’impugnata decisione in parte qua, restano conseguentemente assorbiti anche il quinto motivo del ricorso principale ed il quarto motivo del ricorso incidentale, entrambi intesi a censurare la decisione laddove questa ha ritenuto di premettere alla aestimatio a cui era stata chiamata dal rescindente verdetto di questa Corte il vincolo imposto dal divieto di reformatio in peius.
5.1. Il quarto motivo del ricorso principale e, cosi’ pure il terzo motivo dell’incidentale, adombrano una contrarieta’ dell’impugnata decisione al Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, articolo 42-bis, non essendo stato accordato, insieme al ristoro del danno patrimoniale, anche il ristoro per il danno non patrimoniale stabilito dalla norma nella misura forfetaria del valore venale dei beni.
5.2. Il motivo si presta ad un preliminare rilievo di inammissibilita’ quanto alla deduzione che ne fanno i (OMISSIS), trattandosi, invero, di questione nuova che non costa sia stata sottoposta tempestivamente al vaglio dei pregressi gradi di merito, che sarebbe in ogni caso priva di autosufficienza, non essendo indicato il quomodo ed il quando della sua introduzione e che, ove se ne volesse vedere il pretesto nella deduzione fattane dal solo (OMISSIS) – e solo da lui, come rimarca il decidente – renderebbe, in ogni caso evidente il difetto di interesse degli istanti.
5.3. Il motivo e’ invece infondato quanto al (OMISSIS).
La Corte partenopea ha chiarito, ricusando l’argomento che la richiamata disciplina dell’articolo 42-bis citato sarebbe applicabile anche oltre i limiti testuali, che “la previsione e’ applicabile ai soli casi in cui l’immobile illegittimamente occupato e trasformato per scopi di pubblica utilita’ sia oggetto di un provvedimento di acquisizione sanante che nella specie non risulta adottato dal Comune di Sant’Agnello”, intendendo in tal modo ribadire – in adesione, del resto, ad un convincimento gia’ esternato da questa Corte secondo cui il provvedimento ex articolo 42-bis e’ volto a ripristinare (con effetto “ex nunc”) la legalita’ amministrativa violata e non gia’ il rimedio rispetto ad un illecito (Cass., Sez. 1, 31/05/2016, n. 11258) – limiti e finalita’ specifici del rimedio rispetto alla generale previsione della tutela risarcitoria.
Ne’ e’ peraltro ravvisabile sotto questo profilo la pure denunciata violazione dell’articolo 112 c.p.c., giacche’ le considerazioni in contrario sviluppate dal decidente secondo cui il (OMISSIS) “non aveva mai chiesto nei precedenti gradi di giudizio” il risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell’articolo 2059 c.c., non trovano replica negli atti di parte e, quando mai vi si volesse vederne traccia nella generica postulazione di una condanna del convenuto “al pagamento di ogni altro danno comunque connesso all’occupazione de qua”, la difforme statuizione di primo grado e’ coperta dal giudicato risultante dal combinato disposto degli articoli 324 e 329 c.p.c., non constando che di essa ne sia avvenuta l’impugnazione.
6. Accogliendosi dunque i ricorsi di entrambe le parti nei limiti di cui in motivazione, la sentenza impugnata va debitamente cassata e la causa va rinviata avanti al giudice a quo ai sensi dell’articolo 383 c.p.c., comma 1 e articolo 384 c.p.c., comma 2.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa l’impugnata sentenza nei limiti anzidetti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Napoli che, in altra composizione, provvedera’ pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

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