Cooperazione ed agevolazioni fiscali: la verifica dei presupposti

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 18 ottobre 2018, n. 26179.

La massima estrapolata:

In tema di agevolazioni fiscali per la cooperazione, la verifica dei presupposti di applicabilità, che prevede il preventivo parere degli organi di vigilanza riguarda i soli requisiti soggettivi dell’ente ma non le condizioni relative alla natura e alle modalità di svolgimento dell’attività.

Sentenza 18 ottobre 2018, n. 26179

Data udienza 23 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere

Dott. PERRINO Ma – Angelina

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20287/2011 R.G. proposto da:
(OMISSIS), ( (OMISSIS) COOP.), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, sez. staccata Parma, n.272/22/2010 depositata in data 16 dicembre 2010;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 aprile 2018 dal consigliere Pierpaolo Gori;
Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Uditi per l’Agenzia l’avvocato dello Stato (OMISSIS).

FATTO

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, Bologna sez. staccata Parma, veniva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, e riformata la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Piacenza (in seguito, CTP) n.7/01/2007, avente ad oggetto quattro avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2000, 2001, 2002 e 2003 emessi a seguito di accertamento con adesione ad esito negativo; con gli avvisi effEe5E0 venivano contestati nei confronti della (OMISSIS) (in seguito, la contribuente), costi indebitamente dedotti ai fini IRPEG e IRAP, IVA indebitamente detratta e ricavi non contabilizzati, corresponsione di compensi ai dipendenti senza assoggettamento ad imposizione fiscale, contributiva e previdenziale, con ritenute fiscali non operate.
2. La contribuente impugnava gli avvisi, resisteva l’Agenzia e la CTP, previa riunione, li accoglieva, per ritenuta violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, articoli 14 e 11 disciplina agevolativa cui sono soggette le cooperative non avendo l’Amministrazione richiesto il parere dei competenti organi di vigilanza del Ministero del Lavoro e, nel merito, per mancata prova da parte dell’Agenzia dell’inesistenza totale o parziale delle operazioni di cui alle fatture contestate.
3. A seguito di appello dell’Agenzia, la contribuente si costituiva chiedendo la conferma della sentenza di primo grado e la CTR riformava integralmente la sentenza.
4. Avverso la sentenza d’appello, la contribuente propone ricorso per Cassazione affidato a sei motivi, cui resiste l’Agenzia con controricorso.

DIRITTO

5. Con il primo motivo, si censura la violazione dell’articolo 112, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 per omessa pronuncia su piu’ punti decisivi della controversia, per non aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva della contribuente in ragione del meccanismo del sostituto di imposta, in luogo della legittimazione esclusiva dei lavoratori dipendenti;
6. Il motivo e’ inammissibile, in quanto la societa’ afferma ma, ai fini dell’autosufficienza, non da’ prova di aver proposto il motivo nel ricorso in primo, oltre che in secondo grado; a fronte dell’assenza di riferimenti all’eccezione di difetto di legittimazione passiva nella sentenza gravata, la contribuente allega solamente l’appello al ricorso tacendo ogni richiamo, riproposizione e allegazione di documento circa il primo grado di giudizio. In ogni caso, questa Corte ha piu’ volte affermato che in presenza dell’obbligo di effettuare la ritenuta di acconto, diretta ad agevolare non solo la riscossione, ma anche l’accertamento degli obblighi del percettore del reddito, la mancata effettuazione della ritenuta da parte del sostituto non elimina il suo obbligo di versare la somma corrispondente all’erario, (Cass. 9 dicembre 2002 n. 17515; Cass. 5 maggio 2011 n. 9867) e, avendo la CTR pronunciato sul merito della pretesa, ha implicitamente affermato la sussistenza della condizione dell’azione della legittimazione processuale.
7. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36 e dell’articolo 132 c.p.c. in quanto la sentenza impugnata conterrebbe una motivazione apparente del tutto insufficiente in ordine ai rilievi in materia IRPEG, IVA e IRAP, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, poiche’ la sentenza non conterrebbe la “concisa esposizione dello svolgimento del processo” e la “succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”, e la parte dispositiva sarebbe supportata da motivazione solo apparente, insufficiente a rendere note le ragioni per le quali l’appello dell’ufficio e’ stato accolto.
8. Il motivo, formulato cumulativamente, ma essenzialmente motivazionale e’ infondato. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che sussiste il vizio di motivazione apparente quando essa risulta fondata su una mera formula di stile, riferibile a qualunque controversia, disancorata dalla fattispecie concreta e sprovvista di riferimenti specifici, del tutto inadeguata a rivelare la “ratio deci-dendi” e ad evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano dunque possibile il controllo di legittimita’, ovvero caratterizzata da un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e da “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
9. L’iter motivazionale nella sentenza gravata e’ logico e congruo, e trae elementi di prova a sostegno della ripresa non solamente dalla sentenza del Tribunale di Piacenza, con la quale e’ stato accertata la sussistenza del reato di false fatturazioni, e di cui pure la CTR rammenta non sia divenuta cosa giudicata. Ferma restando l’autonomia delle due giurisdizioni tributaria ed ordinaria, correttamente, in conformita’ dei canoni interpretativi della Corte di Cassazione, i giudici di appello affermano che la sentenza penale non definitiva e’ elemento di prova valutabile nel processo tributario, in quanto provvedimento “pienamente argomentato e motivato”. Numerosi sono gli altri elementi valorizzati dalla motivazione a riscontro di tale elemento di prova, evincibili in particolare alle pagine 4 e ss.. Tra i principali, si considera il processo verbale di constatazione che da’ conto dei controlli analitici sulle fatture emesse dalle societa’ sportive o altre cooperative risultate inverosimili, ed incrocia tali dati con le dichiarazioni rese proprio dai responsabili di tali imprese; vi e’ inoltre il difetto di documenti giustificativi di numerosi spese rimborsate, elementi che, univocamente, portano a definire gli indizi come gravi precisi e concordanti. Nessuna motivazione apparente sussiste dunque, ne’ sotto il profilo motivazionale dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ne’, a maggior ragione, sotto il profilo del n. 4 per nullita’ della sentenza come interpretato dalla giurisprudenza della Corte sopra richiamata.
10. Con il terzo motivo, si censura la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 18, 19 e 21, omessa applicazione della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea C454/98 del 19 settembre 2000, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del principio di neutralita’ dell’IVA in quanto, la presenza di fatture per operazioni inesistenti, costituirebbe di per se’ valido e legittimo titolo di credito per il suo destinatario ai fini dell’imposta.
11. Il motivo e’ infondato. La sesta direttiva non prevede alcuna disposizione sulla regolarizzazione, da parte di chi emette la fattura, dell’IVA indebitamente fatturata e, dunque, spetta in via di principio agli Stati membri determinare le condizioni in cui l’imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata ed adottare i provvedimenti opportuni per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi (Corte di Giustizia UE, causa Ruse-despred, § 26; causa Stadeco, §§ 36 e 42). Il meccanismo predisposto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 26 risponde proprio a tali finalita’ e, in applicazione della giurisprudenza comunitaria, questa Corte ha affermato che, in tema d’IVA, e’ precluso al cessionario dei beni il diritto alla detrazione nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti in quanto, in attuazione del principio di cartolarita’ posto a base del sistema impositivo, va escluso il diritto alla detrazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, comma 1, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti. In particolare, e’ stato statuito che non assume rilievo il fatto che il cessionario abbia versato al cedente l’ammontare del tributo sulla base della regolarita’ formale dell’operazione dal punto di vista contabile e fiscale, atteso che l’imposta e’ dovuta ogniqualvolta la fattura sia emessa, seppure per un’operazione non avvenuta o non avvenuta nei termini in essa descritti (Cass. 10 giugno 2015 n.12111). Ad analoghe conclusioni e’ attestata questa Corte in relazione all’inesistenza sotto il profilo soggettivo, nonostante i beni siano entrati effettivamente nella disponibilita’ dell’impresa utilizzatrice, poiche’ l’indicazione mendace di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione effettivamente realizzata tra altri soggetti. (Cass. 7 ottobre 2015 n.20060).
12. Il principio giurisprudenziale richiamato si armonizza poi con la “neutralita’” dell’Iva in quanto la detrazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, comma 1, non riguarda ogni somma che le parti definiscano come addebito d’Iva da aggiungersi al corrispettivo di compravendita; cio’ non dipende dalla sola enunciazione nella fattura di detta causale, ma richiede che il relativo versamento sia il prezzo pagato per acquistare un bene o un servizio inerente all’esercizio d’impresa e, dunque, postula l’effettivita’ dell’acquisto e dell’ingresso del bene stesso nel patrimonio del compratore, quale presupposto indispensabile per la configurabilita’ dell’indicata inerenza, e va conseguentemente esclusa, in caso contrario, a prescindere da un diverso convincimento del solvens, anche se in ipotesi in buona fede.
13. Cio’ da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarita’ e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato disposto con l’articolo 19, comma 1 e articolo 26, comma 3 stesso D.P.R., anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non puo’ esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioe’ dell’acquisto di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (Cass. 10 giugno 2005 n.12353).
14. Con il quarto motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa indicazione nell’avviso di accertamento delle aliquote applicate per il calcolo delle ritenute fiscali non operate, e non versate sui compensi fuori busta paga percepiti da alcuni lavoratori.
15. Il motivo e’ infondato, in quanto l’Agenzia ha gia’ in sede di merito contro-dedotto di aver notificato alla contribuente, prima dell’emissione degli avvisi impugnati, il processo verbale di constatazione il cui allegato 40 contiene l’analitica indicazione del calcolo delle aliquote applicate per il calcolo delle ritenute fiscali non operate e non versate sui compensi fuori busta paga, come accertato dai giudici d’appello. Infatti, la CTR, con un accertamento di merito non censurabile in questa sede, ha verificato la documentazione e confermato l’esistenza dell’allegato e delle aliquote esposte. Era a questo punto onere della contribuente, a sostegno della fondatezza del motivo e non della sua autosufficienza, produrre l’all. 40 al p.v.c. per dimostrare la fondatezza del mezzo ed, eventualmente, dedurre l’errore revocatorio. Al contrario, la contribuente non solo non contesta l’esistenza del documento e il fatto che contenesse le aliquote, ma nemmeno di aver ricevuto la notifica del p.v.c. con lo stesso. La contestazione si risolve dunque in una deduzione formalistica relativa all’avviso di accertamento, in quanto, alla luce di quanto precede, le aliquote erano gia’ nella disponibilita’ del contribuente, al punto di consentigli di partecipare all’accertamento con adesione, seppure con esito negativo.
16. Con il quinto motivo, si deduce la nullita’ dell’avviso di accertamento per mancata allegazione degli atti richiamati in motivazione, con conseguente violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, articolo 7 in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
17. Il motivo e’ infondato, per le medesime ragioni svolte in relazione al motivo precedente, poiche’ anche a questo proposito esiste un accertamento in fatto della CTR in cui e’ stata ritenuta infondata “la censura della contribuente relativa alla mancata allegazione agli avvisi dei processi verbali”, e l’onere di allegazione non puo’ che riguardare atti e documenti che non siano gia’ in possesso del contribuente.
18. Con il sesto ed ultimo motivo, si invoca la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, articoli 11, 12 e 14 con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR fatto erronea applicazione della disciplina agevolativa cui sono soggette le cooperative non avendo richiesto il parere dei competenti organi di vigilanza del Ministero del Lavoro.
19. Il motivo e’ infondato, in quanto nel caso di specie non sono stati disconosciuti i benefici fiscali previsti dalla legge. La Corte rammenta al proposito la costante affermazione giurisprudenziale secondo la quale “In tema di agevolazioni tributarie per la cooperazione, il procedimento di verifica dei “presupposti di applicabilita’” di cui al Decreto Legislativo 29 settembre 1973, n. 601, articolo 14, comma 3, che prevede come obbligatorio il preventivo parere degli organi di vigilanza, attiene ai soli requisiti soggettivi dell’ente, ma non riguarda le condizioni, stabilite dal precedente articolo 10, relative alla natura e alle modalita’ di svolgimento della sua attivita’ produttiva, di modo che, sotto questo profilo, nessun limite incontra l’ordinario potere di accertamento spettante all’amministrazione finanziaria, la cui attivita’, al riguardo, va ritenuta legittima, indipendentemente dall’esistenza o meno del suddetto parere” (Cass. 24 febbraio 2012 n.2849). Non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie da tale insegnamento, in cui l’attivita’ di accertamento dell’Amministrazione ha portato all’accertamento di un maggior reddito di impresa derivante dalla ripresa a tassazione di costi indebitamente detratti perche’ derivanti da operazioni inesistenti.
20. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato, e segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza, liquidato come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione all’Agenzia delle spese di lite, liquidate in Euro 13.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Avv. Renato D’Isa