Peculato e truffa aggravata: l’elemento distintivo

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46799.

La massima estrapolata:

L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 9, va individuato con riferimento alle modalita’ del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui, oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri, avendone gia’ il possesso o comunque, la disponibilita’ per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece, la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene .
Cio’ che rileva al fine di definire la nozione di disponibilita’ o, comunque, di possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio, e’ non solo l’analisi della competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma la valutazione del rapporto che consente al soggetto di inserirsi, anche solo di fatto, nel maneggio o nella disponibilita’ del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento

Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46799

Data udienza 20 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE AMICIS Gaetano – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

Dott. COSTANTINI Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 04/07/2017 della Corte d’appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avv. (OMISSIS), difensore della parte civile Comune di Fossombrone che deposita conclusioni e nota spese;
l’avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona che ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Urbino, ufficio G.u.p., del 29 marzo 2016, che aveva condannato il ricorrente alla pena di anni due, mesi undici e giorni 20 di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici per i delitti di cui agli articoli 81, 314 cod. pen., commessi in (OMISSIS).
E’ stato contestato al ricorrente di essersi appropriato reiteratamente, quale responsabile dei servizi cimiteriali del Comune di Fossombrone, degli importi del complessivo ammontare di Euro 19.546 -, consegnati sia in contante che tramite assegno, poi versato sul conto personale, da coloro che avevano fruito di servizi cimiteriali.
2. (OMISSIS) deduce i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione dell’articolo 314 cod. pen. ed omessa applicazione della fattispecie di cui all’articolo 640 c.p. e articolo 61 c.p., n. 9.
La Corte distrettuale ha ritenuto di qualificare la fattispecie quale peculato sulla base dell’accertamento dell’ammanco della somma versata dai vari soggetti che avevano fruito dei servizi cimiteriali, dalle casse del Comune di Fossombrone.
In realta’ la condotta del (OMISSIS), rilevato che la somma di denaro consegnatagli dai vari cittadini non era in suo possesso o, comunque, nella sua disponibilita’ per ragione del proprio ufficio o servizio, doveva trovare altra qualificazione giuridica, tenuto conto che il ricorrente non era in alcun modo abilitato a ricevere denaro da parte dei richiedenti il servizio e che le somme di denaro gli erano state di volta in volta consegnate sulla base degli artifici dal medesimo posti in essere.
Si osserva che, essendo prevista obbligatoriamente una particolare procedura con specifici adempimenti dell’ufficio e da parte del privato cittadino che intendeva accedere ai servizi, (OMISSIS) non era autorizzato a riscuotere denaro.
Da tanto ne conseguiva che il possesso della somma di denaro non era nella disponibilita’ del ricorrente, in quanto non preposto o autorizzato a maneggiare o gestire soldi.
2.2. Violazione dell’articolo 2 cod. pen. per omessa applicazione della normativa piu’ favorevole.
Poiche’ l’imputato ha posto in essere le condotte appropriative secondo una scansione che le vede avvinte dal vincolo della continuazione, la Corte distrettuale ha errato nel non applicare la normativa piu’ favorevole prevista in precedenza a tutte le fattispecie poste in essere, compresa l’unica successiva all’inasprimento della pena prevista dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, articolo 1, comma 75, lettera c), per il delitto di cui all’articolo 314 cod. pen..
Poiche’ le condotte erano realizzate con le medesime modalita’, la fattispecie piu’ grave, sulla cui base doveva essere effettuato l’aumento per la continuazione, doveva essere quella relativa al maggiore importo conseguito. L’applicazione della legge meno favorevole ha realizzato una violazione dell’articolo 2 c.p., comma 2, oltre che dell’articolo 49, comma 1, della Carta di Nizza in ordine al principio di irretroattivita’ e dell’articolo 7 CEDU.
2.3. Violazione di legge quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non avendo i giudici di merito valutato la collaborazione fornita dal ricorrente durante le indagini.
2.4. Vizi di motivazione e violazione dell’articolo 82 cod. proc. pen. in ordine alla inosservanza dell’intervenuta revoca di parte civile.
Il ricorrente premette come nell’ambito della causa del lavoro intentata dal (OMISSIS) avverso il licenziamento disciplinare, l’amministrazione convenuta avesse dispiegato domanda riconvenzionale tesa ad ottenere, oltre ai danni morali, i danni corrispondenti all’appropriazione delle somme di denaro conseguite dagli utenti. In tale giudizio il convenuto aveva dichiarato di rinunciare all’azione civile nel processo penale. A mente dell’articolo 82 cod. pen., quindi, la costituzione di parte civile doveva intendersi revocata con conseguente estinzione del relativo rapporto processuale.
Tanto era stato fatto presente nei motivi aggiunti depositati il 16 giugno 2017, con i quali si chiedeva che la Corte d’appello prendesse atto della rinuncia e revocasse le statuizioni civili.
Con memoria del 28 giugno 2017, il Comune di Fossombrone, per mezzo del procuratore, allegava l’atto gia’ depositato nel giudizio civile con il quale aveva rinunciato alla domanda riconvenzionale dispiegata nella comparsa di risposta e la Corte distrettuale, preso atto di tanto, ha ritenuto superato la questione e, conseguentemente, ha provveduto sulle statuizioni civili.
Ha errato la Corte distrettuale nel non ritenere venuta meno ope legis la costituzione della parte civile.
Accertata l’identita’ delle azioni, va esaminato quali ne siano le conseguenze in ordine al procedimento penale (quello civile e’ stato sospeso a norma dell’articolo 75 c.p.p., comma 3, su stessa richiesta dell’attore), limitatamente alle statuizioni civili del secondo grado di giudizio, e cioe’ alla provvisionale liquidata.
E’ evidente che la prima conseguenza del trasferimento dell’azione civile e della revoca della costituzione di parte civile e’ che il rapporto instaurato nel procedimento penale e’ ormai estinto. Di tanto deve ritenersi consapevole anche la parte civile, che, pur citata per l’udienza di legittimita’, non e’ comparsa a mezzo del difensore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato.
2. La tesi enunciata nel primo motivo di ricorso, secondo cui la Corte distrettuale avrebbe errato nella qualificazione giuridica della condotta, che integrerebbe la fattispecie di truffa aggravata ex articolo 640 c.p. e articolo 61 c.p., n. 9, e’ infondata.
Occorre preliminarmente rilevare che, sulla base della contestazione per come accertata nei giudizi di merito, il ricorrente, quale responsabile del servizio cimiteriale del Comune di Fossombrone, e’ imputato di essersi appropriato delle somme che, in contante o con assegni, i privati che avevano necessita’ di fruire dei servizi cimiteriali gli consegnavano, ottenendone una ricevuta che ne attestava l’avvenuto pagamento, con timbro e sottoscrizione del ricorrente, fruendo effettivamente dei servizi richiesti. Gli accertamenti hanno evidenziato come, nonostante il regolare svolgimento del servizio, il Comune non avesse incassato quanto dai cittadini consegnato nelle mani del ricorrente.
Tanto premesso ed in conformita’ con i principi di diritto espressi sul punto da questa Corte, deve rilevarsi come l’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’articolo 61 c.p., n. 9, va individuato con riferimento alle modalita’ del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui, oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri, avendone gia’ il possesso o comunque, la disponibilita’ per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece, la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (Sez. 6, n. 18177 del 03/03/2016, Saccone, Rv. 266985; Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014, Campanile, Rv. 260154; Rv. 256595; Sez. 6, n. 5494 del 22/10/2013,dep.2014, Grifo, Rv. 259070; Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo).
Deve innanzitutto escludersi la possibilita’ di sussumere la condotta evidenziata in quella di truffa aggravata di cui all’articolo 640 c.p. e articolo 61 c.p., n. 9, ai danni del privato, in considerazione del fatto che, essendo stato regolarmente espletato il servizio richiesto, non risulta essere stato cagionato alcun danno nei confronti del soggetto che ha consegnato il denaro al ricorrente, presupposto necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie ipotizzata.
Ma egualmente irrilevante risulta quanto dedotto circa il procedimento che si sarebbe dovuto applicare, facendone discendere la mancanza di disponibilita’ del denaro che gli veniva consegnato quale frutto dell’asserita condotta truffaldina.
In tale ottica, e’ ininfluente, ai fini della condotta appropriativa, che l’agente non abbia rispettato la procedura prevista per la erogazione di tali servizi in favore della collettivita’. Cio’ che rileva al fine di definire la nozione di disponibilita’ o, comunque, di possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio, e’ non solo l’analisi della competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma la valutazione del rapporto che consente al soggetto di inserirsi, anche solo di fatto, nel maneggio o nella disponibilita’ del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 19484 del 23/01/2018, Bellinazzo, non massimata; Sez. 6, n. 33254 del 19/05/2016, Caruso, Rv. 267525).
Conformemente a tali principi la Corte territoriale ha valorizzato la finalita’ per cui l’assegno e le somme di denaro erano state consegnate al ricorrente, la cui dazione, volta ad ottenere i servizi cimiteriali richiesti, ha fatto affermare che tanto faceva assumere, ab origine, natura pubblicistica alle somme, in quanto tali di immediata pertinenza della P.A.; natura pubblica che non e’ venuta meno per l’inosservanza delle norme interne che regolamentavano il servizio cimiteriale.
In ordine a tale ultimo aspetto e’ stata valorizzata la specifica responsabilita’ e titolarita’ del servizio in capo al ricorrente, che lo ha posto, di fatto, nella condizione di gestire il credito dell’amministrazione comunale ed inserirsi nella sua riscossione.
3. Manifestamente infondato risulta il motivo con il quale si reputa sussistere l’errore da parte dei giudici di merito in ordine all’individuazione della pena su cui effettuare gli aumenti per la continuazione.
La Corte territoriale, in ordine ad una identica censura dedotta anche in quella sede, valutate la plurime ipotesi di peculato, ha rettamente ritenuto ipotesi piu’ grave quella posta in essere successivamente all’entrata in vigore della modifica legislativa che ha previsto l’inasprimento della pena (L. 6 novembre 2012, n. 190, articolo 1 comma 75, lettera c)) per il delitto di cui all’articolo 314 cod. pen. portando da tre a quattro anni la pena di reclusione minima, non potendosi certamente applicare ai reati posti in essere successivamente quella meno grave precedentemente prevista ed essendo eccentrico qualsivoglia richiamo alla dedotta violazione dell’articolo 2 c.p., comma 2, dell’articolo 49, comma 1, della Carta di Nizza e dell’articolo 7 CEDU, in ordine al principio di retroattivita’ della norma penale piu’ favorevole che attiene all’applicazione della norma penale in ordine alla commissione del singolo fatto di reato posto in essere.
4. Infondata e’ anche la dedotta censura in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche ex articolo 62-bis cod. pen..
La Corte ha valorizzato il lungo periodo di tempo durante il quale sono stati commessi i fatti di peculato contestati, tali da far ritenere una sensibile intensita’ del dolo nel perseverare nelle illecite appropriazioni, contestualmente assegnando scarso rilievo all’asserita condotta processualmente favorevole consistita nell’indicazione del luogo ove erano custodite le pratiche interessate, condotta valutata di scarso interesse per l’intervenuta acquisizione di elementi a carico di ineludibile e prevalente rilievo.
5. Egualmente infondato e’ il motivo con il quale si deduce la violazione dell’articolo 82 cod. proc. pen., per intervenuta estinzione del rapporto processuale, tenuto conto che la rinuncia all’azione civile nel processo penale e’ stata effettuata nella domanda riconvenzionale proposta nel processo dinanzi al giudice del lavoro, per mezzo della quale l’amministrazione comunale tendeva ad ottenere, oltre ai danni morali, quelli corrispondenti all’appropriazione delle somme di denaro conseguite dagli utenti: rinuncia che non e’ mai stata portata a conoscenza del giudice penale.
La Corte territoriale ha, quindi, preso atto della revoca di tale rinuncia ed ha provveduto alla conferma delle statuizioni civili.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, in tanto l’articolo 82 cod. proc. pen.prevede che determinate circostanze, quali la mancata presentazione delle conclusioni ovvero il promovimento dell’azione davanti al giudice civile, costituiscono condotte incompatibili con la prosecuzione dell’azione civile nel processo penale, in quanto quel giudice abbia la possibilita’ di valutare direttamente tali fatti perche’ posti alla sua attenzione.
La Corte territoriale ha, in conclusione, rettamente rilevato la presenza di una tempestiva revoca della rinuncia all’azione civile nel processo penale del Comune di Fossombrone, in quanto tale rinuncia non era stata portata alla sua attenzione, con conseguente regolarita’ della costituzione di parte civile.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’articolo 616 c.p.p., comma 1, e alla rifusione delle spese in favore della parte civile.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna altresi’ il ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Comune di Fossombrone, che liquida in complessivi Euro 3.300,00, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA. Manda alla Cancelleria per la comunicazione ai sensi dell’articolo 154-ter disp. att. c.p.p..

Avv. Renato D’Isa