Contumacia: la verifica delle prove e la non contestazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|2 gennaio 2025| n. 25.

Contumacia il giudice verifica prove e non vale la non contestazione

Massima: In presenza di una parte contumace in primo grado, il principio di non contestazione di cui all’art. 115 comma 1 c.p.c., che stabilisce che il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite, non può trovare applicazione nei confronti del contumace. In tali casi, il giudice è tenuto ad accertare se l’attore abbia fornito la dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi della domanda, indipendentemente dalla contestazione specifica da parte del convenuto contumace.

Sentenza|2 gennaio 2025| n. 25. Contumacia il giudice verifica prove e non vale la non contestazione

Integrale

Tag/parola chiave: Azione di rivendica – Parte convenuta rimasta contumace – Principio di non contestazione – Applicabilità – Esclusione – Motivi

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. PICARO Vincenzo – Relatore

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27985/2022 R.G. proposto da:

Pu.Vi., elettivamente domiciliato in BARANO D’ISCHIA P.ZZA OM.26., presso lo studio dell’avvocato GI.BU. ((Omissis)) che la rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,

– ricorrente –

contro

Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., elettivamente domiciliati in BARANO D’ISCHIA PIAZZA S.RO., presso lo studio dell’avvocato LO.BR. ((Omissis)), che li rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,

– controricorrenti –

nonchè contro

Sc.Na., elettivamente domiciliato in NAPOLI VIA GI.BR., presso lo studio dell’avvocato GI.DI. ((Omissis)), che lo rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n.3763/2022 depositata il 14.9.2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17.12.2024 dal Consigliere VINCENZO PICARO.

Contumacia il giudice verifica prove e non vale la non contestazione

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 28.6.2016 Sc.Na., proprietario del piccolo immobile su due piani sito in P, via (Omissis) e (Omissis), pervenutogli in base a testamento olografo del 24.10.2012, pubblicato il 15.1.2015, della zia De.Ro., alla quale a sua volta era stato assegnato con l’atto di divisione e donazione del notaio Ci. del 18.5.1956, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli Ge.Fr., Ge.Te. e Ge.Em., comproprietari di un immobile sito in P, via (Omissis), piano secondo, servito anch’esso dalla scala a due rampe, corridoio e terrazzo, che permettevano di raggiungere in basso la M civico n. (Omissis). L’attore precisava che tale immobile era stato donato ai Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. dalla madre, Di.Co., che lo aveva acquistato con l’atto del notaio Ra. del 19.11.1961, nel quale ultimo era menzionata la comproprietà sia della scala che del terrazzo di As.Ma., Sc.An. e De.Ro. (dante causa dell’attore).

L’attore chiedeva di ordinare ai comproprietari Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., previo accertamento della sua comproprietà, di rimuovere oltre ad altri ostacoli presenti in loco (cancelli), il palo che era stato in passato posto dietro alla porta del piano inferiore del suo immobile impedendone l’apertura, che ne ostacolava l’accesso alla scala, al corridoio di accesso alla stessa ed al terrazzo dalla stessa attraversato, e che gli impediva di accedere dal suo immobile alla sottostante M. Deduceva al riguardo che negli ultimi tempi della sua vita la zia De.Ro. non aveva più esercitato il passaggio sulla scala per raggiungere la M a causa dell’età avanzata e delle sue condizioni di salute.

Si costituivano nel giudizio di primo grado i Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., che in via preliminare eccepivano il difetto d’integrità del contraddittorio per mancata evocazione in giudizio di Pu.Vi., che aveva acquistato dagli Sc. per atto del notaio Sc.Ga. del 14.12.1991, rep. n. 9842, racc. n. 1776, in comunione legale col marito Ge.Fr., il distinto immobile di P, via (Omissis), piano terzo, avente anch’esso diritto sulla scala in questione. In via riconvenzionale essi chiedevano di essere riconosciuti come proprietari esclusivi per usucapione della scala e del corridoio che dal sottostante porticciolo di M conducevano alla loro proprietà, in quanto la dante causa dell’attore, De.Ro., che non usava la scala in questione, non aveva più inteso partecipare alle spese di manutenzione della scala di accesso alla M, per cui oltre quaranta anni prima era avvenuta la chiusura col palo della porta della De.Ro., che permetteva l’accesso alla scala, e la stessa ed il corridoio erano stati utilizzati in via esclusiva dai Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. e dalla loro dante causa Di.Co.

Eseguita l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Pu.Vi., la stessa rimaneva contumace nel giudizio di primo grado.

Il legale dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. non articolava tempestivamente la prova testimoniale a supporto della riconvenzionale di usucapione e veniva respinta l’istanza di rimessione in termini formulata su tale prova.

Il Tribunale di Napoli con la sentenza n. 5915/2019 del 7.6.2019 rigettava la domanda principale di Sc.Na., qualificata come rivendica, in quanto lo stesso non aveva fornito la prova della comproprietà della scala, del corridoio e del terrazzo, attraverso la dimostrazione del compimento in suo favore, anche tramite la dante causa, di un acquisto a titolo originario e tipicamente per usucapione, essendo insufficienti i titoli prodotti (testamento olografo di De.Ro. ed atto di divisione e donazione del 18.5.1956). Riteneva, quindi, che i Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., pur avendo chiesto in via riconvenzionale l’usucapione, non avessero comunque rinunciato alla posizione di favore che a loro competeva quali convenuti rispetto all’azione di rivendica di Sc.Na., potendo limitarsi ad opporre il principio possideo quia possideo, in proposito richiamando l’ordinanza di questa Corte del 7.6.2018 n. 14734, che in un caso analogo aveva escluso l’attenuazione dell’onere probatorio proprio dell’azione di rivendica (cosiddetta probatio diabolica).

Il Tribunale rigettava poi la domanda riconvenzionale di usucapione dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., ritenendo non certo chi fosse l’originario proprietario dei beni oggetto di causa e compensava le spese processuali.

Proposto appello da Sc.Na., che riproponeva l’originaria domanda, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in materia di onere probatorio, l’erronea valutazione delle prove documentali prodotte e la motivazione insufficiente e contraddittoria, si costituivano in secondo grado i Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., che chiedevano il rigetto dell’appello principale e proponevano appello incidentale condizionato ai fini della rimessione in termini per l’ammissione dei capitoli di prova testimoniale sulla riconvenzionale di usucapione.

Si costituiva, altresì, in secondo grado, Pu.Vi., già contumace in primo grado, che chiedeva il rigetto dell’appello principale per il mancato assolvimento del relativo onere probatorio nei suoi confronti. Sottolineava che l’appello era basato esclusivamente sull’attenuazione dell’onere probatorio della probatio diabolica che sarebbe derivato dalla riconvenzionale di usucapione dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., e dal preteso riconoscimento dei diritti della sua dante causa, De.Ro., risultante dal titolo di acquisto della dante causa dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., Di.Co. (atto del notaio Ra. del 19.11.1961), ragioni che palesemente non potevano valere nel caso di specie, in quanto lei era rimasta contumace nel giudizio di primo grado senza proporre alcuna domanda riconvenzionale di usucapione. Il titolo di acquisto della dante causa dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. del 1961 non aveva nulla a che fare col suo acquisto insieme a Ge.Fr. dagli Sc. dell’immobile di P, via (Omissis), piano terzo, con annessi diritti sulla scala e sul corridoio di accesso, per atto del notaio Sc.Ga. del 14.12.1991, rep. n. 9842, racc. n. 1776, nel quale non vi era alcun accenno a diritti sulla scala, sul terrazzo e sul corridoio di De.Ro.

Sull’onere della prova attenuato richiesto dall’appellante in ragione della riconvenzionale di usucapione dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., la Pu.Vi. faceva presente che nella specie questo non era invocabile, in quanto i Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. avevano fatto valere una possessio ad usucapionem iniziata non già dopo ma prima del titolo di acquisto di Sc.Na., la quale, pertanto, se riconosciuta, avrebbe travolto anche l’asserito titolo della dante causa dell’appellante, De.Ro.

Nel merito la Pu.Vi., nel giudizio di secondo grado, evidenziava, che da quando frequentava i luoghi di causa (quasi 50 anni) la scala in questione era stata utilizzata solo dai proprietari degli immobili con accesso da via (Omissis) (i Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. e lei), e non da De.Ro., che per accedere all’immobile poi lasciato all’appellante utilizzava l’ingresso da via (Omissis), e che nessun riconoscimento del diritto di Sc.Na. sulla scala, sul corridoio e sul terrazzo oggetto di causa poteva essere a lei attribuito, in quanto il principio di non contestazione dell’art. 115 comma 2 c.p.c. valeva solo per le parti costituite, mentre lei era rimasta contumace nel giudizio di primo grado. Aggiungeva poi la Pu.Vi., che trattandosi di un litisconsorzio necessario, che doveva sfociare in una decisione unica per tutti i litiganti, e non essendo ipotizzabile la non contestazione se tutte le parti contro le quali la domanda era rivolta non erano costituite, l’azione di rivendica non poteva essere accolta neppure nei confronti dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., essendo basata solo su atti aventi efficacia meramente dichiarativa, ed in particolare su un testamento olografo che indicava l’immobile lasciato da De.Ro. al nipote come sito in via (Omissis), senza fare alcuna menzione dell’accesso da via M, e su un atto di divisione del 1956.

La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 3763/2022 dell’1/14.9.2022, accoglieva l’appello principale di Sc.Na., dichiarandolo comproprietario della scala utilizzata per accedere alla M civico n. (Omissis) di P; condannava Ge.Te., Ge.Fr. ed Ge.Em. e Pu.Vi., in solido, a rimuovere il palo posto all’esterno della porta dell’immobile di P, via (Omissis), di proprietà dell’appellante principale, che impediva l’apertura ed il successivo transito sulla scala e sul terrazzino esistenti per accedere al civico n. (Omissis) di M, ed al pagamento delle spese processuali di secondo grado, e con l’esclusione della sola Pu.Vi., anche delle spese processuali di primo grado; respingeva, infine, l’appello incidentale dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., concernente la richiesta di rimessione in termini per la prova testimoniale, e la riconvenzionale di usucapione.

In particolare, per quanto ancora rileva, la Corte d’Appello riteneva attenuato l’onere probatorio di Sc.Na., attore in rivendicazione, applicando l’ordinanza n. 28865/2021 di questa Corte, secondo la quale il rigore probatorio dell’attore in rivendica rimaneva attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, riconosceva anche se implicitamente, o comunque non contestava specificamente, l’appartenenza del bene al rivendicante, o ad uno dei suoi danti causa (nella specie De.Ro.) all’epoca in cui assumeva di avere iniziato a possedere uti dominus, mentre l’attenuazione non valeva se non vi era il riconoscimento, o la mancata contestazione della precedente appartenenza del bene.

Il giudice di secondo grado riteneva che i convenuti costituitisi in primo grado (i Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em.) avevano riconosciuto la comproprietà sulla scala spettante a De.Ro., dante causa di Sc.Na., menzionata nell’atto di acquisto della loro dante causa (atto del notaio Ra. del 1961) e che prive di pregio erano le deduzioni formulate in secondo grado da Pu.Vi., poiché la sua posizione contumaciale in primo grado e la mancata contestazione degli elementi probatori acquisiti nel giudizio di primo grado conservavano efficacia nei confronti del contumace costituitosi in appello, che non aveva provveduto ad impugnare gli atti. Pertanto, in ragione del ridotto onere probatorio, attribuiva rilievo al fatto che la scala oggetto di causa, pur chiusa da una porta in legno bloccata da un palo, si dipartiva dall’interno dell’immobile dell’appellante principale, e reputava sufficienti a provare la comproprietà rivendicata dall’appellante principale la relazione tecnica descrittiva di parte del geom. Fe.Fr., con foto allegate del 16.6.2016, il testamento olografo di De.Ro. del 24.10.2012 pubblicato il 15.1.2015 col quale l’immobile di P via (Omissis) era pervenuto all’appellante principale dalla zia, e l’atto di divisione e donazione del notaio Ci. del 18.5.1956, titolo di acquisto di De.Ro., nel quale ultimo era menzionata la comproprietà della scala e del terrazzo.

Avverso tale sentenza, notificata il 16.9.2022, ha proposto tempestivo ricorso Pu.Vi., affidandosi a due motivi, al quale hanno aderito con controricorso Ge.Fr., Ge.Te. e Ge.Em..

Ha resistito con controricorso Sc.Na.

Il 13.4.2023 veniva formulata proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso, ed a seguito di tempestiva istanza di decisione con nuova procura a margine di Pu.Vi., veniva fissata l’udienza camerale del 6.12.2023.

Nell’imminenza dell’adunanza camerale tutte le parti depositavano memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.

Con ordinanza interlocutoria del 6.12.2023/11.4.2024 questa Corte rinviava la causa a nuovo ruolo per la fissazione di pubblica udienza per la sussistenza di profili di rilevanza nomofilattica attinenti all’attenuazione del rigoroso onere probatorio previsto, per la domanda di rivendicazione, dall’art. 948 cod. civ., nel caso in cui solo alcune delle parti nei cui confronti l’azione è rivolta abbiano riconosciuto, espressamente, o tacitamente, la proprietà del cespite in capo al rivendicante, o la sua provenienza da un comune dante causa. Ciò in quanto, nella specie, la ricorrente era estranea sia al testamento olografo di De.Ro. del 2012, sia all’atto di divisione del notaio Ci. del 1956, ed essendosi costituita solo nel giudizio di appello, dopo la contumacia del primo grado, contestando sia la comproprietà di Sc.Na., sia la riferibilità a lei della mancata contestazione da parte dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. della comproprietà della dante causa dell’appellante.

Fissata quindi la pubblica udienza, la Procura Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale Rosa Maria Dell’Erba, ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo.

Tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo di ricorso Pu.Vi. lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 102, 354, 115, 116, 167 e 291 c.p.c., degli articoli 948, 2697 e 1988 cod. civ. e dell’art. 111 della Costituzione.

Dopo avere premesso che la qualificazione come rivendicazione dell’azione esercitata da Sc.Na. e la natura plurisoggettiva ed inscindibile della causa non sarebbero più in contestazione, perché non oggetto d’impugnazione, la ricorrente sottolinea, che mentre i convenuti Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., costituitisi nel giudizio di primo grado, avevano proposto domanda riconvenzionale di usucapione, lei era rimasta contumace in primo grado e si era poi costituita nel giudizio di appello, assumendo una posizione di contrasto nei confronti dell’originario attore, completamente diversa da quella dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. Assume la ricorrente, che la Corte d’Appello non poteva liquidare superficialmente le difese da lei spiegate in secondo grado, limitandosi a parlare di mancata contestazione degli elementi probatori acquisiti nella fase processuale pregressa, destinati a conservare efficacia nei confronti del contumace che non aveva provveduto nei termini di legge ad impugnare atti e documenti, né desumere, dalla sua contumacia in primo grado, la mancata contestazione dei titoli di proprietà prodotti in primo grado da Sc.Na., in quanto il principio di non contestazione valeva, in base all’art. 115 comma 2 c.p.c., solo per le parti costituite, che avevano l’onere della contestazione specifica dei fatti posti a base della domanda, e la contumacia era un comportamento equivoco e non concludente, che determinava specifici effetti previsti espressamente dalla legge, ma non introduceva deroghe al principio dell’onere della prova, non permettendo all’attore di ritenere incontroversi o pacifici fatti da lui allegati, ma non provati (Cass. 11.7.2003 n.10947; Cass. 6.2.1998 n. 1293; Cass. 20.7.1985 n. 4301; Cass. 7.12.1984 n. 6462; Cass. 28.1.1982 n. 560).

Inoltre, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia trasferito su di lei gli effetti dell’asserita mancata contestazione, da parte del litisconsorti necessari Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., della comproprietà della dante causa di Sc.Na., De.Ro., sull’onere probatorio dell’azione di rivendica, ritenuto attenuato, pur essendo ciò ipotizzabile solo quando il difetto di contestazione sia riferibile a tutte parti convenute costituite in giudizio (Cass. 19.10.2016 n. 21096; Cass. 13.2.2013 n. 3567), dovendo poi essere adottata una decisione unica sull’unico rapporto plurisoggettivo, in ottemperanza al principio di non contraddizione proprio delle decisioni adottate in ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. sez. un. 5.5.2006 n. 10311).

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2) Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 948 e 2697 cod. civ. e degli articoli 115 e 116 c.p.c.

Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello, avendo applicato all’azione di rivendica il principio dell’attenuazione dell’onere probatorio, che per quanto esposto nel primo motivo non poteva operare, abbia omesso di applicare il più rigoroso ed obbligatorio principio per il quale nella rivendica l’attore deve fornire rigorosa dimostrazione del titolo originario di acquisto del bene o risalendo attraverso i titoli derivativi ad un acquisto a titolo originario, o fornendo prova dell’esercizio di un possesso ad usucapionem ultraventennale.

Rileva infatti la ricorrente, che la Corte d’Appello, anziché compiere tale doveroso accertamento sul possesso effettivamente esercitato da Sc.Na. e dalla sua dante causa De.Ro. sulla scala, sul corridoio e sul terrazzo che consentivano in un remoto passato di accedere dall’immobile di P, via (Omissis), alla M, si sia basata solo sulle risultanze dell’atto di divisione del notaio Ci. del 18.5.1956, di formazione successiva alla perdita del possesso della scala da parte di De.Ro., dante causa dell’originario attore, e comunque di natura dichiarativa, del testamento olografo di De.Ro. del 24.10.2012, pubblicato il 15.1.2015, a sua volta di natura dichiarativa e neppure riferito alla comproprietà della scala, del corridoio e del terrazzo per accedere alla M, e della relazione tecnica di parte del geom. Fe.Fr. del 15.6.2016, che secondo giurisprudenza consolidata della Corte costituiva una semplice allegazione difensiva e non una prova (Cass. 30.11.2020 n. 27297; Cass. 6.8.2015 n. 16552; Cass. sez. un. 3.6.2013 n. 13902; Cass. 8.1.2013 n. 259). Conclude poi la ricorrente, sottolineando che, poiché lei era rimasta contumace nel giudizio di primo grado impedendo l’operatività del principio di non contestazione, valevole solo per le parti costituite, ed in secondo grado aveva contestato il possesso rivendicato dall’originario attore, pur senza invocare l’usucapione, e non aveva rinunciato alla posizione di vantaggio del possideo quia possideo, a lei derivante dalla posizione di convenuta rispetto ad un’azione di rivendica, la Corte d’Appello avrebbe senz’altro dovuto applicare le comuni regole probatorie di tale azione, e richiedere quindi all’originario attore la cosiddetta probatio diabolica.

Ritiene la Corte che i due motivi, attinenti all’applicazione da parte della Corte d’Appello all’azione di rivendica della comproprietà della scala, del terrazzino e del corridoio di accesso che in passato permettevano di accedere dall’immobile di P, via (Omissis), alla sottostante M, civico n. (Omissis), nei confronti dei litisconsorti necessari Ge.Fr., Ge.Te. e Ge.Em. (che nel costituirsi nel giudizio di primo grado hanno domandato l’usucapione della proprietà esclusiva di tali immobili), e nei confronti di Pu.Vi. (rimasta contumace nel giudizio di primo grado e costituitasi poi in appello contestando il possesso dell’attore Sc.Na.), di un onere probatorio attenuato rispetto a quello in genere richiesto per l’azione di rivendicazione (cosiddetta probatio diabolica), debbano essere esaminati congiuntamente e che siano fondati.

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Premesso che va confermata la qualificazione della domanda principale quale azione di rivendica, va evidenziato, quanto alla posizione di Pu.Vi., che il principio di non contestazione non è applicabile alla parte contumace nel giudizio di primo grado, che costituendosi in secondo grado abbia comunque contestato i fatti costitutivi della domanda dell’originario attore.

In realtà l’art. 115 comma 1 c.p.c., nello stabilire che “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”, esclude quindi in modo inequivoco l’applicabilità del principio di non contestazione al contumace.

La contumacia, al pari del silenzio in campo negoziale, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà favorevole alla pretesa della controparte, ma lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su cui si articola il contraddittorio (Cass. 11.7.2003 n. 10947; Cass. 9 dicembre 1994, n. 10554; Cass. 13 novembre 1989, n. 4800), dando luogo solo a quei particolari effetti ed incombenti che sono espressamente previsti dal legislatore, e mantenendo per il resto un carattere neutro (Cass. 7.12.1984 n. 6462; Cass. 28.1.1982, n.560).

Non è quindi possibile considerare come non contestati dal convenuto contumace fatti costitutivi della domanda della cui sussistenza l’attore ha l’onere della prova (Cass. 11.7.2003 n. 10947; Cass. 6.2.1998 n. 1293; Cass. 20.7.1985 n. 4301; Cass. 11 aprile 1985, n. 2410), ed il giudice in presenza di un contumace ha il dovere di accertare se da parte dell’attore sia stata data dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa, indipendentemente dalla circostanza che, in ordine ai medesimi, siano stati o meno proposte, dalla parte legittimata a contraddire, contestazioni specifiche, difese ed eccezioni improprie (Cass. 11.7.2003 n. 10947; Cass. 9.3.1990, n. 1898).

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Va poi considerato che trattandosi nella fattispecie di un litisconsorzio necessario, legato al fatto che Sc.Ni. non solo rivendicava dei beni indicati come di proprietà comune tra gli originari convenuti e la chiamata in causa, ma chiedeva anche la demolizione di manufatti insistenti sulla proprietà comune, e che era stata anche proposta domanda riconvenzionale di usucapione della cosa comune da parte dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., la mancata contestazione da parte di questi ultimi del fatto che la dante causa di Sc.Na., De.Ro., fosse stata in passato comproprietaria della scala, del corridoio e del terrazzino, come risultante dall’atto di acquisto della loro dante causa Di.Co. (atto del notaio Ra. del 19.11.1961), – da non confondere con l’atto di acquisto della ricorrente e di suo marito dai venditori Sc. dell’immobile di P, via (Omissis), piano terzo, (atto del notaio Sc.Ga. del 14.12.1991, rep. n. 9842, racc. n. 1776) – , e dall’atto di acquisto della dante causa dell’originario attore, De.Ro. (atto di divisione e donazione del notaio Ci. del 18.5.1956), non poteva essere estesa alla già contumace Pu.Vi., che di contro costituendosi in appello, aveva contestato l’esercizio del possesso da parte di Sc.Na. e della sua dante causa, De.Ro., facendo risalire il mancato uso della scala dall’immobile, che quest’ultima ha poi lasciato per testamento all’originario attore, addirittura ad epoca anteriore all’acquisto della De.Ro. con l’atto di divisione e donazione del notaio Ci. del 18.5.1956.

Inoltre, trattandosi di litisconsorzio necessario, il principio di non contestazione, in disparte la sua invocabilità solo per i fatti che siano a conoscenza delle parti e ad esse comuni, non poteva essere applicato neppure per i Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em., costituitisi in primo grado, data la contumacia della Pu.Vi., e l’impossibilità di applicare il principio dell’art. 115 comma 1 c.p.c. quando non siano costituiti tutti i convenuti destinatari dell’azione a litisconsorzio necessario, poiché la controversia deve svolgersi in maniera unitaria e con applicazione della medesima disciplina sull’onere probatorio tra tutti i soggetti del rapporto processuale unitario ed inscindibile, e deve concludersi con una decisione uniforme per tutti i soggetti che vi partecipano (Cass. n. 21096/2016; Cass. n. 3567/2013; Cass. n. 3011/2006).

Neppure potevano farsi ricadere sulla Pu.Vi., contumace in primo grado, le conseguenze dell’avvenuta proposizione in primo grado della domanda riconvenzionale di usucapione di Ge.Fr., Ge.Te. e Ge.Em., trattandosi di domanda dalla medesima mai avanzata, dovendosi pertanto escludere che possa giustificarsi la ritenuta attenuazione dell’onere probatorio dell’azione di rivendicazione sulla base della riconvenzionale di usucapione dei Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. (sulla base della sentenza 19.10.2021 n. 28865 di questa Corte) anche per i Ge.Te., Ge.Fr. e Ge.Em. medesimi, per la necessità di regolare allo stesso modo l’onere probatorio per tutti i convenuti nello stesso giudizio di rivendica a litisconsorzio necessario (vedi in tal senso Cass. sez. un. 5.5.2006 n. 10311).

Ne deriva che, non ricorrendo alcuna delle ragioni addotte dall’impugnata sentenza a giustificazione dell’attenuazione dell’onere probatorio gravante sull’attore in rivendicazione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare se Sc.Na. avesse dato dimostrazione del titolo originario di acquisto della comproprietà dei beni controversi o risalendo attraverso i titoli derivativi ad un acquisto a titolo originario, o fornendo prova dell’esercizio su di essi di un compossesso ad usucapionem ultraventennale (cosiddetta probatio diabolica) e non limitarsi ad una verifica degli asseriti titoli di acquisto dei diritti reali rivendicati.

L’accoglimento dei due motivi di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.

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P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie entrambi i motivi del ricorso di Pu.Vi., cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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