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Aggiungeva il T.A.R. che “neppure si spiega o si dimostra ovvero anche solo si prospetta la possibilità – dotata del minimo di necessaria concretezza – del rischio di condizionamento attuale dell’attività dell’impresa”, evidenziando che “non è sufficiente la parentela con esponenti della criminalità organizzata per inferirne il rischio di infiltrazione mafiosa, occorrendo a tal fine la prova delle frequentazioni o della comunanza d’interessi (cfr. ad es. Tar Bologna 1060\2015 e Cons. Stato 4441/14, 289/14 e 1367/14)”, mentre “i fatti sono talmente risalenti da essere anteriori alla stessa iscrizione revocata, senza che la p.a. abbia svolto il doveroso compito di evidenziare fatti ed elementi nuovi, tali da giustificare la diversa valutazione, né che abbia indicato qualsiasi eventuale ulteriore elemento esplicativo dello stesso diverso esito”, mancando “qualsiasi elemento esplicativo, valutativo o anche solo di richiamo in merito allo svolgimento, da parte della Prefettura, del necessario giudizio di attualità e concretezza” e non emergendo “elementi di attualità e concretezza, non solo per la risalenza dei fatti richiamati (ricollegabili oltretutto a soggetti il cui legame con l’attuale impresa non è dimostrato né emerge) ma anche per l’assoluta carenza di istruttoria e di valutazione sull’attività in essere dell’impresa incisa; e, ancor più gravemente e palesemente, in spregio al criterio del “più probabile che non”, il provvedimento parla di una mera possibilità”.
Le Amministrazioni appellanti contestano gli assunti in cui si articola la motivazione della sentenza appellata, illustrando, con il corredo di richiami giurisprudenziali, gli elementi fattuali dalla cui analisi è stato correttamente desunto il pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa appellata.
La parte appellata eccepisce l’inammissibilità dell’appello, siccome carente di motivi specifici di censura avverso la sentenza gravata, opponendosi nel merito al suo accoglimento e riproponendo la censura incentrata sulla violazione delle garanzie procedimentali.
Con l’ordinanza n. -OMISSIS-questo Consiglio di Stato ha accolto la domanda cautelare di parte appellante, sospendendo l’esecutività della sentenza impugnata.
Con la produzione documentale del -OMISSIS-, il Ministero appellante ha depositato la relazione della Prefettura di Genova del -OMISSIS-, con la quale si riferisce in merito ad alcuni fatti sopravvenuti.
Con l’ordinanza n. -OMISSIS-la Sezione, anche alla luce della comunicazione dell’amministratore unico della società appellata del -OMISSIS-, dalla quale si evince che sono intervenuti mutamenti nella relativa compagine amministrativa e societaria, ha demandato all’Ufficio Territoriale del Governo di Genova di comunicare se la società -OMISSIS- sia stata eventualmente reiscritta nella pertinente “white list” e se comunque si siano verificati eventi tali da incidere sul suo perdurante interesse ad esservi iscritta.
La predetta ordinanza istruttoria è stata riscontrata dall’Amministrazione incaricata con la relazione depositata in data -OMISSIS-, con la quale si evidenzia che è in corso l’istruttoria finalizzata ad accertare l’assenza del pericolo di condizionamento criminale della società appellante, a seguito delle intervenute modifiche nel relativo assetto proprietario e gestionale.
L’appello quindi, all’esito dell’udienza di discussione, è stato trattenuto dal collegio per la decisione di merito.
DIRITTO
Viene all’esame del Consiglio di Stato l’appello proposto dal Ministero dell’Interno avverso la sentenza con la quale il T.A.R. -OMISSIS-ha accolto il ricorso della società appellata (-OMISSIS-) avverso il provvedimento prefettizio che ha disposto la sua cancellazione dall’elenco di cui all’art. 1, comma 52, l. n. 190/2012, ai sensi del quale “per le attività imprenditoriali di cui al comma 53 la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria da acquisire indipendentemente dalle soglie stabilite dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, è obbligatoriamente acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, attraverso la consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori”: cancellazione disposta in conseguenza del venir meno del requisito di iscrizione, collegato alla “perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.
Il provvedimento di cancellazione è stato annullato dal T.A.R. perché riconosciuto affetto dai vizi di difetto di motivazione e di presupposti nonché di carenza istruttoria denunciati dalla società ricorrente.
Il T.A.R., in particolare, ha in primo luogo rilevato che i plurimi elementi indiziari posti a fondamento del provvedimento concernono “fatti ampiamente risalenti (di oltre dieci anni)” e “ricollegabili oltretutto a soggetti il cui legame con l’attuale impresa non è dimostrato né emerge”, oltre a non aver costituito oggetto di alcuna “autonoma e necessaria valutazione” da parte della Prefettura, nel cui provvedimento “neppure si spiega o si dimostra ovvero anche solo si prospetta la possibilità – dotata del minimo di necessaria concretezza – del rischio di condizionamento attuale dell’attività dell’impresa”, il quale non potrebbe essere desunto dalla “parentela con esponenti della criminalità organizzata”, “occorrendo a tal fine la prova delle frequentazioni o della comunanza d’interessi”.
Il T.A.R. ha altresì rilevato che i fatti indicati nel provvedimento impugnato “sono talmente risalenti da essere anteriori alla stessa iscrizione revocata”, senza che siano stati evidenziati “fatti ed elementi nuovi, tali da giustificare la diversa valutazione” e senza che sia stato indicato “qualsiasi elemento esplicativo, valutativo o anche solo di richiamo in merito allo svolgimento, da parte della Prefettura, del necessario giudizio di attualità e concretezza”.
In sintesi, i profili di illegittimità del provvedimento impugnato ravvisati dal T.A.R. sono relativi:
– al carattere temporalmente risalente dei fatti richiamati a fondamento dello stesso;
– alla loro riferibilità a soggetti estranei alla compagine societaria della parte ricorrente, senza che siano indicati gli elementi di collegamento con i suoi componenti;
– alla insufficienza dei rapporti di parentela (tra i componenti della società ricorrente ed i soggetti interessati da pregiudizi giudiziari e di polizia inerenti alla criminalità organizzata) al fine di fondare il pericolo di condizionamento dell’impresa interessata;
– alla mancata indicazione di elementi temporalmente successivi all’iscrizione della società ricorrente nell’elenco delle imprese immuni da condizionamento mafioso, tali da giustificare la sua cancellazione dallo stesso.
Le critiche mosse dalle Amministrazioni appellanti alla sentenza impugnata si propongono invece di evidenziare che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado:
– pregnanti indizi del pericolo di infiltrazione mafiosa si evincono dai rapporti di parentela della coppia -OMISSIS-(il primo, -OMISSIS-, titolare di una quota di proprietà pari all’1% del capitale sociale della società appellata, la seconda, -OMISSIS-, amministratore unico e rappresentante della medesima società) con il genero -OMISSIS-, anch’egli impresario nel settore edile, costituente il collegamento con -OMISSIS-, suo fratello, pluripregiudicato, sorvegliato speciale e referente nel -OMISSIS-, ove risiede, della cosca -OMISSIS-;
– le vicende esposte nel provvedimento sono risalenti ma pongono in evidenza rapporti perduranti nel tempo e sussistenti tutt’ora, tanto che nemmeno il ricorso presentato dalla società -OMISSIS-smentiva la ricostruzione delle realtà criminali e dei legami delittuosi compiuta con l’atto annullato;
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