Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 15 febbraio 2018, n. 971. I legami familiari non sono sufficienti a denotare il pericolo di condizionamento mafioso, se non si colorino di ulteriori connotati, di cui è onere dell’Amministrazione dare conto nel contesto motivazionale del provvedimento interdittivo

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Né elementi in tal senso potrebbero ricavarsi dal fatto che il sig. -OMISSIS- è titolare di una impresa operante nel settore edile, sia perché a tale circostanza non viene collegata alcuna valenza indiziante nel provvedimento impugnato, sia perché non è indicato, nemmeno con l’atto di appello, alcun elemento di collegamento imprenditoriale tra l’impresa di parte appellata e quella riconducibile al sig. -OMISSIS- (le quali, peraltro, operano in settori non coincidenti).
Lo stesso accesso eseguito in data 5 marzo 2015 dal Gruppo Interforze di Genova nel cantiere operativo -OMISSIS-, nel quale era impegnata la società appellata in virtù di un subappalto autorizzato, non ha fatto emergere alcun elemento indicativo della ingerenza mafiosa nella gestione dell’impresa, avendo costituito esclusivamente il punto di avvio degli accertamenti di carattere cartolare svolti dagli organi di Polizia (sulla scorta di atti giudiziari ed investigativi posti precedentemente in essere nei confronti dei soggetti menzionati nel provvedimento impugnato e legati da rapporti familiari, più o meno diretti, con i sig.ri -OMISSIS-).
Deve altresì escludersi che possa riconoscersi concreta valenza indiziaria, come invece ritenuto dall’Amministrazione appellante, al matrimonio celebrato nel 2006 tra -OMISSIS-, fratello di -OMISSIS-, e-OMISSIS-, figlia dei sig.ri -OMISSIS-, che la Prefettura di Genova considera un “contratto per suggellare il legame parentale con la famiglia di -OMISSIS-, affiliata alla cosca -OMISSIS- attiva proprio nei territori limitrofi alle zone di provenienza delle famiglie -OMISSIS- e -OMISSIS-e per rafforzare quindi il potere di queste famiglie nel territorio ligure e il loro prestigio nella terra di origine; non a caso il rito nuziale è stato celebrato in -OMISSIS-, sebbene entrambe le famiglie fossero residenti in -OMISSIS-da moltissimi anni”.
L’ipotesi investigativa, intesa ad attribuire ad una scelta del tutto personale, come quella di contrarre matrimonio, per di più imputabile ad un soggetto distinto dai partecipi dell’impresa interdetta (nella specie, la figlia dei coniugi -OMISSIS-), un valore strategico sul piano dei rapporti criminali, richiederebbe invero, per risultare attendibile, il supporto di elementi ulteriori rispetto a quelli semplicemente desumibili dal curriculum criminale di uno degli sposi (o di suoi parenti): elementi, in particolare, dimostrativi di una concreta inclinazione dei genitori della sposa, cui quella scelta sarebbe in ultima analisi riconducibile, verso la criminalità organizzata, anche solo per ragioni di opportunismo imprenditoriale.
Né tali elementi potrebbero individuarsi nel fatto che il rito nuziale è stato celebrato in -OMISSIS-, nonostante le famiglie dei nubendi vivessero da molti anni in -OMISSIS-, potendo tale scelta organizzativa dipendere dalle più svariate quanto banali motivazioni (come quella di celebrare il matrimonio nella Regione di origine, anche al fine di consentire la partecipazione dei parenti che hanno continuato a dimorarvi).
Quanto poi al rilievo, formulato con il provvedimento interdittivo e ribadito in sede di impugnazione, secondo cui “la struttura clanica (fondata sulla famiglia) della mafia fa sì che anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire l’influenza dell’associazione”, deve rilevarsi che esso presuppone, ai fini dimostrativi del pericolo di condizionamento mafioso, la sussistenza di legami familiari “forti”, suscettibili di costituire il veicolo di trasmissione delle finalità criminali e di rafforzamento dei vincoli mafiosi: legami che non si ritiene tuttavia di ravvisare nel mero rapporto di affinità esistente tra i sig.ri -OMISSIS-, partecipi della società appellata, ed i fratelli -OMISSIS-.
Analoghe considerazioni devono svolgersi, per finire, in ordine ai rilievi contenuti nel provvedimento impugnato circa la personalità del sig. -OMISSIS-, definita dalla Prefettura come “violenta e aggressiva, tipica e caratterizzante del metodo operativo mafioso”, sulla scorta delle tre denunce riportate dal suddetto, negli anni 1998-2002, per diversi episodi criminosi (lesioni personali, rapina, danneggiamento seguito da incendio).
Invero, a prescindere dal carattere risalente di tali episodi e dal fatto che essi non hanno costituito oggetto di alcun accertamento giudiziario, deve rilevarsi che anche il potere preventivo in materia antimafia, nonostante la funzione anticipatrice della soglia di difesa sociale che allo stesso viene pacificamente riconosciuta, non può fondarsi su valutazioni di carattere personalistico e/o soggettivistico, sganciate da comportamenti materiali che denotino la propensione, o comunque l’influenzabilità mafiosa del soggetto.
Nella specie, le condotte criminose del -OMISSIS- non vengono censurate per sé stesse, ma perché ritenute sintomatiche di una “personalità mafiosa” che tuttavia, per poter essere ragionevolmente configurata, richiederebbe l’imputabilità al suddetto di azioni effettivamente riconducibili al modus operandi proprio delle organizzazioni criminali (e non solo espressive di una generica ed astratta “mentalità” mafiosa).
Deve solo aggiungersi che questo giudice è consapevole che gli elementi indiziari menzionati nel provvedimento interdittivo non possono costituire l’oggetto di una disamina parcellizzata, dovendo essere soppesati nell’ottica di una analisi e di una visione complessive e d’insieme: deve tuttavia ritenersi che i singoli segmenti del quadro valutativo posto dall’Amministrazione a fondamento della prognosi di condizionamento mafioso devono comunque essere caratterizzati da un minimum di pregnanza indiziaria, in mancanza del quale il costrutto indiziario elaborato dall’Amministrazione, pur fondato su una pluralità di elementi, rivela la sua intrinseca fragilità.
L’appello, in conclusione, deve essere respinto, mentre la peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del giudizio di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del giudizio di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti menzionati nella motivazione della presente sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore

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