Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 15 febbraio 2018, n. 971. I legami familiari non sono sufficienti a denotare il pericolo di condizionamento mafioso, se non si colorino di ulteriori connotati, di cui è onere dell’Amministrazione dare conto nel contesto motivazionale del provvedimento interdittivo

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il semplice decorso del tempo non può costituire, da solo, elemento probante dell’assenza dell’attualità del tentativo di infiltrazione e la struttura clanica (fondata sulla famiglia) della mafia fa sì che anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso possa subire l’influenza dell’associazione criminale;
– gli elementi posti a base del provvedimento prefettizio, seppur risalenti nel tempo ed anteriori alla data di prima iscrizione della -OMISSIS- in “white list” (17/6/2015), sono venuti a conoscenza della Prefettura solo successivamente a tale iscrizione, ovvero a seguito di un accesso compiuto dal Gruppo Interforze ad un cantiere operativo della linea ferroviaria -OMISSIS-;
– è stato consentito l’intervento della parte ricorrente nel procedimento amministrativo e si è effettivamente svolto in data -OMISSIS-, con l’acquisizione di copia degli atti non sottratti al diritto di accesso ai sensi dell’art. 3 del D.M. 415/94, come integrato dal D.M. 508/97, adottato ai sensi dell’art. 24 della legge 241/90.
Come si evince dalla sintesi che precede circa le contrapposte posizioni delle parti, quindi, assume carattere decisivo – come è proprio, del resto, di siffatta tipologia di controversie – la verifica concernente la dotazione istruttoria e motivazionale del provvedimento lesivo, con particolare riguardo al principale presupposto legittimante la sua adozione, connesso alla sussistenza, a carico dell’impresa destinataria, di significativi elementi indiziari in ordine al pericolo della sua condizionabilità criminale.
Prima di compiere la suddetta verifica, appare peraltro opportuno richiamare le principali acquisizioni giurisprudenziali “in subiecta materia” (cfr., tra le più recenti, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4598 del 3 ottobre 2017), nel senso che:
– l’informativa antimafia presuppone concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata;
– quanto alla “ratio” dell’istituto della interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione;
– l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
– ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;
– è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il “concorso esterno” o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante-;
– il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;
– pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;
– tra gli elementi rilevanti vi sono i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia: l’amministrazione può ragionevolmente attribuire loro rilevanza quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità; tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario – scelga consapevolmente di porsi in dia e in contatto con ambienti mafiosi; quand’anche ciò non risulti punibile (salva l’adozione delle misure di prevenzione), la consapevolezza dell’imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) deve comportare la reazione dello Stato proprio con l’esclusione dell’imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge;
– in altri termini, l’imprenditore che – mediante incontri, telefonate o altri mezzi di comunicazione, contatti diretti o indiretti – abbia tali rapporti (e che si espone al rischio di esserne influenzato per quanto riguarda le proprie attività patrimoniali e scelte imprenditoriali) deve essere consapevole della inevitabile perdita di “fiducia”, nel senso sopra precisato, che ne consegue (perdita che il provvedimento prefettizio attesta, mediante l’informativa)”.
– non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo il principio del “più probabile che non” – il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell’attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2012 n. 4708);
– l’ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la valutazione prefettizia sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 7 agosto 2001, n. 4724);
– tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo sotto il solo profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato, sez. V, 25 giugno 2010, n. 7260).
Ebbene, il Prefetto di Genova, in dichiarata (in sede provvedimentale e difensiva) applicazione dei suindicati principi interpretativi, trasferibili nella loro portata orientativa alla specifica materia della gestione della cd. “white list”, ha individuato nei termini seguenti gli elementi indiziari, afferenti direttamente ai componenti della società originariamente ricorrente ovvero a soggetti con essi legati da rapporti familiari, per formulare la prognosi di sussistenza del “pericolo di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’attività della società”, da cui è scaturito il provvedimento impugnato.
Premesso, in particolare, che l’assetto attuale della società -OMISSIS- è costituito da:
– -OMISSIS-, titolare di una quota di proprietà pari al 99% del capitale sociale;
– -OMISSIS-, amministratore unico e rappresentante della società;
– -OMISSIS-, titolare di una quota di proprietà pari all’1% del capitale sociale;
e delineati i rapporti familiari tra i suddetti, nel senso che:
– -OMISSIS- è madre di -OMISSIS-;
– -OMISSIS- è moglie di -OMISSIS-;
l’Amministrazione intimata ha posto in evidenza i legami, essenzialmente familiari, riscontrati tra i suddetti ed altri soggetti coinvolti, a diverso titolo, in vicende di carattere penale, e comunque rilevanti ai fini preventivi, onde fondarvi il suindicato pericolo di inquinamento mafioso dell’impresa appellante.
In particolare, la Prefettura, sulla scorta degli accertamenti condotti dagli organi di Polizia, ha evidenziato che:
– -OMISSIS- (amministratore unico e rappresentante della società appellante) è cugina in linea diretta di -OMISSIS-, figura centrale nell’indagine -OMISSIS- della Procura Distrettuale Antimafia di Genova, nell’ambito della quale il suddetto era stato denunciato per associazione di tipo mafioso (il procedimento penale è stato poi archiviato); il medesimo -OMISSIS-inoltre, pur non avendo a suo carico precedenti penali, ha avuto frequenti contatti con personaggi appartenenti alla criminalità organizzata di matrice calabrese, in particolare con componenti della famiglia -OMISSIS-e con i fratelli -OMISSIS-;
– -OMISSIS- (titolare di una quota di proprietà pari all’1% del capitale sociale della società appellante) è cugino in linea diretta di -OMISSIS-, il quale, pur non avendo a suo carico denunce e/o condanne, è ritenuto facente parte della-OMISSIS-(CZ);
–OMISSIS-, figlia dei menzionati coniugi -OMISSIS-, è moglie di -OMISSIS-, socio e amministratore della -OMISSIS-, la cui socia al 40%, tale -OMISSIS-, è stata controllata a Torino in data -OMISSIS-in compagnia di -OMISSIS-, tratto in arresto nel 2003 per ricettazione e nel 2010 per usura e sfruttamento della prostituzione; il -OMISSIS- è stato tratto in arresto nel 2000 per detenzione illegale di arma da fuoco insieme ad altri due soggetti, con i quali le Forze di Polizia hanno ritenuto costituisse un gruppo di fuoco avente l’obiettivo di uccidere uno dei componenti della famiglia dei -OMISSIS-, avversaria della cosca ‘ndranghetista dei -OMISSIS- di -OMISSIS-(CZ), di cui il fratello di -OMISSIS-, -OMISSIS-, è considerato referente per la zona del -OMISSIS- (per i fatti descritti, i suddetti sono stati condannati a seguito di giudizio abbreviato per il reato di porto illegale di arma e ricettazione in concorso);
– -OMISSIS-, fratello di -OMISSIS-, è stato condannato nel 2004 per furto, lesioni personali, minaccia e resistenza a p.u.; è stato sottoposto nel 2005 alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. di anni 3 e nel 2014 alla misura di prevenzione patrimoniale; è considerato appartenente alla cosca -OMISSIS- capeggiata dai fratelli -OMISSIS-e legata alla cosca -OMISSIS-, operante nella zona di -OMISSIS-(CZ) con ramificazioni anche nel Nord Italia, in particolare nella provincia di Genova.
Un ulteriore elemento indiziario, inteso a dimostrare il collegamento tra i componenti della famiglia -OMISSIS—OMISSIS-ed i soggetti implicati in indagini inerenti alla criminalità organizzata, è stato ravvisato dalla Prefettura nel matrimonio celebrato nel 2006 tra -OMISSIS-, fratello di -OMISSIS-, e-OMISSIS-, considerato un “contratto per suggellare il legame parentale con la famiglia di -OMISSIS-, affiliata alla cosca -OMISSIS- attiva proprio nei territori limitrofi alle zone di provenienza delle famiglie -OMISSIS- e -OMISSIS-e per rafforzare quindi il potere di queste famiglie nel territorio ligure e il loro prestigio nella terra di origine; non a caso il rito nuziale è stato celebrato in -OMISSIS-, sebbene entrambe le famiglie fossero residenti in -OMISSIS-da moltissimi anni”.

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