Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 5 aprile 2017, n. 1585

Qualora sia accertata l’infedele rappresentazione dell’abuso, risulta illegittimo il provvedimento di sanatoria; l´inesatta volontaria rappresentazione della realtà contenuta nell´istanza di concessione in sanatoria integra gli estremi della domanda dolosamente infedele, che, ai sensi dell´art. 40 L. 28 febbraio 1985, n. 47, impedisce il formarsi del c.d. silenzio-assenso previsto dall´art. 35 comma 18 della stessa L. 28 febbraio 1985, n. 47, e comporta altresì il non accoglimento della domanda medesima

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 5 aprile 2017, n. 1585

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 213 del 2016, proposto da:

An. So., rappresentato e difeso dall’avvocato Ar. Pr. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Segreteria Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);

contro

Comune di (omissis) non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE II n. 02696/2015, resa tra le parti, concernente permesso di costruire in sanatoria – demolizione opere

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ne. è presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il sig. An. So., comproprietario di edificio in (omissis) alla via (omissis), ha impugnato l’annullamento in autotutela (d.12 marzo 2013) del permesso di costruire in sanatoria (n. 627 del 15/11/2012) avente dell’immobile in comproprietà realizzato senza titolo ed oggetto di successivi interventi edilizi.

Con motivi aggiunti ha impugnato la successiva ordinanza di demolizione n. 30 del 22/5/2014.

Deduceva nei motivi di d’impugnazione, oltre l’eccesso di potere sotto vari profili, la violazione dei principi in tema d’autotutela e delle norme del d.P.R. n. 380/2001 in ordine all’assenza di rilievo edilizio delle opere realizzate, contestando la sussistenza degli abusi di cui all’ordinanza di demolizione

2. Il Comune di (omissis) si costituiva in giudizio instando per l’infondatezza del ricorso.

3. Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, Napoli, sez. II, disposta consulenza tecnica al fine di chiarire se lo stato dei luoghi corrispondesse o meno a quella di cui ai grafici allegati al rilascio del permesso di costruire, all’esito del deposito dell’elaborato tecnico, respingeva il ricorso e i motivi aggiunti.

Il Tribunale, constatato mediante la C.T.U. che “lo stato dei luoghi e la sagoma attuale del fabbricato non corrispondono a quelli di cui ai grafici allegati al rilascio del permesso di costruire”, ritenuti sussistenti i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela, ha respinto le censure dedotte avverso l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria; e, con riguardo all’ordinanza di demolizione impugnata, ha escluso che sia “configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può, di per sé, legittimare in via di fatto”.

4. Appella la sentenza il sig. An. So.. Non si è costituito il comune di (omissis).

5. Alla pubblica udienza del 16.02.2017 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Con i motivi d’appello, l’appellante, oltre a censurare il percorso e la consistenza giuridica della motivazione della sentenza, contesta i rilevi in fatto contenuti nella C.T.U acriticamente recepiti dai giudici di prime cure, che non darebbero conto della reale entità delle opere eseguite.

7. Va premesso, con considerazione da estendere al prosieguo nell’esame dei motivi d’appello, che nel corso del giudizio di prime cure è stata accertata la difformità dello stato dei luoghi e delle opere realizzate, a prescindere dall’entità materiale di esse, rispetto all’elaborato progettuale allegato all’istanza di permesso di costruire in sanatoria.

Ossia è incontroverso, poiché l’appellante si limita a contestare il rilievo edilizio delle difformità, che l’istanza di permesso di costruire in sanatoria non riproduceva fedelmente le caratteristiche di sagoma, volume e superficie del preesistente edificio oggetto di sanatoria.

In altri termini il permesso di costruire in sanatoria è stato rilasciato sulla base di una infedele rappresentazione del manufatto che si intendeva sanare.

Nel dettaglio.

Negli allegati al permesso di costruire il fabbricato è composto da un piano cantinato ad uso deposito, due appartamenti per civile abitazione al piano rialzato e due appartamenti per civile abitazione al piano primo cui si accede tramite il vano scala.

La C.T.U ha rilevato invece che il piano cantinato non è un unico ambiente aperto ad uso deposito, ma è stato diviso con tramezzature interne con bagno, deposito ed un disimpegno, mentre la parte antistante è un unico ambiente destinato a garage. La superficie attuale è di mq 137,00 contro i mq. 128,00 di cui al permesso di costruire.

A sua volta, il piano rialzato allo stato attuale è composto da un solo appartamento per civile abitazione, per una superficie complessiva – mq 140,94 – inferiore a quella utile riscontrata di mq 155,30. Il piano primo è diviso in due appartamenti per civile abitazione ed è differente, per dimensioni – circa mq 10 in meno – e sagoma, da come invece riportato nei grafici del permesso di costruire. Nella copertura, in luogo di due passerelle previste negli allegati, il consulente tecnico ne ha riscontrata una sola di mq 61,00.

8. Costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato, qui condiviso, che qualora sia accertata l’infedele rappresentazione dell’abuso, risulta illegittimo il provvedimento di sanatoria. E’ stato in particolare evidenziato, da parte della giurisprudenza, che “l’inesatta volontaria rappresentazione della realtà contenuta nell’istanza di concessione in sanatoria integra gli estremi della domanda dolosamente infedele, che, ai sensi dell’art. 40 L. 28 febbraio 1985, n. 47, impedisce il formarsi del c.d. silenzio-assenso previsto dall’art. 35 comma 18 della stessa L. 28 febbraio 1985, n. 47, e comporta altresì il non accoglimento della domanda medesima (cfr., Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2014 n. 5336).

9. Né, venendo alle censure che contestano il rilievo edilizio delle opere difformi, possono essere condivi gli argomenti in essi dedotti, incentrati sulla modesta entità di esse, realizzate all’interno del manufatto sì da non dover essere individuate nel dettaglio negli elaborati grafici a corredo del permesso di costruire in sanatoria.

È dirimente a riguardo osservare che anche le opere interne che comportino aumenti di superficie o di volume configurano una nuova costruzione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2014 n. 1653; Id, sez. IV, 4 giugno 2013 n. 2013).

9.1 Va inoltre osservato che esulano dai volumi tecnici – ossia dalle opere prive di rilevanza edilizia – le soffitte, i locali di sgombero e i depositi non essendo a priori non impiegabili né adattabili ad uso abitativo, non essendo, tali tipologie di volume edificato, comunque, privi di qualsivoglia autonomia funzionale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2015 n. 175).

10. Quanto al motivo d’appello avverso il capo di sentenza che ha respinto le censure proposte in prime cure contro l’ordinanza di demolizione è di per sé, in linea di principio e tranne il ricorso di circostanze oggettive e peculiari, irrilevante il tempo intercorrente tra la commissione di un abuso edilizio e l’emanazione del provvedimento di demolizione.

Quando risulta realizzato un manufatto abusivo, malgrado il decorso del tempo, l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive: il provvedimento deve intendersi, – tranne ipotesi concrete ed eccezionali di connotazione dell’inerzia prolungata come generativa di un peculiare affidamento -, sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4892; sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568; sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955).

Da un lato, quando è realizzato un abuso edilizio non è in radice prospettabile un legittimo affidamento.

Dall’altro, il proprietario non si può logicamente dolere del ritardo con cui l’amministrazione – a causa del mancato accertamento dell’abuso o per la connivenza degli organi pubblici pro tempore – abbia emanato il provvedimento che la legge impone di emanare immediatamente.

La disciplina positiva non ha mai attribuito esplicito rilievo sanante al ritardo con cui l’Amministrazione emana l’atto conseguente alla commissione dell’abuso edilizio, né si può affermare che l’inerzia o la connivenza degli organi pubblici possano comportare una sostanziale sanatoria, che la legge invece disciplina solo in casi tassativi, o con leggi straordinarie sul condono o con la normativa sull’accertamento di conformità.

11. Costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che constatata l’esistenza di un abuso edilizio, l’ordine di demolizione – e, in caso d’inottemperanza, l’acquisizione al patrimonio del Comune – è atto vincolato che non richiede alcuna specifica valutazione di ragioni d’interesse pubblico e attuale alla demolizione, né comparazione con gli interessi privati coinvolti, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione d’illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 13 maggio 2016 n. 1948; Id., sez. VI, 5 maggio 2016 n. 1774).

12. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.

13. In assenza di costituzione del Comune resistente, nulla sulle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore

Dario Simeoli –

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