Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 29 gennaio 2016, n. 367

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8717 del 2015, proposto dalla

società Am. Co. Srl Un.;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo – Dir.Reg.Beni Culturali e Paesaggistici della Basilicata;

nei confronti di

Impresa Co. e Re. Vi. Mo. S.r.l.;

per la riforma della sentenza del T.A.R. BASILICATA – POTENZA, SEZIONE I, n. 00543/2015, resa tra le parti, concernente aggiudicazione dell’appalto per opere di riqualificazione e valorizzazione funzionale del Castello di (omissis);

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo – Dir.Reg.Beni Cult.E Paesagg.della Basilicata, nonché dell’Impresa Co. e Re. Vi. Mo. S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2015 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Spasiano e Del Duca, nonché l’avvocato dello Stato Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, sez. I, n. 543/15 del 20 agosto 2015 – con riferimento all’aggiudicazione definitiva di un appalto, per opere di riqualificazione e valorizzazione funzionale del castello di (omissis) – è stato accolto il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicataria (Impresa Co. e Re. Vi. Mo. s.r.l.) e dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso principale, proposto dalla società ricorrente (Am. Co. s.r.l.), seconda classificata nella procedura di gara.

Nella citata sentenza si rilevava in via prioritaria la fondatezza del ricorso incidentale, con riferimento alla omessa indicazione – nell’offerta della società ricorrente – dei costi di sicurezza specifici, a norma dell’art. 87 n. 4 e 86 n. 3 bis del d.lgs. n. 163 del 2006. Anche in difetto di una comminatoria espressa nella disciplina di gara, infatti, la mancata indicazione di cui trattasi renderebbe l’offerta incompleta sotto un profilo sostanziale, implicante esclusione dalla gara, in quanto si impedirebbe alla stazione appaltante un adeguato controllo sull’affidabilità dell’offerta stessa e sulla congruità dell’importo. Inapplicabile al caso di specie, inoltre, sarebbe stato l’istituto del soccorso istruttorio, non potendosi integrare successivamente un’offerta, originariamente carente sotto un profilo essenziale. La ricorrente Am. s.r.l., pertanto, avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse – dopo tale declaratoria – alla coltivazione dell’impugnativa.

Avverso la predetta sentenza la società Am. s.r.l. ha proposto l’atto di appello in esame (n. 8717/15, notificato in data 8 ottobre 2015), in base alle argomentazioni difensive di seguito sintetizzate:

1) violazione o falsa applicazione degli articoli 86, n. 3 bis e 87 n. 4 del d.lgs. n. 163 del 2006; errata interpretazione di pronuncia giurisdizionale (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 3 del 2015); violazione dei principi di affidamento, buon andamento e concorrenza; violazione del principio di buona fede ex art. 1366 cod. civ., in quanto l’offerta, ritenuta incompleta, era viceversa comprensiva dei costi della sicurezza, pur in assenza di separata indicazione (peraltro, non richiesta dal bando). In tale situazione, il mancato scorporo dei costi della sicurezza non potrebbe comportare esclusione dalla gara, pur essendo ipotizzabile la relativa incidenza sull’anomalia del prezzo, come desumibile dal combinato disposto degli articoli 86, comma 3 bis del d.lgs n. 163 del 2006 e 26, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008. La diversa interpretazione, fornita dall’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015, porrebbe regole non applicabili alle situazioni pregresse, per le quali dovrebbe ritenersi sempre percorribile la via del soccorso istruttorio. Venivano quindi riproposte le censure, prospettate col ricorso principale in primo grado.

2) Violazione o falsa applicazione degli articoli 37 e 118 del Codice dei contratti pubblici. Eccesso di potere, difetto di istruttoria, in quanto le imprese partecipanti dovevano essere in possesso di attestazioni, rilasciate da Organismi di attestazione (SOA), che documentassero la qualificazione nelle categorie richieste e classifica adeguata per il lavori da svolgere (OG2 – classifica III, per un importo pari a €. 572.651,75; OS30 – classifica II, per un importo pari a €. 451.340,46; OS6 – classifica II, per un importo pari a €. 323.068,42); nel caso di specie, l’aggiudicataria avrebbe posseduto la qualificazione prevista solo per la categoria prevalente OG2, con affermata intenzione di subappalto per le categorie, per le quali la stessa non possedeva la necessaria qualificazione, ma senza alcuna indicazione del soggetto sub-appaltatore: circostanza sufficiente per determinare l’esclusione; il subappalto, inoltre, sarebbe stato illegittimo, perché concernenti lavori in percentuale superiore al 30% dell’importo complessivo (cfr. parere dell’A.V.L.P. n. 174 del 23 ottobre 2013);

3) Violazione o falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 163 del 2006; violazione o falsa applicazione dell’art. 46 del d.lgs. n. 163/2006; eccesso di potere; violazione del giusto procedimento, avendo l’aggiudicataria dichiarato di non essere tenuta al rispetto delle norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, in quanto ditta con meno di quindici lavoratori dipendenti, mentre dalla visura camerale emergerebbero 44 addetti;

4) Violazione dell’art. 10 del disciplinare di gara; violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006; difetto di istruttoria; violazione del giusto procedimento, non essendo stata resa la dichiarazione – riferita all’assenza di misure di prevenzione, o altre cause ostative ex artt. 6 e 67 del d.lgs. n. 159/2011, nonché all’assenza di pronunce di condanna – per uno dei due soci di maggioranza;

5) Violazione dell’art. 5 del disciplinare di gara; eccesso di potere; difetto di istruttoria; violazione del giusto procedimento, in quanto l’obbligatoria polizza assicurativa, relativa alla responsabilità civile e professionale del progettista, ai sensi dell’art. 111 del Codice e dell’art. 269 del regolamento, sarebbe stata sostituita dal mero impegno di un agente assicurativo (non, come prescritto, da Istituto bancario o società assicuratrice) di emettere detta polizza, in caso di aggiudicazione dei lavori;

6) Violazione dell’art. 13, sub 7, del disciplinare di gara; eccesso di potere, difetto di istruttoria; violazione del giusto procedimento, non essendo state esplicitate nei termini prescritti le “condizioni di vantaggio competitivo”, tali da consentire economie sugli elementi costitutivi dell’offerta, in quanto risultava esplicitato dall’aggiudicataria, nel caso di specie, solo il valore percentuale e non il valore assoluto dei fattori, relativi al costo del lavoro, all’importo delle spese generali e dell’utile di impresa.

La società Mo. s.r.l., costituitasi in giudizio, ribadiva – in base alle pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 3 e 9 del 2015 – la non sanabilità, tramite soccorso istruttorio, dell’omessa indicazione nell’offerta dei costi della sicurezza.. Ugualmente infondate, inoltre, sarebbero state le censure prospettate avverso la regolarità dell’offerta della medesima società Mo., sia per il possesso delle necessarie qualifiche (per l’assorbimento, nella qualificazione OG11, della qualificazione in alcune categorie specialistiche, fra cui OS28 e OS30), con conseguente carattere non necessario del preannunciato subappalto e della relativa specificazione nominativa (peraltro, ritenuta comunque non obbligatoria in sede di presentazione dell’offerta). Quanto alle norme sul lavoro dei soggetti disabili, non vi sarebbe stato alcun vincolo al riguardo per l’aggiudicataria, in quanto solo 12 dipendenti della stessa sarebbero stati computabili ai fini di cui trattasi, ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68.

Quanto all’impegno di stipulare polizza assicurativa per la responsabilità civile, sarebbe stato del tutto valido quello proveniente da un soggetto, iscritto nell’elenco speciale degli intermediari finanziari al n. E000010514; tale impegno non era comunque richiesto a pena di esclusione dalla gara, in conformità all’art. 269 del d.P.R. n. 207 del 2010, che prevede tale dichiarazione alla data di sottoscrizione del contratto, a pena di ingiustificato aggravio del procedimento, con eventuale soccorso istruttorio in considerazione della tassatività delle cause di esclusione, ex art. 46, comma 1 bis del d.lgs. n. 163 del 2006.

Quanto alla dichiarazione ex art. 38, comma 1, lettere b), c) e m-ter) del medesimo d.lgs., non vi sarebbe stato alcun obbligo per i soggetti non titolari, come nel caso di specie, di quote di maggioranza. L’entità delle singole voci dell’offerta (costo del lavoro, spese generali ed utile di impresa), inoltre, sarebbe stata correttamente espressa, tramite specificazione del valore assoluto della prima di tali voci (per l’importo di €. 294.190,77) e indicazione percentuale degli altri parametri (rispettivamente, 15% e 10%), senza residuali margini di incertezza. Venivano infine riprodotti gli ulteriori motivi di ricorso incidentale, assorbiti in primo grado (violazione o falsa applicazione dell’art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006, nonché del punto 12.2 del disciplinare di gara sul programma dettagliato dei lavori e per omessa specificazione delle offerte migliorative ed additive).

Le argomentazioni sopra sintetizzate erano oggetto di ulteriori contestazioni dell’appellante e su tale base, nell’udienza in data odierna, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

La vicenda sottoposta all’esame del Collegio – in materia di appalto di lavori da parte di una pubblica amministrazione – presuppone, in primo luogo, la valutazione di un ricorso incidentale escludente, proposto in primo grado di giudizio, nei termini fatti propri dalla nota sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 7 aprile 2011, secondo cui il giudice non potrebbe valutare le ragioni difensive della parte ricorrente, senza avere prima esaminato e respinto le censure prospettate in via incidentale, per contestare la legittimità dell’ammissione della ricorrente stessa ad una procedura di gara. In base alla pronuncia sopra indicata, infatti, l’interesse a ricorrere – quale fondamento dell’azione ex art 100 cod. proc. civ., applicabile anche al processo amministrativo – non potrebbe sussistere in capo ad un soggetto privo dei requisiti per essere ammesso alla procedura selettiva contestata, nemmeno sotto il profilo residuale dell’interesse strumentale alla rimessa in discussione del rapporto controverso, data la natura ipotetica ed eventuale della rinnovazione della procedura contestata, secondo parametri ricadenti nella disponibilità dell’Amministrazione. Il carattere assolutamente prioritario del ricorso incidentale escludente, in effetti, è stato in parte censurato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella pronuncia in data 4 luglio 2013, relativa alla causa C-100/12 (Fa.), con riferimento alla contestazione della legittimità dell’offerta da parte dell’unico concorrente dell’aggiudicatario, per ragioni identiche a quelle, prospettate per invalidare l’offerta di quest’ultimo. In tale situazione l’omessa disamina delle censure del ricorrente principale, la cui offerta risultasse da escludere in accoglimento di ricorso incidentale, è stata dichiarata incompatibile con l’art. 1, par. 3, della direttiva n. 89/665/CEE del 21 dicembre 1989 (come modificata dalla direttiva n. 2007/66/CE in data 11 dicembre 2007), che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori. Quanto sopra, dovendosi ritenere che, nella situazione descritta, ciascuno dei due concorrenti potrebbe far valere un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offerta dell’altro, con conseguente impossibilità, per l’Amministrazione, di procedere alla scelta della migliore offerta, risultando ugualmente illegittime tutte quelle presentate.

Deve quindi temperarsi il principio del carattere assolutamente prioritario (e decisivo, ove accolto) del ricorso incidentale “escludente” nei confronti del ricorrente principale, ma solo in presenza di concorrenti, per ciascuno dei quali sussista, in base alla citata norma comunitaria, un interesse protetto – di natura residuale – all’azzeramento della procedura per assenza di offerte valide, con conseguente presumibile rinnovazione della procedura stessa. Detto carattere escludente può invece ravvisarsi quando – come nella situazione in esame – i concorrenti siano più numerosi e per alcuni di essi non sussistano contestazioni, in modo tale da non consentire il soddisfacimento dell’interesse residuale anzidetto, anche in caso di riconosciuta sussistenza di un vizio preclusivo per l’aggiudicazione, intervenuta a favore del ricorrente principale. E’ stato quindi affermato che l’esame “incrociato” delle censure, prospettate sia nel ricorso principale che in quello incidentale, deve essere ammesso, solo quando siano rimasti in gara due soli concorrenti e le rispettive offerte siano affette da vizio, inerente alla medesima fase procedimentale (cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 21 luglio 2015, n. 3615, 30 aprile 2015, n. 2190, 1 settembre 2015, n. 4089).

Quanto all’ordine di trattazione dei motivi di gravame, è stata anche sottolineata l’esigenza di seguire un “criterio di carattere cronologico-seguenziale”, ovvero riferito “al momento in cui il vizio in essi dedotto si è verificato, all’interno della procedura di gara in contestazione” (Cons. Stato, V, 24 ottobre 2013, n. 5155); come ulteriormente chiarito nella successiva sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 25 febbraio 2014, n. 9, si ritiene quindi che il giudice debba decidere disponendo le questioni prospettate in ordine logico, anteponendo le questioni di rito a quelle di merito, con priorità dei ricorsi incidentali solo ove a carattere escludente, in rapporto alla medesima fase procedimentale, ma anche con possibilità di esame prioritario del ricorso principale, per ragioni di economia processuale, ove quest’ultimo sia manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile (cfr. in tal senso anche Cons. Stato, Ad. Plen., n. 4 del 2011 cit.); l’esame dei ricorsi incidentali resta pertanto pregiudiziale, qualora la relativa definizione sia ostativa o preclusiva in rapporto alle ragioni dedotte col ricorso principale (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, IV, 18 marzo 2013, n. 1574 e 4 settembre 2013, n. 4449; Cons. giust. amm. Reg. Sic., sez. giurisd., 26 ottobre 2012, n. 1025; Cons. Stato, IV, 4 settembre 2013, n. 4449 e 18 marzo 2013, n. 1574).

Nella situazione in esame, dal verbale di aggiudicazione provvisoria del 23 gennaio 2015 risulta collocata in graduatoria anche una terza società (Ed. Co s.r.l.), di modo che può riconoscersi il carattere escludente del ricorso incidentale, proposto dalla società prima classificata (Vi. Mo. s.r.l.), nel giudizio avviato dall’impresa collocata al secondo posto in graduatoria (Am. Co. s.r.l.); quanto sopra, benché detto ricorso incidentale prospettasse nei confronti dell’aggiudicataria una ragione escludente, riferita ad una fase procedimentale (possesso dei requisiti di partecipazione) antecedente a quella di esame delle offerte, nell’ambito della quale l’attuale appellante avrebbe dovuto essere escluso dalla gara.

Anche a livello comunitario infatti, come in precedenza ricordato, è stata esclusa la possibilità di sacrificare la posizione di uno soltanto dei due concorrenti in gara, in presenza di censure “incrociate” attinenti alla medesima fase procedurale, senza però rinnegare l’impianto della citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, circa la prioritaria necessità che il processo amministrativo sia sorretto, fino alla data della pronuncia, da un interesse diretto ed attuale, consistente nella possibilità di perseguire il bene della vita, anche per equivalente (ovvero tramite aggiudicazione o risarcimento del danno), ovvero di soddisfare quanto meno l’interesse residuale a nuove chances di aggiudicazione, in caso di rinnovazione della procedura di gara. E’ corretto, pertanto, che la sussistenza di interesse attuale del ricorrente continui a trovare prioritaria disamina e che – una volta accolto il ricorso incidentale, da cui discende la non perseguibilità di un interesse anche residuale, in presenza di più concorrenti – il ricorso principale non sia più esaminato, a meno che non se ne ravvisino l’irricevibilità, l’inammissibilità o anche, ad avviso del Collegio, la manifesta infondatezza, per una pronuncia che sia frutto di più completa trattazione (da ritenersi comunque opportuna e rilevante, tenuto conto, in particolare, della persistente potestà di autotutela dell’Amministrazione).

Non sembra quindi inutile considerare che, nel caso di specie, l’impugnativa appare infondata, non solo per quanto riguarda la contestazione della ravvisata ragione escludente del medesimo appellante, a seguito del ricorso incidentale proposto in primo grado, ma anche con riferimento al possesso dei requisiti di partecipazione della società aggiudicataria, appunto per manifesta infondatezza delle censure al riguardo proposte.

Il Collegio ritiene di dover seguire, in ogni caso, l’ordine di trattazione dei motivi, come prospettato nell’atto di appello, essendo già stato oggetto di pronuncia l’invalidità dell’offerta della seconda classificata nella procedura di gara di cui trattasi, con le già enunciate conseguenze in tema di legittimazione attiva all’impugnazione dell’esito della gara.

Tale invalidità è stata ricondotta all’omessa specificazione, nell’offerta economica, dei costi relativi alla sicurezza: questione, quella appena indicata, a lungo dibattuta, ma che può ritenersi definita dopo due successive pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (nn. 3 del 20 marzo 2015 e 9 del 2 novembre 2015). Nella prima delle citate pronunce si esamina, in particolare, il non univoco indirizzo giurisprudenziale, in materia di obbligatorietà della specificazione di cui trattasi sia per gli appalti di forniture e di servizi, sia per gli appalti di lavori, pur mancando per questi ultimi una disposizione espressa; tale disposizione, tuttavia, è stata ritenuta deducibile da un’interpretazione sistematica, nonché costituzionalmente orientata, delle norme regolatrici della materia (art. 26, comma 6 del d.lgs. n. 81 del 2008, articoli 86, comma 3 bis e 87, comma 4 del d.lgs. n. 163 del 2006). Se, infatti, l’esigenza di specificare nell’offerta i costi della sicurezza è generalizzata, quando si tratti di valutare l’eventuale anomalia dell’offerta, non sarebbe logico che la prescrizione non fosse ritenuta invalidante dell’offerta stessa – ove disattesa – solo per i lavori, in cui i rischi per la sicurezza sono normalmente più elevati. Detto carattere invalidante – nonché l’inammissibilità al riguardo del cosiddetto soccorso istruttorio, di cui all’art. 46, comma 1, del citato d.lgs n. 163 del 2006 – appaiono d’altra parte riconducibili alla peculiare natura dei costi per la sicurezza: quelli da interferenza (fissi e non soggetti a ribasso), relativi alla tutela della salute e alla prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro e soprattutto quelli interni, o aziendali, propri di ciascuna impresa e riferiti allo specifico appalto in discussione, questi ultimi influenzati dall’organizzazione produttiva e dal tipo di offerta predisposta da ciascuna impresa. Il carattere, almeno in parte, soggettivo e discrezionale della determinazione dei costi di cui trattasi rende la relativa indicazione, ragionevolmente, elemento essenziale dell’offerta, non integrabile ex post senza sostanziale lesione della par condicio dei concorrenti (in quanto, in caso contrario, l’impresa interessata sarebbe chiamata ad operare, in via successiva, non una mera integrazione documentale su requisiti, già posseduti al momento dell’offerta, ma veri e propri aggiustamenti negli equilibri interni dell’offerta stessa, al fine di bilanciare il giudizio di anomalia, peraltro solo ove in concreto avviato). E’ stato quindi affermato che, nelle procedure di affidamento dei lavori, i partecipanti alla gara debbono indicare nell’offerta economica i costi per la sicurezza, pena l’esclusione dell’offerta anche se non prevista dal bando di gara, in base al medesimo art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006.

Per le ragioni esposte, il Collegio condivide tale principio di diritto, anche per quanto riguarda la natura meramente ricognitiva e dichiarativa del relativo riconoscimento: natura ribadita nella successiva pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9/15 del 2 novembre 2015; è dunque irrilevante che la procedura di gara di cui si discute si sia svolta in gran parte prima della citata pronuncia della medesima Adunanza Plenaria n. 3 del 2015.

Il primo motivo di gravame, contenuto nell’atto di appello, è dunque da respingere, con conseguente conferma della sentenza appellata sotto tale profilo, il cui carattere assorbente è già stato sottolineato nell’ambito della presente decisione.

Quanto sopra non esclude che il medesimo Collegio possa rilevare, in ogni caso, anche la manifesta infondatezza degli altri motivi di gravame, riproposti in appello e già oggetto di ricorso principale in primo grado.

Per quanto riguarda, in primo luogo, la prospettata assenza, in capo all’aggiudicataria Co. Mo. s.r.l.., di tutte le qualificazioni previste (OG2, classifica III, OS30, classifica II e OS6, classifica II), con preannunciata intenzione di subappaltare le opere, per le quali la qualificazione non sarebbe stata posseduta, senza specificazione del soggetto subappaltatore, l’appellata controdeduce validamente di essere qualificata a partecipare alla gara – ex art. 92 del d.P.R. n. 207 del 5 ottobre 2010, recante regolamento di esecuzione ed attuazione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE – già in base alla qualificazione posseduta per la categoria prevalente (OG2, restauro), per l’intero importo dei lavori, senza alcuna necessità di indicare in sede di offerta i soggetti subappaltatori per le categorie specialistiche (OS30, impianti interni e OS6, finiture in materiali lignei, plastici e vetrosi); non è smentito, peraltro che la stessa impresa Mo. sia in possesso delle seguenti qualifiche: OG1, classifica V, OG2, classifica VII e OG11, classifica IV, quest’ultima attestante anche il possesso dei requisiti per eseguire opere specialistiche, fra cui quelle ascritte alla categoria OS30, a norma dell’art. 79, comma 16, del citato d.P.R. n. 207 del 2010. La categoria scorporabile OS6, inoltre, non risulta a qualificazione obbligatoria. Pertanto, non infondatamente l’appellata rappresenta come l’eccepito superamento della percentuale del 30% del valore totale dell’appalto, per le opere da subappaltare comporterebbe – nella ricorrente situazione di subappalto a carattere non necessario, in quanto non destinato a supplire a carenze dei requisiti di partecipazione – concentrazione nella fase esecutiva delle prestazioni eccedenti (per le quali l’aggiudicatario fosse comunque qualificato) e non esclusione dalla gara dell’aggiudicatario stesso (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1224). Quanto alla omessa specificazione, in sede di offerta, delle ditte subappaltatrici, il Collegio non ha ragione di discostarsi da quanto statuito nella già ricordata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2015, secondo cui non emerge dal quadro normativo di riferimento una specifica prescrizione in tal senso, richiedendosi soltanto – in base al combinato disposto degli articoli 92, comma 7 e 109, comma 2 del medesimo d.P.R. n. 207, nonché 37, comma 11 del d.lgs. n. 163 del 2006 – che l’impresa non in possesso della qualificazione per le opere scorporabili ne affidi l’esecuzione in subappalto a ditte in possesso di detta qualificazione, mentre l’art. 118 del medesimo d.lgs. n. 163 prevede soltanto, in tema di esecuzione del contratto, che l’aggiudicatario – dopo avere dichiarato nell’offerta che i lavori sarebbero stati oggetto di subappalto – depositi, poi, il relativo contratto almeno venti giorni prima dell’inizio delle lavorazioni. Non è stato quindi ravvisato alcun obbligo di specificare le ditte subappaltatrici già in fase di offerta.

Non appaiono ravvisabili, inoltre, le cause di esclusione ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, che nel terzo e nel quarto motivo di gravame vengono riferite, rispettivamente, ad inosservanza delle norme sul diritto al lavoro dei disabili e all’assenza di misure di prevenzione o pronunce di condanna per uno dei due soci di maggioranza. Sotto il primo profilo, infatti, appare ragionevole che l’impresa aggiudicataria abbia fatto riferimento nell’offerta ai lavoratori impegnati nel settore oggetto dell’appalto, ovvero nel settore edile, per i quali esiste esonero dall’obbligo di cui trattasi, a norma dell’art. 5, comma 2della legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), ferma restando la possibilità per la stazione appaltante di richiedere chiarimenti, a norma dell’art. 46, comma 1 del d.lgs. n. 163 del 2006. Quanto alle dichiarazioni, relative all’assenza di misure di prevenzione e di condanna, appaiono in effetti sufficienti quelle del direttore tecnico e dell’amministratore unico, non avendo il terzo socio una quota di maggioranza, tale da poter influenzare la conduzione aziendale (cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. Plen., 6 novembre 2013, n. 24).

La quinta e la sesta censura (riferite ad insufficienza del mero impegno di un agente assicurativo di emettere l’obbligatoria polizza di assicurazione e la violazione del disciplinare di gara, per mancata esplicitazione delle condizioni di vantaggio competitivo) non configurano ragioni escludenti, riguardando questioni per le quali sarebbe comunque stato ammesso il soccorso istruttorio, fermo restando che la polizza assicurativa è stata poi regolarmente prodotta, mentre le richiamate condizioni erano comunque contenute nell’offerta, in termini percentuali.

Per le ragioni esposte il Collegio ritiene che l’appello sia complessivamente infondato, mentre le ulteriori questioni incidentali, riproposte dalla parte appellata, possono essere assorbite.

Quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio ritiene di poterne disporre la compensazione, tenuto conto della complessità delle questioni sottoposte a giudizio e della novità di alcuni indirizzi giurisprudenziali, alla data di svolgimento della procedura concorsuale contestata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere

Gabriella De Michele – Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder – Consigliere

Maddalena Filippi – Consigliere

Depositata in Segreteria il 29 gennaio 2016.

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