Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 10 maggio 2017, n. 2158

La dichiarazione ex articolo 38, è sempre utile perché l’amministrazione sulla base di quella può/deve decidere la legittima ammissione alla gara e conseguentemente la sua difformità dal vero o la sua incompletezza non possono essere “sanate” ricorrendo alla categoria del falso innocuo

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 10 maggio 2017, n. 2158

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5256 del 2013, proposto da Be. Un. Co. s.p.a. (già Ch. s.r.l.), in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dall’avvocato Su. Co., con domicilio eletto presso lo studio della stessa in Roma, via (…);

contro

Fondazione del Te. alla Sc. di Milano, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. Ma. e Fr. Br., con domicilio eletto presso lo studio legale Vi. Ri. Di Me. in Roma, piazza (…);

nei confronti di

Ti. s.p.a., in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ci., Gu. Ba. e Ma. Al. Ba., con domicilio eletto presso lo studio legale Ci. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA -MILANO -SEZIONE III, n. 1332 del 2013, resa tra le parti, concernente l’affidamento del sistema di biglietteria informatizzata per la vendita di biglietti e di abbonamenti, con la quale è stato accolto il ricorso incidentale proposto da Ti., prima classificata, avverso l’ammissione alla procedura della ricorrente Ch., seconda classificata, e per l’effetto sono stati dichiarati inammissibili il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti indicati in epigrafe, ed è stata respinta la domanda di risarcimento del danno formulata dalla ricorrente principale Ch.;

Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Fondazione Te. alla Sc. di Milano e di Ti.;

Vista l’ordinanza n. 3541 del 2013 con la quale la Sezione ha respinto l’istanza cautelare dell’appellante;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 2 marzo 2017 il cons. Marco Buricelli e uditi gli avvocati Su. Co. per la società appellante, Al. Pi., in dichiarata sostituzione dell’avv. Fr. Br., per la Fondazione Te. alla Sc., e Gi. Lo Pi., su delega dell’avv. Fa. Ci., per la società Ti.;

Rilevato in via preliminare che in base a quanto dispone l’art. 120, comma 10, del cod. proc. amm., nelle controversie di cui all’art. 119, comma 1, lett. a) del medesimo c.p.a., la sentenza è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui all’art. 74 del c.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Giunge in decisione l’appello interposto dalla società Ch. s.r.l. (ora, Be. Un. Co. in forza di atto pubblico di fusione per incorporazione del 21 dicembre 2015) contro la sentenza n. 1332 del 2013 con la quale il Tar Lombardia- Milano ha accolto il ricorso incidentale presentato dalla s.p.a. Ti., prima classificata nella procedura di gara in epigrafe, nell’ambito del giudizio instaurato dalla società Ch., seconda classificata, avverso l’aggiudicazione definitiva, e, per l’effetto, ha dichiarato che la società Ch. andava estromessa dalla gara e che i ricorsi introduttivo e per motivi aggiunti della stessa “devono essere dichiarati inammissibili per carenza di legittimazione” ad agire, dal che consegue anche la reiezione delle domande risarcitorie formulate dalla ricorrente in via principale.

2.Va premessa una sintetica ricostruzione della vicenda, anche processuale.

Nel 2012 la Fondazione Te. alla Sc. di Milano ha indetto una procedura di gara per l’affidamento di un sistema di biglietteria informatizzata per la vendita di biglietti e abbonamenti, relativi agli spettacoli organizzati dalla Fondazione, comprensivo del supporto hardware e software e del servizio, non esclusivo, di vendita e di incasso limitatamente alle prevendite on-line e nei punti vendita autorizzati, con contratto accessorio di sponsorizzazione delle attività istituzionali e degli eventi culturali promossi e/o organizzati dalla Fondazione, della stessa durata del servizio di biglietteria.

Alla gara hanno partecipato tre concorrenti.

Al termine delle operazioni si è classificata al primo posto la società Ti., mentre Ch. è giunta seconda.

Con atto del 21.6.2012 è stata comunicata l’aggiudicazione definitiva della procedura.

Ch. ha impugnato provvedimenti e atti della gara avanti al Tar di Milano, con sette motivi, e ha chiesto il risarcimento del danno in forma specifica e per equivalente.

La Fondazione e la società Ti. si sono costituite per resistere.

L’aggiudicataria Ti. ha proposto ricorso incidentale con tre motivi deducendo, tra l’altro, l’illegittima mancata esclusione di Ch. dalla procedura.

Con ordinanza n. 1241 del 2012 il Tar ha accolto l’istanza cautelare, considerando il ricorso fondato, a un primo esame, con riferimento alla censura rivolta alla (illegittimità della) valutazione dell’offerta tecnica mediante punteggi in forma soltanto numerica, in difetto di criteri prefissati di valutazione, adeguatamente dettagliati.

In seguito al rinnovo delle operazioni di gara, nel novembre del 2012 la Fondazione resistente ha affidato il servizio, nuovamente, a Ti., dopo di che Ch. ha proposto motivi aggiunti contro la nuova aggiudicazione definitiva alla controinteressata.

Con la sentenza in epigrafe il Tar ha “scrutinato” in via preliminare il ricorso incidentale “paralizzante” di Ti., poiché la eventuale fondatezza del medesimo avrebbe comportato la inammissibilità, per carenza di legittimazione ad agire, del ricorso introduttivo e di quello per motivi aggiunti proposti dalla ricorrente principale Ch., accogliendolo (v. p. 2.1. della sentenza, pagine 13 e 14), e ciò sull’assunto preliminare che non risulta contestata la mancanza, nella documentazione prodotta da Ch., delle dichiarazioni personali da parte del proprio presidente e legale rappresentante, e di uno dei consiglieri, qualificato come rappresentante dell’impresa; e sul rilievo per cui la mancanza, nella “lex specialis”, di una previsione specifica relativa all’obbligo, in capo agli amministratori, di rilasciare una siffatta dichiarazione a pena di esclusione dalla gara, non appare decisiva, atteso che gli obblighi dichiarativi previsti dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 debbono ritenersi imposti a prescindere da una espressa previsione della legge di gara, che viene autonomamente eterointegrata dalla disposizione in questione. Né può essere condivisa la tesi della ricorrente principale in base alla quale sarebbe irrilevante la omessa dichiarazione in ordine alla insussistenza di cause di esclusione da parte dei legali rappresentanti della impresa, qualora non vi siano in concreto elementi ostativi alla partecipazione alla procedura, come è pacifico nella specie, e questo perché “nelle procedure di evidenza pubblica la completezza [e, a fortiori, l’esistenza] delle dichiarazioni (…) è già di per sé un valore da perseguire perché consente – anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità – la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara. Conseguentemente una dichiarazione inaffidabile (perché falsa o incompleta) è già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma a prescindere dal fatto che l’impresa meriti “sostanzialmente” di partecipare alla gara. In altri termini, nel diritto degli appalti occorre poter fare affidamento su una dichiarazione idonea a far assumere tempestivamente alla stazione appaltante le necessarie determinazioni in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara o alla sua esclusione. La dichiarazione ex articolo 38, dunque, è sempre utile perché l’amministrazione sulla base di quella può/deve decidere la legittima ammissione alla gara e conseguentemente la sua difformità dal vero o la sua incompletezza non possono essere “sanate” ricorrendo alla categoria del falso innocuo” (Consiglio di Stato, III, 16 marzo 2012, n. 1471)”.

Dall’accoglimento del ricorso incidentale e dalla conseguente estromissione di Ch. dalla procedura di gara è derivato il venire meno dell’interesse della seconda classificata alla decisione dei ricorsi, introduttivo e per motivi aggiunti, i quali sono stati dichiarati inammissibili per carenza di legittimazione della stessa Ch., dal che è conseguita anche la reiezione delle domande risarcitorie.

3.Il ricorso in appello di Ch. -non sintetico (arg. ex art. 3, comma 2, del c.p.a.)- è suddiviso in due parti.

Dopo avere riepilogato la vicenda in fatto e lo svolgimento del giudizio di primo grado, l’appellante, nella parte in Diritto, al p. I.1. e I.2. (da pag. 22 a pag. 29 ric. app.), ha contestato la sentenza anzitutto per avere, il Tar, esaminato in via prioritaria le censure del ricorso incidentale di Ti., denegando giustizia sostanziale alla ricorrente in via principale, anziché sottoporre a disamina le censure del ricorso principale, tanto più considerando che, oltre alle doglianze sulle operazioni di gara propriamente dette, ve n’era una diretta a rilevare l’illegittimità della composizione della commissione giudicatrice, vale a dire, a contestare in radice la legittimazione dell’organo che avrebbe dovuto procedere all’esclusione della ricorrente principale dalla gara.

Inoltre, la sentenza avrebbe errato nel considerare gli obblighi dichiarativi suindicati, e non adempiuti, capaci di imporre l’esclusione della concorrente dalla procedura di gara.

Dal p. II.1. in poi (v. pagine 30 -89 ric. app.), l’appellante ha fatto “riemergere”, riproponendoli, i motivi di censura, dedotti in primo grado con il ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti, non esaminati dal giudice di prima istanza.

E’ stata quindi formulata, in via subordinata, istanza risarcitoria.

Nella resistenza della Fondazione e della società Ti., l’istanza cautelare è stata rigettata da questa sezione con l’ordinanza n. 3541 del 2013, per insufficiente “fumus boni juris”, con riferimento alla non contestata carenza, nella documentazione prodotta da Ch., delle dichiarazioni personali del presidente e legale rappresentante, e di uno dei consiglieri, qualificato come rappresentante della impresa, a mente dell’art. 38, comma 1, lett. c) e d) del d.lgs. n. 163 del 2006.

Nel dicembre del 2013 la Fondazione e Ti. hanno sottoscritto il contratto di appalto, di durata triennale.

La prestazione contrattuale risulta essere stata integralmente eseguita.

Nel mese di ottobre del 2016 la Fondazione ha indetto una procedura ristretta rivolta all’aggiudicazione del medesimo servizio per il prossimo quadriennio; procedura che nel febbraio del 2017 era in corso di svolgimento. Il contratto con Ti. risulta attualmente prorogato in attesa dell’individuazione del successivo contraente.

In prossimità della udienza di discussione le parti hanno illustrato le posizioni rispettive con memorie e repliche, e all’udienza del 2.3.2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

4.L’appello è infondato e va respinto. La sentenza impugnata va confermata, sia pure con le integrazioni motivazionali e le precisazioni di cui in appresso.

Il Tar non ha sbagliato né nel dichiarare inammissibili il ricorso introduttivo e l’atto di motivi aggiunti, per carenza di legittimazione ad agire in capo alla società Ch. (ora, Be. Un.); e nè nell’accogliere il ricorso incidentale dell’aggiudicataria Ti. On.

4.1. Sotto quest’ultimo profilo, nel condividere la posizione assunta dalla sezione in sede cautelare, e rammentato che la procedura di gara risale al 2012, dev’essere anzitutto puntualizzato che:

-il bando di gara, depositato in giudizio, al p. III.2.1. prescriveva di accludere alla domanda di partecipazione, a pena di esclusione, una dichiarazione ex d.P.R. n. 445 del 2000 con la quale il legale rappresentante della concorrente dichiarasse “a) l’insussistenza delle cause di esclusione dalle gare pubbliche di cui art. 38 del D. Lgs. 163/2006, dichiarazione da rendere anche da parte degli altri soggetti indicati nel disciplinare…”; e

-il disciplinare di gara, a pena di esclusione, richiedeva sub 3.b l’inserimento nel plico di una dichiarazione sostitutiva ex d.P.R. n. 445 del 2000 relativa -per quanto qui rileva- “3.b.2) (alla) insussistenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006”, precisando che “la dichiarazione sull’inesistenza delle condizioni di cui all’art. 38, comma 1, lettere b) e c) del D. Lgs. 163/2006 va resa individualmente anche dai seguenti soggetti non firmatari dell’istanza di partecipazione alla gara: (…) – altri tipi di società amministratori con poteri di rappresentanza e Direttore Tecnico – Procuratori Speciali o generali delle società”.

Viene in rilievo quindi, come bene ha osservato parte appellata, una sanzione espulsiva correlata in modo esplicito alla mancata produzione delle dichiarazioni personali “de quibus”, che – sempre per previsione esplicita delle norme di gara – dovevano essere rese individualmente.

Nonostante queste richieste inequivoche, Ti. ha riscontrato, nella documentazione di partecipazione di Ch. (e il punto non è contestato):

-la carenza della dichiarazione individuale del signor Lu. Mo., presidente e legale rappresentante, il quale ha unicamente formulato e sottoscritto una dichiarazione generica “in incertam personam” riferita alla impresa nel suo complesso, essendosi limitato a dichiarare “che l’impresa dal medesimo rappresentata non si trova in alcuna delle condizioni previste nell’art. 38, da intendersi qui integralmente richiamato”, senza presentare in allegato la dichiarazione apposita sulla inesistenza nei propri confronti delle cause di esclusione personale di cui al citato art. 38, comma 1;

-la carenza di qualsiasi dichiarazione del signor Ar. Pe., consigliere -“rappresentante dell’impresa”, come risulta in atti, nonché -sempre come si ricava dagli atti- presidente del Consiglio di amministrazione e consigliere delegato cessato nel giugno del 2011 e quindi nell’anno antecedente la pubblicazione del bando, avvenuta il 27.1.2012.

Ed è corretto che la dichiarazione del signor Pe. fosse imprescindibile, rientrando quest’ultimo nel novero dei soggetti di cui alle lett. b) e c) del comma 1 del citato art. 38, espressamente richiamate dalla “lex specialis”, tanto per i poteri “decisionali e gestionali” e di rappresentanza posseduti all’epoca della partecipazione, quanto per i poteri cessati.

A nulla rileva poi in senso contrario il mancato richiamo esplicito, nella “lex specialis”, agli amministratori cessati, dato che l’art. 38 cit. è una norma imperativa che etero integra le leggi di gara (in tema di amministratori di società incorporate si veda Cons. Stato, Ad. plen. , n. 21 del 2012).

Esaminando più nello specifico le argomentazioni addotte da Ch. nel ricorso in appello e puntualizzate in memoria, le stesse sono sintetizzabili come segue: le cause di esclusione dalle gare sono tassative; nel caso in esame viene in questione una dichiarazione soltanto incompleta, in quanto riferita alla società, e non una omessa dichiarazione sul possesso dei requisiti di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38; nella specie doveva trovare applicazione il principio del c. d. “soccorso istruttorio” e Ch. doveva essere invitata a regolarizzare la propria situazione, in una prospettiva di carattere “sostanzialistico” -su cui v. Cons. Stato, Ad. plen. n. 16 del 2014- incentrata sull’esigenza di verificare in concreto la sussistenza -pacifica, del resto- dei requisiti richiesti.

Ciò posto, anche per questo collegio di appello i rilievi difensivi appena riepilogati sono superabili, e ciò alla stregua:

-delle sopra trascritte prescrizioni inderogabili -e inequivoche- della “lex specialis”, stabilite a pena di esclusione;

-della carenza di qualsiasi dichiarazione individuale del presidente e legale rappresentante della s.p.a. Ch. o, comunque, della carenza di elementi essenziali nella dichiarazione del presidente della società, oltremodo generica, riferita alla impresa e priva di qualsiasi richiamo a cause di esclusione “personali” e “individuali”;

-della mancanza, come si è già rilevato, di qualsivoglia dichiarazione da parte del signor Pe., consigliere e rappresentante della impresa, a nulla rilevando in contrario “il tentativo di Ch. di ridimensionare i poteri del signor Pe.” mediante il riferimento al compito specifico di esercitare “le attività di pubbliche relazioni e di promozione della società”, il che non esclude la sussistenza della carica di “consigliere -rappresentante della impresa” e dei relativi poteri;

-del fatto che la procedura risale al 2012, è stata cioè indetta, e si è svolta, prima della introduzione, nell’art. 38, del comma 2 bis, sulla integrazione e/o regolarizzazione delle dichiarazioni mancanti o incomplete, avvenuta con il d. l. n. 90 del 2014, conv. dalla l. n. 114 del 2014, e risulta dunque sottratta alla nuova disciplina di cui al menzionato comma 2 bis; e della circostanza, rilevata da Ti. in modo puntuale e condivisibile, per cui, diversamente da quanto considerato nella sentenza Cons. Stato, Ad. plen. , n. 16 del 2014, nel caso oggi in esame la “lex specialis” richiede(va) in modo esplicito e a pena di esclusione le dichiarazioni individuali dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, e non solo -come nel caso posto a base della menzionata sentenza dell’Ad. Plen. – una dichiarazione sostitutiva generale di non trovarsi in nessuna delle condizioni di esclusione dalla partecipazione alle gare, ex art. 38, vale a dire una dichiarazione generica di insussistenza dei motivi di esclusione, il che vale a differenziare le presente fattispecie da quella che ha formato oggetto della citata decisione dell’Adunanza plenaria (si veda, con riguardo a una vicenda non priva di elementi di somiglianza con il giudizio odierno, la sentenza Cons. Stato, sez. III, n. 395 del 2015, relativa a una fattispecie contraddistinta da una dichiarazione generica e incompleta resa dall’amministratore della società aggiudicataria, nella quale -sentenza- si legge che “il caso all’esame si rivela dunque nella sostanza diverso da quello oggetto della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 16/2014 (che tutte le parti nelle ultime difese richiamano a sostegno delle rispettive tesi), che ha concluso sì per la non necessità della menzione nominativa, nella dichiarazione sostitutiva relativa al possesso dei requisiti di cui all’art. 38 cit., di tutti i soggetti muniti di rappresentanza legale dell’impresa (sempre che la identificabilità delle persone stesse sia possibile mediante la consultazione di registri pubblici), ma solo e proprio perché in quel caso la lex specialis non richiedeva tale contestuale indicazione; nella fattispecie all’esame, invece, essa è espressamente prevista proprio al fine di riferire ai soggetti così indicati (e solo ad essi) la successiva dichiarazione, resa nell’àmbito della stessa ed unitaria manifestazione di conoscenza, della assenza di cause di esclusione per gli amministratori, pur genericamente indicati, muniti di poteri di rappresentanza…”);

-della perdurante applicabilità, nel contesto normativo (e giurisprudenziale) dell’epoca, del principio per cui la carenza di elementi essenziali nelle dichiarazioni “de quibus” impone(va) l’esclusione, senza poter considerare la suddetta carenza come una irregolarità sanabile, con il corollario della ininfluenza della avvenuta produzione, in un momento successivo, di documentazione attestante il possesso effettivo dei requisiti, posto che, opinando diversamente, qualsiasi carenza delle dichiarazioni ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 potrebbe essere surrogata in giudizio, in contrasto con il principio della “par condicio” dei concorrenti.

4.2. Per quanto riguarda poi l’ordine di esame tra ricorso principale, e ricorso incidentale c. d. “paralizzante”, e la pretesa di parte appellante a un vaglio prioritario del ricorso principale, anzitutto il collegio ritiene di poter rinviare, ai sensi degli articoli 74 e 120, commi 10 e 11, del cod. proc. amm., alla ricognizione delle regole sull'”ordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale nelle controversie relative all’aggiudicazione di appalti pubblici” effettuata ultimamente da Cons. Stato, sez. III, con la sentenza n. 3708 del 2016 (v. in particolare dal p. 3.3.), per effetto della quale, per ciò che qui più rileva, qualora l’applicazione della “regola cristallizzata” nelle sentenze della CGUE “Fa.” 4 luglio 2013, C-100/12, e Consiglio di Stato, Ad. plen. , n. 9 del 2014, “precluda, nel caso concreto, l’esame del ricorso principale, quando, tuttavia, dal suo accoglimento il ricorrente possa ricavare la soddisfazione dell’interesse strumentale alla rinnovazione della gara, le esigenze di effettività della tutela delle posizioni soggettive di derivazione europea impongono l’esame nel merito del ricorso principale… (deve escludersi che la Corte del Lussenburgo, con la sentenza 5 aprile 2016, C-689/13, Pu.) abbia inteso prescrivere l’esame del ricorso principale anche nelle situazioni di fatto in cui dal suo accoglimento il ricorrente principale non ritrarrebbe alcun vantaggio, neanche in via strumentale… 3.6- Una interpretazione che ammettesse sempre l’obbligo dell’esame del ricorso principale, a prescindere da qualsivoglia scrutinio in concreto della sussistenza di un interesse (anche strumentale) alla sua decisione, dev’essere, in particolare, rifiutata perché si rivelerebbe del tutto incoerente sia con il richiamo, ivi operato, all’art. 1 della direttiva n. 89/665 CEE, quale norma che resterebbe violata da una regola che preludesse l’esame del ricorso principale, sia con il rispetto del principio generale, di ordine processuale, codificato dall’art. 100 c.p.c. (e da intendersi richiamato nel processo amministrativo dall’art. 39, comma 1, c.p.a.)…quanto al primo profilo… per quanto possa estendersi la nozione di interesse processualmente rilevante fino a comprendervi l’accezione anche di un interesse strumentale alla rinnovazione della procedura, non possono certo ravvisarsi gli estremi della condizione dell’azione in questione in una situazione in cui dall’accoglimento del ricorso non derivi neanche il limitato effetto dell’indizione di una nuova procedura…3.8- In ordine all’aspetto della compatibilità con il principio generale secondo cui “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa essa è necessario avervi interesse” (art. 100 c.p.c.), si rivela che la sentenza europea non può certo essere decifrata come produttiva dell’effetto di scardinare il predetto canone, nella misura in cui risulta espressivo di una regola generale valida, per la sua intuitiva valenza logica e sistematica, in ogni ordinamento processuale. 3.9- Alle considerazioni che precedono consegue l’affermazione del principio, del tutto compatibile con la formulazione della regola contenuta nella sentenza c.d. Pu., per cui l’esame del ricorso principale (a fronte della proposizione di un ricorso incidentale “escludente”) è doverosa, a prescindere dal numero delle imprese che hanno partecipato alla gara, quando l’accoglimento dello stesso produce, come effetto conformativo, un vantaggio, anche mediato e strumentale, per il ricorrente principale, tale dovendosi intendere anche quello al successivo riesame, in via di autotutela, delle offerte affette dal medesimo vizio riscontrato con la sentenza di accoglimento, mentre resta compatibile con il diritto europeo sull’effettività della tutela in subiecta materia una regola nazionale che impedisce l’esame del ricorso principale nelle ipotesi in cui dal suo accoglimento il ricorrente principale non ricavi, con assoluta certezza, alcuna utilità (neanche in via mediata e strumentale)” (così, Cons. Stato, III, n. 3708 del 2016 cit.).

Nella controversia oggi all’esame della sezione, precisato che gli operatori partecipanti alla procedura erano tre, va rimarcato che le contestazioni della ricorrente principale e di quella incidentale non sono speculari; i ricorsi non sono diretti cioè a conseguire reciproche esclusioni; in nessun punto del ricorso principale di Ch. si fa questione di vizi attinenti alla legittimazione della Ti. a partecipare alla procedura; il ricorso principale non è dunque “escludente” e al quesito se, dall’accoglimento dei motivi di censura non esaminati in primo grado e riproposti in appello, la società Ch. (ora, Be. Un.) sia in grado di ricevere o no una utilità anche solo strumentale la risposta da dare dev’essere negativa, sussistendo i presupposti perché trovi applicazione la regola impeditiva dell’esame del ricorso principale.

Ma anche a voler porre in risalto, come Ch. ritiene di fare, in una prospettiva basata sull’esame prioritario dei motivi del ricorso principale, tra le censure non esaminate dal Tar e riproposte in appello, quella (sub V, da pag. 51 ric. app.; v. anche pag. 23 ric. cit.) diretta a dedurre l’illegittimità della nomina della stessa commissione giudicatrice, vale a dire a contestare la legittimazione dell’organo competente all’ammissione o all’esclusione dalla procedura, e ciò sull’assunto della insufficiente qualificazione professionale dei componenti prescelti; anche a voler far ciò, la censura, pur prescindendo dai profili di inammissibilità segnalati dall’appellata Ti. in relazione a una “ritenuta incompetenza della Commissione giudicatrice esposta in termini apodittici e sprovvista di qualsivoglia elemento e supporto”, andrebbe -come difatti va- respinta nel merito poiché chiaramente infondata, atteso che, come puntualmente osserva la Fondazione, presidente e componenti della commissione giudicatrice sono stati nominati nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006, a cominciare dalla qualifica del presidente come dirigente della Fondazione.

Per il resto, dall’esame dell’atto di appello nella parte in cui (da pag. 32 a pag. 89) vengono riproposti i motivi di censura dedotti nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti, emerge con evidenza che le censure del ricorso principale riguarda(va)no le operazioni di gara, sul presupposto -come si è rilevato sopra, al p. 4.1.- non condiviso né da Ti. e né dal giudice amministrativo- della regolare partecipazione di Ch. alla procedura.

In definitiva, in modo corretto, fermo rimanendo, tuttavia, quanto puntualizzato sopra in ordine alla evidente infondatezza della censura, riproposta, sulla “illegittima composizione ovvero nomina della Commissione di gara”, il giudice di primo grado non ha errato nell’avere esaminato in via preliminare la censura incidentale, in quanto “paralizzante”, e nell’avere dichiarato “inammissibili, per carenza di legittimazione di Ch.”, il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti.

5. Le spese seguono la soccombenza come di regola e sono liquidate nel dispositivo.

Nella determinazione degli importi si tiene conto anche del fatto che Ti., ma non la Fondazione, ha presentato memoria e replica in prossimità dell’udienza di discussione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma, per le ragioni e nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Condanna la società appellante a rifondere alle parti appellate le spese del presente grado di giudizio, nelle misure che seguono:

-€ 3.000,00 (euro tremila/00), oltre a IVA e a CPA e al rimborso delle spese generali, a favore della Fondazione Te. alla Sc.;

-€ 5.000,00 (euro cinquemila/00), oltre a IVA e a CPA e al rimborso delle spese generali, a favore della società Ti..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere, Estensore

Oreste Mario Caputo – Consigliere

Dario Simeoli – Consigliere

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