Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 10 maggio 2017, n. 2155

La tenda a scomparsa ancorché realizzata con montanti fissi e in parte ancorati sulla pedana, non costituisce un’opera edilizia dionea ad alterare lo stato dei luoghi, perché non incide sull’assetto urbanistico, né modifica la sagoma dell’edificio, ma – proprio per la sua intrinseca caratteristica di tensostruttura retrattile – è da considerare strumentalmente preordinata a soddisfare esigenze temporanee, sì da essere agevolmente riconducibile, ex art. 6 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, al novero delle attività di edilizia libere, eseguibili, in assenza di diverse e puntuali prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici o edilizi, senza necessità di titolo abilitativo

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 10 maggio 2017, n. 2155

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8217 del 2012, proposto da:

Em. del Su. di Toc. G. & C. S.n. c., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Lo. Si. C.F. (omissis), Si. Lo. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Lo. Si. in Roma, (…);

contro

Comune di (omissis) non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE: SEZIONE III n. 00454/2012, resa tra le parti, concernente rimozione opere abusive.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ma. Sa. in dichiarata sostituzione dell’avv. Si. Lo.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Em. del Su. di Toc. G. & C. S.n. c., titolare in (omissis)-Porto Er., di un esercizio commerciale sul lungomare, ubicato in area soggetta a vincolo paesaggistico, ha impugnato l’ordinanza di demolizione avente ad oggetto la pedana in calcestruzzo pavimentata di m.6,78×3,13×0,1h e la tenda a scomparsa, con montanti fissati alla pedana, poggiata all’edificio. Opere realizzate senza titolo edilizio ed insistenti sul suolo pubblico in forza della concessione (d.8 aprile 1990) per l’occupazione di 20 mq. di suolo pubblico rilasciata per l’esercizio dell’attività commerciale dal Comune.

Deduceva nei motivi d’impugnazione la violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 132 della L.R. n. 1 del 2005, degli artt.54 e 1161 c.n., dell’art. 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004, degli artt.1 e 3 della Legge n. 241 del 1990, e del principio del legittimo affidamento, del buon andamento, della correttezza e buona fede nonché per eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria, della contraddittorietà, del difetto di motivazione, dell’illogicità.

La società ricorrente sottolineava che la realizzazione delle opere era stata assentita con l’espressa autorizzazione del 24 maggio 1999, con previo parere favorevole sulla compatibilità delle stesse col vincolo paesaggistico; e che, conseguentemente, si era consolidata una situazione di legittimo affidamento in capo alla Società.

2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. III, con sentenza ex art. 60 c.p.a, respingeva il ricorso.

Sul rilievo che l’autorizzazione per l’occupazione di suolo pubblico era stata rilasciata a titolo temporaneo sino alla data del 31 ottobre 1999 e che, inoltre, nessun legittimo affidamento poteva maturare la ricorrente circa la permanenza dei manufatti, i giudici di prime cure ritenevano infondate le censure.

3. Appella la sentenza Em. del Su. di Toc. G. & C. S.n. c..

4. Alla pubblica udienza del 2 marzo 2017 la causa su richiesta della parte è stata trattenuta in decisione.

5. Col primo motivo d’appello, la società lamenta che i giudici di prime cure non avrebbero considerato la situazione di fatto come consolidatasi nel corso del tempo a decorrere dal 1989, cioè in coincidenza con l’autorizzazione rilasciatale dal comune dii (omissis) ad installare la tenda parsole sul fronte strada dell’esercizio commerciale, di cui alla concessione per l’occupazione di suolo pubblico dell’8 aprile 1990.

Mentre la realizzazione della pedana, previo parere favorevole di compatibilità col vincolo paesaggistico, era stata assentita con l’espressa autorizzazione del 24 maggio 1999.

Sicché, conclude l’appellante, la tutela dell’affidamento ingenerato dal lungo lasso di tempo trascorso dalla realizzazione delle opere eseguite in forza di autorizzazione rilasciate (illo tempore) dal Comune, avrebbe dovuto indurre la stessa amministrazione ad evidenziare l’interesse pubblico sotteso alla rimozione di opere strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa.

6. Il motivo è infondato.

In riferimento al caso di specie, può prescindersi dalla vexata quaestio della rilevanza, o meno, del lungo lasso di tempo che sia intercorso tra la commissione di un abuso edilizio e l’emanazione del provvedimento di demolizione.

Ciò in quanto, nel caso in esame, l’abuso risulta pacificamente essere stato realizzato sul suolo pubblico ed essendo scaduta la concessione per la relativa occupazione; in tale contesto fattuale, del tutto a prescindere dal decorso del tempo, l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione relativamente a opere abusive che neppure ricadono su suolo di proprietà dell’autore dell’abuso.

7. Con il secondo motivo d’appello, si deduce che i giudici di prime cure non avrebbero considerato la natura delle opere le quali, per essere realizzate, non necessitavano affatto del rilascio del titolo edilizio.

8. Il motivo è fondato per quanto di ragione.

8.1 Con specifico riguardo all’attuale pedana, eseguita dalla società in sostituzione di quella in legno preesistente ed autorizzata da Comune su conforme parere di compatibilità paesaggistica, risulta che in sede di sopralluogo (d.15.01.2011) l’organo ispettivo ha rilevato la presenza di una pedana in calcestruzzo pavimentata di m. 6,78×3,13×0,1 h. difforme dall’apposizione – autorizzata – di piastre di cemento in sostituzione di quelle di legno.

Quanto alla pavimentazione della pedana insistente sul suolo pubblico, in zona tutelata ed eseguita in difformità dal titolo, essa integra gli estremi dell’abuso edilizio, passibile della sanzione della reintegrativa; sicché, in parte qua, il gravame risulta infondato.

8.2 Viceversa, quanto alla tenda a scomparsa, essa, ancorché realizzata con montanti fissi e in parte ancorati sulla pedana, non costituisce un’opera edilizia dionea ad alterare lo stato dei luoghi, perché non incide sull’assetto urbanistico, né modifica la sagoma dell’edificio, ma – proprio per la sua intrinseca caratteristica di tensostruttura retrattile – è da considerare strumentalmente preordinata a soddisfare esigenze temporanee, sì da essere agevolmente riconducibile, ex art. 6 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, al novero delle attività di edilizia libere, eseguibili, in assenza di diverse e puntuali prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici o edilizi, senza necessità di titolo abilitativo (cfr. C.d.S., VI, 27 aprile 2016, n. 1619).

8.3 Né, in contrario, depone l’esercizio del potere di polizia demaniale una volta scaduta la concessione di occupazione di suolo pubblico.

In coerenza con il principio di stretta legalità (cfr. art. 31 e ss. d.P.R. n. 380/20001) che conforma la normativa di settore, immanente al concetto di sanzione – anche di quella ripristinatoria – è il principio d’imputabilità dell’illecito oggettivamente individuato e tipizzato

A corollario, si desume che, come nel caso di specie, è illegittima la sanzione della demolizione – di cui si ordina l’esecuzione – adottata sulla base di una violazione diversa (quale, ad esempio, l’occupazione senza titolo di suolo pubblico) da quella (violazione edilizia) che effettivamente dovrebbe in tesi giustificarla.

9.Conclusivamente accoglie l’appello nei limiti e ai sensi della motivazione, e per l’effetto annulla l’impugnata ordinanza di demolizione limitatamente alla parte in cui essa concerne la tenda a scomparsa, poggiata all’edificio, e i relativi montanti fissi.

10. Sussistono giustificati motivi per compensare le spese di lite stante la soccombenza parzialmente reciproca.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accogli nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore

Dario Simeoli – Consigliere

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