Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 9 maggio 2017, n. 2129

La giurisprudenza ha qualificato “in senso rigorosamente restrittivo la nozione di insegna di esercizio, circoscrivendola a quei soli casi in cui l’insegna – con le modalità prescritte dall’art. 47, comma i, del D.P.R. n. 495 del 1992 – serve esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita l’attività di impresa

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 9 maggio 2017, n. 2129

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 6815 del 2016, proposto da:

Ud. Ca. Spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Ma., ed altri, con domicilio eletto presso l’avvocato Lu. Ma. in Roma, via (…);

contro

Comune di Udine, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma., ed altri, con domicilio eletto presso l’avvocato Ni. Pa. in Roma, via (…);

Comune di Udine – Dipartimento del Servizio Edilizia Privata e Sportello Unico, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. Friuli Venezia Giulia, n. 357/2016, resa tra le parti, concernente il diniego di autorizzazione per la collocazione di n. 2 insegne nello Stadio (omissis) in Udine;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Udine;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2017 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Luca Mazzeo, Luca De Pauli e Giangiacomo Martinuzzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Il Comune di Udine, proprietario dell’impianto sportivo denominato “Stadio (omissis)”, sito nel proprio territorio, ha costituito in favore della società Ud. Ca. S.p.A., a seguito di procedura di evidenza pubblica, il diritto di superficie sul predetto stadio e sulle aree pertinenziali contermini per la durata di novantanove anni, con l’obbligo, tra l’altro, di non mutarne la denominazione “Stadio (omissis)”.

2. Il 29 dicembre 2015 la Ud. Ca. ha chiesto l’autorizzazione, ai sensi dell’articolo 23 del D. Lgs. n. 285 del 1992, all’installazione di due insegne di esercizio sui frontali esterni delle curve nord e sud dello stadio, recanti la scritta “Da. Ar.”, della superficie complessiva di poco più di mq. 65 ciascuna.

Previa comunicazione dei motivi ostativi, con provvedimento in data 14 marzo 2016 l’amministrazione comunale ha respinto la richiesta rilevando che le insegue di cui era stata richiesta l’autorizzazione all’istallazione non erano qualificabili quali insegne di esercizio, eccedevano il limite fissato dall’articolo 48 D.P.R. n. 495 del 1992 (Regolamento di attuazione e di esecuzione del codice della strada), erano state collocate prima ancora che il Comune decidesse sulla richiesta autorizzazione ed erano pertanto abusive, senza che l’abuso stesso potesse essere sanato.

Tale diniego è stato confermato dal Comune di Udine con atto del 26 aprile 2016, con cui è stata rigettata l’istanza di autotutela avanzata dalla Ud. Ca. S.p.A..

3. Quest’ultima ha impugnato il diniego dinanzi al T.A.R. del Friuli Venezia Giulia, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi: a) Violazione dell’art. 47 del d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495 e dell’art. 2 bis del decreto legge 22 febbraio 2002 n. 13. Eccesso di potere sotto svariati profili; b) Violazione dell’art. 48 del d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495. Eccesso di potere sotto svariati profili; c) Eccesso di potere sotto svariati profili. Violazione del principio del giusto procedimento.

4. L’adito tribunale, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, con la sentenza segnata in epigrafe ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le censure mosse.

5. Con atto di appello notificato il 19 agosto 2016 l’Ud. Ca. S.p.A. ha chiesto la riforma della predetta sentenza alla stregua dei seguenti motivi: a. Violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495, nonché dell’art. 2 bis del d. l. 22 febbraio 2002 n. 13 e degli artt. 2563, 2564 e 2568 c.c. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza ed erroneità dei presupposti. Difetto di motivazione; b. Omessa pronuncia in ordine al difetto di motivazione e all’eccesso di potere per sviamento censurati col primo motivo di ricorso di primo grado; c. Violazione dell’art. 48 del d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495, dell’art. 41 della Costituzione e dell’art. 1 del d. l. 24 gennaio 2012 n. 1. Eccesso di potere per carenza dei presupposti. Difetto di motivazione. Violazione dei principi di libertà di iniziativa economica privata e di non discriminazione; d. Omessa formale ed esplicita pronuncia in ordine alla fondatezza del terzo motivo di ricorso di primo grado. Eccesso di potere per carenza assoluta dei presupposti, erroneità e carenza della motivazione. Violazione del principio del giusto procedimento di proporzionalità; e. In via subordinata. Illegittimità dei provvedimenti impugnati derivante dalla illegittimità comunitaria e comunque costituzionale degli artt. 47 e 48 d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495 per contrasto con il principio di ragionevolezza, proporzionalità e non arbitrarietà e con gli artt. 3, 41 e 97 Cost.

Ha resistito al gravame il Comune di Udine che ne chiesto il rigetto, eccependo peraltro l’inammissibilità del primo motivo di appello perché censura nuova.

6. All’udienza in camera di consiglio del 17 novembre 2016, fissata per la decisione dell’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, la causa è stata rinviata all’udienza pubblica del 23 marzo 2017 per la trattazione di merito.

7. La società appellante ha depositato in data 2 marzo 2017 istanza di rinvio dell’udienza pubblica di trattazione per consentire una composizione bonaria della controversia, richiesta cui si è opposta l’amministrazione comunale.

8. All’udienza pubblica del 23 marzo 2017 la causa è passata in decisione.

9. L’appello è infondato.

10. Deve preliminarmente respingersi la richiesta di rinvio della trattazione della causa avanzata dalla difesa dell’appellante per consentire un bonario componimento della controversia, giacché tale finalità, pur astrattamente condivisibile come soluzione alternativa a quella giurisdizionale, ma ugualmente satisfattiva degli interessi in gioco, risulta allo stato essere un mero auspicio, non essendo in corso alcun tentativo in tal sento tra le parti, come si ricava del resto dalla decisa opposizione dell’amministrazione appellata.

11. Ciò premesso, la Sezione osserva che oggetto della controversia è il diniego di autorizzazione all’installazione sulle pareti esterne del settore delle curve, nord e sud, dello “Stadio (omissis)” di Udine da parte della concessionaria Ud. Ca. s.p.a. di due insegne della superficie complessiva di poco più di mq. 65, recanti la scritta “Da. Ar.”.

Diversamente da quanto opposto dall’amministrazione comunale e ritenuto dai primi giudici, con una lunga ed articolata serie di censure la Società calcistica appellante, concessionaria dell’impianto per 99 anni, sostiene in primo luogo che le insegne non possono essere considerate meramente pubblicitarie, avendo piuttosto carattere invece di insegne di esercizio ed esprimendo in buona sostanza la manifestazione di un marchio che riunisce le potenzialità sportive della società calcistica Udinese e di quelle dell’auto di marchio Da., così che tra l’altro non vi sarebbe alcuna violazione dell’obbligo assunto in concessione sul vincolo della denominazione dello stadio “(omissis)”; sarebbe erroneo il calcolo della superficie delle predette insegne, contraddittoria ed incomprensibile la pretesa pericolosità degli stessi per la circolazione stradale, così che in definitiva il diniego opposto darebbe luogo ad una inammissibile violazione della libertà di iniziativa economica.

12. La Sezione (22 febbraio 2016, n. 710) ha recentemente ribadito che “…la giurisprudenza (Cons. St. Sez. IV, n. 5586/2013) ha qualificato “in senso rigorosamente restrittivo la nozione di insegna di esercizio, circoscrivendola a quei soli casi in cui l’insegna – con le modalità prescritte dall’art. 47, comma i, del D.P.R. n. 495 del /992 – serve esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita l’attività di impresa” mentre nella fattispecie in esame l’attività della società appellante si svolgeva a chilometri di distanza dal cartello di cui si discute e quindi si trattava di un’installazione a meri fini pubblicitari e non certo per segnalare un’attività in loco”, non mancando di aggiungere che “Sul punto, è utile segnalare come, anche di recente, il Consiglio di Stato abbia puntualizzato la definizione dell’insegna di esercizio, delimitandone in modo rigoroso il significato, nel senso di escludere la ricorrenza della fattispecie allorquando l’insegna non sia collocata “in prossimità dell’accesso all’impresa” ma, come nel caso ivi esaminato, su una parte del tetto dell’impresa stessa. Detta collocazione, infatti, lascia intendere che non si tratti “di semplice insegna di esercizio, necessaria ai fini della normale attività aziendale (in quanto atta a consentire alla clientela di individuare agevolmente il punto di accesso ai locali dell’impresa), bensì di elemento in grado di svolgere una funzione promozionale dell’attività imprenditoriale e, quindi, di carattere essenzialmente pubblicitario…” (cfr. C.d.S. VI^sez. n. 3782/2007)…”.

Come evidenziato dall’Amministrazione resistente e confermato dalla documentazione prodotta in atti, l’insegna per cui è causa è del tutto priva del collegamento territoriale con la sede dell’attività

13. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, deve rilevarsi che le due insegne “Da. Ar.” non possono essere considerate insegne di esercizio alla stregua della legislazione vigente.

Infatti l’art. 47 del d.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495, recante il regolamento di esecuzione d’attuazione del codice della strada, stabilisce al 1° comma che “Si definisce “insegna di esercizio” la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. (…)”.

A parte la dizione di arena, che pure potrebbe ricordare in senso estensivo anche un impianto sportivo, nulla a che fare con il marchio Da. lo stadio comunale di Udine, noto come “Stadio (omissis)”, sede delle partite di calcio giocate “in casa” dall’Ud. Ca.; al contrario Da. è un marchio storico nato degli anni 60 in Romania in seguito ad accordi con la Re., accordi in base ai quali venivano assemblati autoveicoli con licenza della stessa Re., poi privatizzata e di recente direttamente assorbita nel gruppo Re., sia pure mantenendo la denominazione storica.

Il marchio Da. indicato pertanto le auto prodotte da quel gruppo, auto che al pari di ogni altro tipo di autoveicolo, sono commercializzate negli autosaloni e sono oggigiorno montate sia in Romania, sia in altri Stati, anche extraeuropei.

Poiché dunque nessuna attività collegata alle auto Da. si svolge nell’impianto sportivo denominato “Stadio (omissis)” di Udine (denominazione che l’Ud. Ca. S.p.A. si è impegnata a non modificare in occasione della concessione dell’impianto da parte del Comune di Udine), le insegne di cui si discute non possono essere considerate come insegne di esercizio, dovendo configurarsi, come correttamente sostenuto dai primi giudici, come insegne pubblicitarie: posto che Da. è lo sponsor della società Ud. Ca. S.p.A., quelle insegne finiscono per essere un veicolo pubblicitario per promuovere a fini commerciali i prodotti (nel caso di specie, le auto) del gruppo Da., utilizzando in tal senso la parte esterna dell’impianto sportivo dove la società sponsorizzata da Da. svolge la propria attività sportiva.

L’impianto sportivo, lungi dall’essere la sede dell’attività svolta da Da., rappresenta dunque il luogo che per il numero dei possibili utenti (gli spettatori) offre un significativo bacino di potenziali soggetti che, in quanto sostenitori della società Ud. Ca. o comunque interessati allo spettacolo che vi si svolge in quell’impianto, possono essere ragionevolmente interessati ai prodotti Da..

14. Né può condividersi la suggestiva tesi, formulata nell’atto di appello e ribadita nel corso della discussione, della cosiddetta “brandizzazione”, ossia di una stretta comunanza tra squadra di calcio e sponsor, unite nel pubblicizzare due attività del tutto diverse, ma accomunate dallo stesso interesse: indipendentemente da ogni questione sulla sua stessa ammissibilità (essendo stato eccepito dalla difesa dell’amministrazione appellata che si tratta di motivo nuovo), è sufficiente rilevare che essa non è idonea comunque a superare i limiti posti dalle definizioni di legge delle insegne di esercizio.

Ciò senza contare, sotto altro concorrente profilo, che, qualora questa comunanza avesse portato ad una modificazione del nome dello stadio/arena, essa si porrebbe in stridente contrasto con l’atto di concessione ed in particolare con l’obbligo assunto dalla concessionaria Ud. Ca. s.p.a. di non modificare la denominazione (“Stadio (omissis)”) dell’impianto sportivo di cui si discute.

15. Proprio l’impegno assunto in concessione, cui si è accennato, risulta rilevante per superare la censura inerente la dedotta violazione delle libertà economiche e imprenditoriali ed i contenuti generali dell’art. 41 della Costituzione, sollevata in via subordinata; poiché si tratta di un impegno liberamente assunto, facente parte come tutti disciplinari di concessione di una serie di diritti e gli obblighi, si deve escludere la sussistenza di un atto d’imperio che abbia conculcato senza ragione la libertà di iniziativa economica, ravvisandosi piuttosto un obbligo originario di carattere contrattuale determinato in via paritetica, per il quale non sono ravvisabili, né vengono evocate, questioni di nullità.

16. Deve in definitiva concludersi nel senso che le insegne di cui si tratta hanno un carattere pubblicitario dei prodotti dello sponsor Re./Da. e correttamente il Comune di Udine ha ritenuto di applicare le norme del codice della strada e del regolamento di attuazione in materia di insegne pubblicitarie.

In ragione di ciò si deve ritenere infondato il ragionamento svolto nel motivo sub 3), secondo cui il nome Da. non poteva essere computato nella superficie pubblicitaria in quanto esprimeva l’insegna del preteso marchio Ud. Ca./Da.: il gruppo Re./Da. è lo sponsor dell’Ud. Ca. la quale, come è naturale, si è impegnata a pubblicizzare le autovetture Da. e di conseguenza l’esclusione del marchio dalla pubblicità è inappropriato, se non contrario a qualsiasi logica.

17. Per le considerazioni suesposte l’appello deve essere respinto, restando assorbito, in quanto ormai irrilevante, il motivo concernente il diniego di autorizzazione fondato sulla assenza di una previa domanda, così come quello concernente la presunta inidoneità delle insegne a costituire un pericolo per la circolazione (trattandosi quest’ultimo di un profilo che incide su valutazioni discrezionali dell’amministrazioni, come tali sottratte al sindacato di legittimità, salva la loro manifesta illogicità, irragionevolezza, irrazionalità o arbitrarietà).

18. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge..

Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio a favore del Comune di Udine, liquidandole in complessivi €. 4.000,00 (quattromila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli – Presidente

Roberto Giovagnoli – Consigliere

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Raffaele Prosperi – Consigliere, Estensore

Valerio Perotti – Consigliere

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