Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 5 dicembre 2014, n. 6015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 938 del 2014, proposto da:

Vi.Se., in proprio, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);

contro

il Comune di Ostuni, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Ce.Ro. ed altri (…), con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lo.Gi. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – Sede Staccata di Lecce, Sezione II n. 2601 del 19 dicembre 2013, resa tra le parti, concernente diniego di accesso agli atti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ostuni;

Viste le memorie difensive;

Vista la propria ordinanza n. 2763 del 28 maggio 2014;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 il Consigliere Doris Durante;

Udito per il Comune di Ostuni l’avvocato Saporito, per delega dell’avvocato Lo.Gi.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

1. .- Se.Vi., nella qualità di consigliere comunale del Comune di Ostuni, con successive istanze, delle quali la prima veniva presentata in data 25 marzo 2011, chiedeva al Comune di Ostuni copia delle concessioni e dei permessi di costruire rilasciati dall’ufficio tecnico a partire dall’anno 2008, comprensivi del nominativo del progettista e del direttore dei lavori.

Quindi proponeva ricorso per l’accesso ai suddetti documenti non avendo il Comune di Ostuni dato seguito alle istanze, assumendo la necessità di accedere agli atti per svolgere il mandato elettivo e deducendo la lesione del diritto all’accesso agli atti amministrativi, rafforzato dalla qualità di consigliere comunale.

2 L’impugnata sentenza – T.A.R. per la Puglia – sede staccata di Lecce – Sezione II, n. 2601 del 14 novembre 2013 – ha respinto il ricorso proposto da Se.Vi. contro il silenzio serbato dal Comune di Ostuni sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi da esso presentate.

Il TAR, prescindendo dalle eccezioni in rito sollevate dal Comune di Ostuni, respingeva il ricorso nel merito, ritenendo che il diritto di accesso era stato garantito, come si evinceva dalle note formulate dall’UTC del Comune (il Comune di Ostuni che si era posto a disposizione ed aveva anche rilasciato copia di 80 permessi di costruire e di concessioni edilizie indicati per estremi, aveva rappresentato che la mole degli atti richiesti era tale che avrebbe paralizzato l’attività dell’ufficio tecnico, chiedendo la collaborazione del ricorrente) e che le istanze di accesso formulate dal consigliere comunale per essere non ragionevolmente circoscritte e tendenti ad un controllo generalizzato sull’attività dell’amministrazione comunale non potevano essere soddisfatte dal Comune, atteso che l’esercizio dell’accesso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative.

3. Con ricorso notificato il 23 gennaio 2014 Se.Vi., che ha dichiarato di difendersi in proprio, ha proposto appello della su menzionata sentenza n. 2601 del 2013, di cui ha chiesto la riforma, assumendo il proprio diritto all’accesso ai documenti amministrativi richiesti.

4. Si è costituito in giudizio il Comune di Ostuni che ha reiterato l’eccezione in rito già sollevata nel giudizio di primo grado in ordine all’inammissibilità del ricorso perché proposto oltre il termine di 30 giorni dalla formazione del silenzio e nel merito ha controdedotto alle censure, concludendo per l’inammissibilità o il rigetto del gravame.

5. Alla udienza camerale del 27 maggio 2014, dopo il passaggio della causa in decisione, il Collegio, avendo rilevato d’ufficio la sussistenza di seri dubbi in ordine alla ammissibilità del ricorso con riferimento alla difesa personale nel giudizio davanti al Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 73, co. 3, c.p.a., con ordinanza n. 2763 del 28 maggio 2014, assegnava alle parti giorni quindici per presentare memorie vertenti su quest’unica questione e fissava la trattazione della causa all’udienza camerale del 4 novembre 2014.

6. Nell’assenza della parte appellante alla camera di consiglio odierna, il ricorso è stato assegnato in decisione.

7. Il ricorso è inammissibile.

7.1. Come risulta dall’epigrafe dell’atto introduttivo di appello Se.Vi. sta in giudizio senza il patrocinio di alcun avvocato pur non avendo la qualità per esercitare l’ufficio di difensore.

7.2. Ai sensi dell’articolo 22, commi 1 e 2, c.p.a., davanti agli organi della giurisdizione amministrativa le parti devono valersi obbligatoriamente del ministero di avvocati e, davanti al Consiglio di Stato, di avvocati ammessi al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori; tale è la regola generale e lo era anche prima dell’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 ottobre 2013, n. 5245; sez. IV, 25 marzo 1996, n. 382).

Secondo il giudice delle leggi, l’assistenza tecnica obbligatoria, riflesso dell’inviolabilità del diritto di difesa sancito dall’art. 24, co. 2, Cost., costituisce una regola generale cui la legge può derogare (salvo il limite dell’effettività della garanzia della difesa su un piano di uguaglianza), è un diritto irrinunciabile, e non contrasta con l’art. 6 della CEDU nella parte in cui sancisce il diritto all’autodifesa posto che esso non assume valenza assoluta (cfr. Corte cost., 22 dicembre 1980, n. 188; 3 ottobre 1979, n. 125; nello stesso senso Cass. civ. ord., sez. II, 9 giugno 2011, n. 12570).

7.3. Nel nuovo processo amministrativo, non costituisce eccezione all’obbligo del patrocinio, la possibilità (riconosciuta dall’art. 22, co. 3, c.p.a.), di stare in giudizio senza il ministero del difensore, quando la parte o la persona che la rappresenta “…ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito”; in questa ipotesi, infatti, non vi è esclusione di difesa tecnica venendo meno solo la necessità che la parte – che possiede la prescritta abilitazione e condizione professionale per difendere innanzi al giudice adito – debba necessariamente avvalersi di altro difensore.

7.4. Costituiscono, invece, eccezioni in senso proprio alla regola sul patrocinio obbligatorio, i casi di difesa personale della parte previsti dall’art. 23, c.p.a. (in materia di accesso, in materia elettorale e nei giudizi relativi al diritto dei cittadini dell’Unione Europea di circolare nel territorio degli Stati membri); tale eccezionale possibilità, però, è espressamente preclusa per i giudizi di impugnazione che si celebrano davanti al Consiglio di Stato dall’art. 95, co. 6, c.p.a. (“Ai giudizi di impugnazione non si applica l’art. 23, comma 1”.

7.5. Poiché il ricorrente non versa in alcuna delle tassative condizioni che consentono la difesa personale, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

8.- Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

Il Collegio rileva (come già segnalato con ordinanza del 28 maggio 2014 ai sensi dell’art. 73, co. 3, c.p.a.), che la pronuncia di inammissibilità del ricorso si fonda, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste che integrano i presupposti applicativi della norma sancita dall’art. 26, co. 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; Sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252; Sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative della pena pecuniaria ex art. 26, co. 2 cit.).

Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto in esame sono state, nella sostanza, recepite dalla novella recata dal d.l. n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. Invero:

a) l’art. 26, comma 1, che rinviava (e rinvia) all’art. 96 c.p.c., prevedeva la condanna, su istanza di parte, al risarcimento del danno se la parte ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 96, comma 1, c.p.c.), nonché la condanna anche d’ufficio in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata;

b) l’art. 26, co. 2, c.p.a. prevedeva (e prevede) che il giudice condannasse d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso, quando la parte soccombente aveva agito o resistito temerariamente in giudizio;

c) il d.l. n. 90 del 2014 ha inciso sia sull’art. 26, co. 1, c.p.a., in termini generali, valevoli per tutti i riti davanti al giudice amministrativo, sia sull’art. 26, comma 2, c.p.a., in termini specifici, valevoli solo per il rito appalti;

d) sebbene l’art. 26, co. 1, continui a richiamare l’art. 96 c.p.c. in tema di lite temeraria, detta ora una regola più puntuale stabilendosi che in ogni caso, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio delle spese liquidate, in presenza di motivi manifestamente infondati;

e) nell’art. 26, co. 2 c.p.a. si detta una ulteriore regola sulla sanzione pecuniaria per lite temeraria nel caso di contenzioso sugli pubblici appalti soggetto al rito dell’art. 120 c.p.a.; infatti l’importo della sanzione pecuniaria (che come visto va dal doppio al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo), può essere elevato fino all’uno per cento del valore del contratto, ove il valore del contratto sia superiore al quintuplo del contributo unificato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta – definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

a) dichiara inammissibile l’appello;

b) condanna Se.Vi. al pagamento delle spese di lite, che liquida in euro 2.000/00, oltre accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15 per cento a titolo di rimborso di spese generali) in favore del Comune di Ostuni;

c) condanna Se.Vi., ai sensi dell’art. 26, co. 2, c.p.a., al pagamento della somma di euro 1.000/00 che è tenuto a versare secondo le modalità di cui all’art. 15 delle norme di attuazione del c.p.a., mandando alla segreteria per i conseguenti adempimenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente FF

Francesco Caringella – Consigliere

Antonio Amicuzzi – Consigliere

Doris Durante – Consigliere, Estensore

Nicola Gaviano – Consigliere

Depositata in Segreteria il 5 dicembre 2014.

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