Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 2 dicembre 2014, n. 5960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8000 del 2014, proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. Marco Michele Picciani, con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Marco Michele Picciani in (OMISSIS);

contro

Sportello Unico Immigrazione di Vicenza; Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in (OMISSIS);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. VENETO – VENEZIA:SEZIONE III n. 00716/2014, resa tra le parti, concernente il diniego di emersione dal lavoro irregolare

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2014 il Cons. Massimiliano Noccelli e udito per l’Amministrazione appellata l’Avvocato dello Stato D’Ascia;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con provvedimento prot. n. 102441/EM-DOM/12, la Prefettura di Vicenza – Ufficio Territoriale del Governo – Sportello Unico per l’Immigrazione, rigettava l’istanza di emersione proposta ai sensi del d. lgs. 109/2012 dal sig. (OMISSIS), cittadino bengalese, sul rilievo che a carico dello stesso risultava emessa dal Giudice di Pace di Campobasso una condanna all’espulsione dal territorio dello Stato per il reato p. e p. dall’art. 10-bis del d. lgs. 286/1998.

2. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso avanti al T.A.R. Veneto l’interessato, lamentandone l’illegittimità per violazione d, e ne chiedeva, previa sospensione, l’annullamento.

3. Si costituiva nel giudizio di prime cure l’Amministrazione intimata per resistere al ricorso.

4. Con sentenza n. 716 del 26.5.2014, resa in forma semplificata, il T.A.R. Veneto rigettava il ricorso, osservando che, sebbene fosse vero che l’espulsione a titolo di misura alternativa della pena non fosse espressamente prevista come ostativa alla conclusione favorevole della procedura di emersione, tuttavia per ragioni di carattere sistematico appariva maggiormente persuasiva la tesi secondo la quale, in casi come questi, l’impossibilità di accogliere l’istanza di emersione si giustificava in relazione alla specificità degli effetti discendenti dalla sentenza penale, avente ad oggetto l’espulsione, che non consentiva di comparare tali casi con quelli disciplinati in via generale dal d. lgs. 109/1012, relativamente alla procedura di emersione, dato che un eventuale accoglimento dell’istanza avrebbe comportato la cessazione degli effetti di una sentenza penale, nonostante la mancanza di un’espressa previsione di legge.

5. Avverso tale sentenza ha proposto l’interessato, lamentandone l’erroneità, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma.

6. Si è costituita con mera memoria di stile l’Amministrazione appellata.

7. Nella camera di consiglio del 6.11.2014 il Collegio, ritenuto di poter decidere la controversia in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e dato avviso di questa eventualità alla difesa erariale, sola comparsa, ha trattenuto la causa in decisione.

8. L’appello deve essere accolto.

9. L’art. 5, comma 13, del d. lgs. 109/2012 non contempla fra le fattispecie ostative alla regolarizzazione, né alla lettera a) né alla lettera c), l’espulsione disposta dal giudice penale quale misura sostitutiva dell’ammenda, poiché essa non è espressamente ricompresa né tra i provvedimenti espulsivi di cui all’art. 13, commi 1 e 2, lettera c), del d. lgs. 286/1998 e di cui all’art. 3 del d.l. 144/2005, convertito in l. 144/2005 (espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo), né tra le fattispecie di reato previste dall’art. 380 c.p.p.

10. La Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 226 del 15.7.2004, ha chiarito che l’espulsione disposta dal giudice penale quale misura sostitutiva della detenzione (o, nel caso di specie, della semplice ammenda), si configura come una misura di carattere amministrativo, in quanto, da un lato, la sua esecuzione è affidata al questore anziché al pubblico ministero e, dall’altro, il testo dell’art. 16, comma 1, “richiama le condizioni che costituiscono il presupposto dell’espulsione amministrativa prevista dall’art. 11 [ora art. 13] del decreto legislativo n. 286 del 1998, così rendendo evidente la sostanziale sovrapposizione fra le due misure e la conseguente necessità di una loro armonizzazione sistematica”.

11. Si deve qui osservare che le ipotesi ostative all’emersione, previste dall’art. 5, comma 13, del d.lgs. 109/1012, hanno tutte carattere eccezionale, perché concernono stranieri condannati per delitti contro la personalità dello Stato o per delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato o per motivi di sicurezza nazionale, e sono di stretta interpretazione, poiché impediscono la regolarizzazione della posizione lavorativa dello straniero a cagione di gravi ragioni connesse alla tutela dell’ordine pubblico o alla commissione di reati particolarmente gravi, alle quali la legge connette una presunzione di pericolosità dello straniero.

12. Al di fuori di tali tassative ipotesi, dunque, non vi può essere spazio né per una interpretazione estensiva né per un’applicazione analogica delle cause ostative alla regolarizzazione né la presunta incompletezza o imperfezione del testo normativo può essere interpretata in malam partem a danno dello straniero che aspiri a regolarizzare la propria posizione lavorativa e ad inserirsi stabilmente, senza alcun pericolo per la sicurezza nazionale e per l’ordine pubblico, nel tessuto socio-economico dell’ordinamento.

13. Il ragionamento non muta nemmeno di fronte all’espulsione disposta dal giudice quale misura alternativa alla pena, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del d. lgs. 286/1998, perché tale espulsione, benché disposta dal giudice, ha natura amministrativa e, dunque, in nulla differisce da quella disposta dal Prefetto.

14. Non è perciò condivisibile la tesi secondo cui, così ragionando, si determinerebbe la cessazione degli effetti di una sentenza penale, nonostante la mancanza di un’espressa previsione di legge, poiché l’espulsione disposta dal giudice non è un effetto penale della condanna, ma una misura amministrativa che, per quanto atipica (Cass. pen., sez. I, 24.1.2006, n. 4429), il giudice ha discrezionalità, secondo la valutazione del legislatore, di applicare alternativamente o sostitutivamente alla pena e, una volta stabilita, non può che seguire le sorti proprie della sua natura giuridica, quale che sia l’organo – giurisdizionale o amministrativo – dal quale originariamente promana.

15. E del resto, se così non fosse, si perverrebbe ad una conseguenza, essa sì, assurda e irragionevole e contra legem, come dimostra esemplarmente il caso di specie, per la quale l’espulsione dello straniero disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del d. lgs. 286/1998, quale misura sostitutiva dell’ammenda per la fattispecie contravvenzionale p. e p. dall’art. 10-bis del d.lgs. 286/1998 (ingresso e soggiorno illegale nello Stato), che non rientra nelle ipotesi ostative tassativamente previste dal d.lgs. 109/2012, non potrebbe vedere accolta la propria istanza di regolarizzazione proprio per la sua condizione di “clandestinità”, al cui superamento l’istanza è finalizzata, introducendosi quindi, del tutto irragionevolmente, una ipotesi ostativa non prevista dalla legge e per un fatto – la condizione di “clandestinità” – che non solo è ben lontano dalla gravità di quelli ostativi all’emersione, ma che spesso costituisce la condizione nella quale versa il richiedente e alla quale l’intera procedura vuol porre rimedio e termine.

16. In questa prospettiva merita qui solo aggiungere che la rilevanza penale dell’ingresso e soggiorno illegale nello Stato, correlata dalla più recente giurisprudenza, nella interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata dell’art. 10-bis del d.lgs. 286/1998, al bene giuridico strumentale, “individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori” (Cass. pen., sez. I, 23.9.2013, n. 44453), è ben lontana dall’assurgere alla gravità di condotte che salvaguardano beni giuridici finali di ben diversa e assoluta rilevanza, quali la sicurezza o la personalità dello Stato.

17. Ne segue che, per le esposte ragioni, la impugnata sentenza deve essere riformata, con conseguente annullamento del provvedimento prefettizio, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.

18. Le spese del presente grado di giudizio, considerando la peculiarità e la novità del caso, possono essere interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.

Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell’Utri, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore

Depositata in segreteria il 02/12/2014

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