Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 19 maggio 2016, n. 2089

Deve considerarsi illegittimo un diniego di concessione edilizia, fondato sulla carenza di un piano attuativo pur prescritto dal piano regolatore, qualora l’area interessata dal progetto risulti urbanizzata e l’Amministrazione denegante abbia omesso di valutare in modo rigoroso l’incidenza del nuovo insediamento, oggetto della richiesta di assenso, sulla situazione generale del comprensorio o, in altri termini, allorquando non si sia adeguatamente tenuto conto dello stato delle urbanizzazioni già esistenti nella zona di futura insistenza dell’edificazione, né siano state congruamente evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 19 maggio 2016, n. 2089

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9035 del 2015, proposto dalla
Fa. De. Li., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Al. Sa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (…)
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ro. Mu., domiciliata in Roma, Via (…)
per la corretta esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5251 del 2013
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma (Roma Capitale);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato Ma. Al. Sa. per la ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Lo sviluppo fattuale della vicenda di causa viene descritto nei termini che seguono nell’ambito della sentenza di questo Consiglio di Stato n. 5251 del 2013.
La Società Ve. ’8. S.p.a. in data 12 maggio 1995 presentava al Comune di Roma (oggi Roma Capitale) – Rip. XV un progetto (prot. n. 23925) teso ad ottenere la concessione edilizia per la costruzione di un albergo, da realizzare su di un’area della Capitale in via (omissis)- via (omissis) della superficie di mq 3.500, in zona classificata (omissis) (completamento) dal Piano Regolatore. La proprietà dell’area nel frattempo veniva trasferita con atto del 22 dicembre 1995 alla Società Fa. De. Li., mentre La Società Ve. ’8. ne acquisiva la gestione.
Il Comune di Roma, nella persona del Dirigente Superiore Reggente la competente Ripartizione XV – Edilizia privata, respingeva la domanda di concessione con provvedimento negativo n. prot. 411/96 dell’8 maggio 1996, notificato alla Società Ve. il successivo 26 settembre 1996.
Ne scaturiva il ricorso proposto dalle due società al T.A.R. del Lazio avverso tale provvedimento reiettivo, impugnato unitamente alla delibera di Consiglio comunale n. 203 del 14 settembre 1995, ivi espressamente menzionata. Venivano altresì contestualmente impugnate le delibere consiliari numm. 157 del 27 luglio 1995 e 158 del 27/31 luglio 1995, aventi rispettivamente ad oggetto la perimetrazione dei centri abitati ai sensi dell’articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come modificato dall’articolo 17 della legge n. 765 del 1967 e la definizione delle zone omogenee di cui allo stesso articolo per l’applicazione del decreto Interministeriale del 2 aprile 1968 n. 1444.
Le censure formulate si appuntavano, in particolare, sull’istruttoria svolta dal Comune, ancorata alle previsioni originarie del P.R.G. e al contenuto dell’allegato C alla delibera n. 203/1995, nonché ad un rilievo aereofotogrammetrico risalente a quattro anni prima e basato su tavole di scala diverse da quelle usate nel P.R.G., senza considerare la differente configurazione del territorio al momento della decisione sull’istanza.
Il Tribunale adìto con la sentenza n. 8439/2002 respingeva il gravame nel merito.
La sentenza da ultimo richiamata veniva impugnata dalla (sola) società Fa. dinanzi a questo Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 5251/2013 (oggetto dell’odierno giudizio di ottemperanza), accoglieva il ricorso.
Il Collegio, nel contestare la valutazione comunale espressa nel senso dell’insufficienza, rispetto al sito, degli standard urbanistici per carenze, segnatamente, di servizi e verde pubblico, desunte dalle risultanze dell’allegato C della delibera n. 203/1995, si poneva sul solco di una giurisprudenza ormai consolidata.
Il principio oggetto di riferimento è quello per cui deve “considerarsi illegittimo un diniego di concessione edilizia, fondato sulla carenza di un piano attuativo pur prescritto dal piano regolatore, qualora l’area interessata dal progetto risulti urbanizzata e l’Amministrazione denegante abbia omesso di valutare in modo rigoroso l’incidenza del nuovo insediamento, oggetto della richiesta di assenso, sulla situazione generale del comprensorio o, in altri termini, allorquando non si sia adeguatamente tenuto conto dello stato delle urbanizzazioni già esistenti nella zona di futura insistenza dell’edificazione, né siano state congruamente evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione” (Cons. St., ad. plen., 20 maggio 1980, n. 18; id., Sez. V, 16 giugno 1990, n. 538; id., Sez. V, 13 novembre 1990, n. 776; id., Sez. V, 6 aprile 1991 n. 446; id., Ad. plen., 6 ottobre 1992, n. 12).
Sul rilievo dell’omessa valutazione specifica del progetto sottoposto all’amministrazione comunale, nel contesto urbanistico proprio del pertinente bacino territoriale di riferimento, la sentenza in epigrafe ne desumeva “la fondatezza degli addebiti di difetto di istruttoria e, conseguentemente, di adeguata motivazione ascritti [all’ente]”.
Con la sentenza in questione veniva quindi ingiunto al Comune di procedere ad una nuova istruttoria al fine di verificare in concreto “il profilo della sufficienza o meno dell’urbanizzazione ormai esistente nell’area (…) con riferimento alla situazione in atto al momento del provvedimento di diniego impugnato”, avendo riguardo, altresì, “alla specifica tipologia di intervento in discussione, vale a dire alla destinazione alberghiera della costruzione oggetto di domanda, valutando anche le previsioni di spazi di parcheggio recate dal progetto (del quale la società ha allegato l’autosufficienza)”.
A causa dell’inerzia serbata da Roma Capitale, la quale non comunicava neppure l’apertura di una rinnovata istruttoria, sebbene sollecitata con nota pervenuta in data 12 febbraio 2015, la ricorrente vittoriosa, all’esito del giudizio di appello, chiedeva a questo Consiglio di Stato di disporre ogni misura idonea a garantire l’ottemperanza della sentenza n. 5251/2013 e di condannare l’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla Società Fa..
La mancata attivazione da parte del Comune, osservava al riguardo la ricorrente, oltre a comprimere indebitamente il ius aedificandi, incide sul diritto al libero esercizio della propria attività d’impresa, in tal modo violando i principi nazionali ed europei in materia.
Si è costituito in giudizio il Comune di Roma (Roma Capitale), il quale nulla ha osservato circa le ragioni della mancata esecuzione della pronuncia suindicata, limitandosi al deposito in data 18 aprile 2016 di un documento attestante l’asserita impossibilità di dar seguito alla sentenza in ragione dell’irreperibilità dell’originale fascicolo progettuale.
Alla camera di consiglio del 28 aprile 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso proposto dalla Società Fa. De. Li. allo scopo di ottenere l’esecuzione della sentenza di questo Consiglio di Stato n. 5251 del 2013 con cui, in riforma della sentenza di primo grado, è stato ingiunto al Comune di Roma (Roma Capitale) di avviare una nuova istruttoria per verificare in concreto la sussistenza dei presupposti per il rilascio della concessione edilizia richiesta il 12 maggio 1995, avendo presente lo stato dei luoghi al momento della decisione sull’istanza in seguito impugnata.
2. Il ricorso in epigrafe è meritevole di accoglimento, essendo pacifico in atti che il Comune non abbia compiuto (rectius: che non abbia neppure avviato) la nuova istruttoria procedimentale finalizzata (secondo quanto stabilito al punto 6 della sentenza oggetto di ottemperanza) a valutare l’assentibilità dell’istanza all’origine dei fatti di causa.
Il rilevante lasso temporale trascorso (la sentenza in epigrafe è stata pubblicata il 31 ottobre 2013) e la completa inerzia dell’amministrazione – la quale non ha provveduto neppure all’apertura del procedimento di nuova istruttoria – risultano quindi sufficienti a determinare l’accoglimento del ricorso.
3. Né può giustificare in alcun modo l’inerzia serbata dal Comune la difesa improntata sullo smarrimento perdita dell’originale fascicolo progettuale, di cui l’ente ha avuto contezza solo in tempi recenti, chiedendone un duplicato alla controparte e confermando in tal modo un’ingiustificata tardiva attivazione.
4. Non può invece trovare accoglimento allo stato la domanda risarcitoria avanzata dalla Società Fa., in quanto essa risulta articolata in modo del tutto generico, non essendo stata fornita alcuna specificazione sull’entità dei danni subiti e subendi e – più in generale – sul complesso degli elementi costitutivi della fattispecie asseritamente foriera di danno.
5. Il ricorso in epigrafe deve essere quindi accolto e deve essere conseguentemente ribadito l’obbligo per il Comune di Roma (Roma Capitale) di completare la nuova istruttoria procedimentale disposta dalla sentenza n. 5251/2013 entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione.
In caso di permanente inottemperanza, provvederà ad avviare la nuova istruttoria nei termini chiariti – e su semplice richiesta della ricorrente – un Commissario ad acta, che viene sin da ora individuato nel Prefetto di Roma, con facoltà di delega a un funzionario del suo Ufficio.
A tali fini la presente decisione sarà comunicata a cura della Segreteria al Prefetto di Roma.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e con gli effetti di cui in motivazione e lo respinge in ordine alla domanda risarcitoria.
Condanna l’amministrazione alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi euro tremila, oltre gli accessori di legge.
Dispone che la presente sentenza sia comunicata al Prefetto di Roma ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Sandro Aureli – Consigliere
Claudio Contessa – Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Depositata in Segreteria il 19 maggio 2016.

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