Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 17 novembre 2014, n. 5627

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1895 del 2013, proposto da:

Ma.Gi. ed altri (…), rappresentati e difesi dall’avv. Pi.Ia., con domicilio eletto presso Pi.Ja. in Roma, via (…);

contro

Regione Lazio, rappresentata e difesa per legge dall’avv.to Ro.Pr., domiciliata in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I TER n. 08639/2012, resa tra le parti, concernente esecuzione sentenza 874/1992 del Tar Lazio – liquidazione somme – ris.danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 1° luglio 2014 il Cons. Antonio Bianchi e uditi per le parti gli avvocati Pi.Ia. e Ro.Pr.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Signora Ma.Gi. e gli altri odierni appellanti impugnavano dinnanzi al Tar Lazio la delibera della Giunta regionale Lazio n. 938/1985, ritenendo illegittimi i criteri ivi stabiliti per il calcolo del riequilibro tra anzianità giuridica ed economica di cui alla L.R. n. 6/1985 ed errata la mancata previsione della ricollocazione dei dipendenti provenienti dalle ex carriere esecutive e di concetto, con richiesta di riconoscimento degli arretrati loro spettanti, rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Il ricorso veniva accolto in parte dal primo giudice con sentenza n. 874/1982, confermata da questo Consiglio con decisione n. 5058/2002, in cui veniva stabiliva la corretta ricollocazione dei ricorrenti, indicando i livelli e gli inquadramenti che dovevano essere loro assegnati.

Posto che la Regione non adempiva alla anzidetta pronuncia, veniva proposto giudizio per ottemperanza dinnanzi al Tar Lazio che lo accoglieva, nominando Commissario ad acta che però provvedeva all’esecuzione del giudicato in maniera solo parziale.

Veniva, quindi, introdotto un nuovo ed ulteriore ricorso per ottemperanza dinnanzi al Tar Lazio, che si concludeva con la sentenza n. 38001 del 22 dicembre 2010, a mezzo della quale veniva ordinato alla Regione di provvedere all’erogazione, in favore dei ricorrenti, delle somme agli stessi spettanti ivi comprese quelle di lite.

Ritenuto che le somme poi versate non corrispondessero a quanto statuito dalla sentenza da ultimo citata, con nuovo ricorso per ottemperanza i ricorrenti reiteravano la richiesta di nomina di un Commissario ad acta, chiedendo altresì il risarcimento di tutti i danni morali e materiali subiti.

All’esito del giudizio il Tar Lazio, con sentenza n. 8639/2012, dichiarava il ricorso da ultimo azionato in parte inammissibile, in parte lo respingeva ed in parte dichiarava la cessazione della materia del contendere.

Avverso detta pronuncia la Signora Gi.Lu. e gli altri ricorrenti in primo grado hanno quindi interposto l’odierno appello, chiedendone l’integrale riforma.

Si è costituita in giudizio la Regione Lazio, chiedendo il rigetto del gravame.

Alla camera di consiglio del 12.11.2013, la Sezione con ordinanza n. 5401 – rilevato che “sussistono seri dubbi in ordine alla ricevibilità del ricorso”, siccome proposto oltre il termine di tre mesi dal deposito della sentenza cui si riferisce – ha assegnato ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a. uno specifico termine per presentare memorie vertenti sulla questione.

Visti gli scritti difensivi presentati, alla camera di consiglio dell’1 luglio 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare il Collegio, esercitando officiosamente il potere conferito dalle norme sancite dall’art. 89, co. 1 e 2, c.p.c. – pacificamente applicabili al processo amministrativo in virtù del richiamo operato dall’art. 39, co.1, c.p.a. – dispone la cancellazione delle frasi sconvenienti ed offensive contenute primi tre righi della memoria depositata in data 12.12.2013 da parte degli appellanti.

2. Il ricorso è tardivo.

3. Come risulta dalla documentazione in atti:

– la sentenza del Tar Lazio oggetto del presente giudizio è stata depositata in data 18 ottobre 2012 e non notificata dalla Regione alle controparti;

– in assenza di notificazione, i ricorrenti hanno interposto l’odierno appello avverso la predetta sentenza in data 8 marzo 2013.

4. Tanto premesso, rileva il Collegio come l’appello sia stato proposto oltre il termine decadenziale dimidiato pari a tre mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata, così come previsto dal combinato disposto degli artt. 87, comma 3, e 92, comma 3, c.p.a., con la conseguenza che lo stesso risulta irricevibile siccome tardivo.

5. Invero, nonostante si rinvenga un isolato (e risalente) precedente di segno diverso (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1551), il Collegio ritiene in conformità al più recente ed ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di questo Consiglio e, ancor prima, in ragione della chiara lettera del codice del processo amministrativo, che l’odierno appello dovesse essere introdotto nel termine decadenziale di tre mesi, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata.

Nei procedimenti in camera di consiglio tra i quali, a norma dell’art. 87, comma 2, lett. d) c.p.a., rientra anche il giudizio di ottemperanza, infatti, “tutti i termini, incluso quello per proporre appello, sono dimezzati …, sicché i termini per l’impugnazione delle sentenze rese a definizione del giudizio di ottemperanza, per il resto assoggettati alla disciplina generale contenuta nel libro III del Codice della giustizia amministrativa … devono essere dimidiati” (Cons. Stato, Sez. V, 24 marzo 2014, n. 1441; Cons. Stato, Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3052; Cons. Stato, Sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5246).

Sebbene in precedenza – in ragione del sistema di rimandi incrociati tra la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 87 c.p.a.), quella delle impugnazioni (artt. 91 ss c.p.a.) e quella dei giudizi di ottemperanza (art. 112 c.p.a) – poteva ritenersi non agevole l’individuazione di quali fossero nel Codice del processo amministrativo i termini per l’impugnazione delle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di ottemperanza, “alla luce della modifica dell’art. 87 co. 3, per effetto dell’art. 1 del D.Lgs. 195/2011, è divenuto sufficientemente chiaro che, nel rito dell’ottemperanza, l’eccezione alla regola generale del dimezzamento dei termini processuali è circoscritta al solo giudizio di primo grado (e vale solo per il ricorso introduttivo, quello incidentale, e per i motivi aggiunti)” (Cons. Stato, Sez. III, 20 settembre 2012, n. 5021).

Infatti, il testè citato art. 87, comma 3, c.p.a., a seguito della novella del 2011, espressamente dispone che “nei giudizi di cui al comma 2, con esclusione dell’ipotesi di cui alla lettera a), e fatto salvo quanto disposto dall’articolo 116, comma 1, tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti”.

Se ne deduce pertanto l’estrema chiarezza dell’eccezione posta alla dimidiazione, esclusivamente riferita alla notificazione di atti del primo grado di giudizio e non estendibile all’atto di appello.

A ciò aggiungasi, che già prima delle correzioni apportate al codice del processo amministrativo (avvenute nel novembre 2011), la giurisprudenza aveva fatto esatta applicazione della regola della dimidiazione del termine per la proposizione dell’appello nel giudizio di ottemperanza.

Infatti, con sentenza dell’aprile 2011, questo Consiglio aveva già avuto modo di precisare che “l’art. 114 c.p.a., che disciplina il procedimento per il giudizio di ottemperanza, al comma 8, stabilisce che le disposizioni del giudizio di ottemperanza si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell’ottemperanza. Quanto ai termini per la proposizione delle impugnazioni, al comma 9, stabilisce che sono quelli previsti nel libro terzo e, quindi quelli dettati dall’art. 94 c.p.a., norma di carattere generale, che stabilisce che il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito entro 30 giorni dall’ultima notificazione. Tale disposizione è, tuttavia, derogata dall’art. 87 c.p.a., comma 3, che relativamente ai procedimenti in camera di consiglio, tra i quali alla lettera d) è compreso il giudizio di ottemperanza, stabilisce che tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso. Ne consegue che, nel caso di cui trattasi, cioè di giudizio in materia di ottemperanza, il termine per il deposito dell’appello è dimidiato rispetto a quello ordinario di 30 giorni” (Cons. Stato, Sez. V, 1° aprile 2011, n. 2036).

6. Orbene, essendo stata la sentenza di primo grado (non notificata) pubblicata il 18.10.2012, il termine lungo dimidiato di tre mesi è venuto di conseguenza a scadere il 18.01.2013, mentre il ricorso in appello è stato presentato all’ufficiale giudiziario per la notificazione solo successivamente a tale data nel marzo 2013 e, pertanto, tardivamente.

7. Né, nella specie, sono ravvisabili i presupposti per un’eventuale rimessione in termini, considerato che, per un verso, la causa è stata radicata in epoca successiva all’emanazione del decreto correttivo n. 195/2011 e, per altro verso, che, per quanto sopra detto, non sussiste da tempo alcuna oscillazione giurisprudenziale in materia.

Al riguardo va considerato che l’errore scusabile è istituto di carattere eccezionale che deroga al principio cardine della perentorietà dei termini di impugnazione e che un uso eccessivamente ampio del riconoscimento, lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe risolversi in un vulnus del principio di parità delle parti (art. 2, comma 1, Cod. proc. amm.), quanto a rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale (Cons. Stato, Ad. plen., 2 dicembre 2010, n. 3; Ad. Plen., 9 agosto 2012, n. 32).

8. Conclusivamente l’appello deve essere dichiarato irricevibile, siccome tardivamente proposto.

9. Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta – definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Francesco Caringella – Consigliere

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Antonio Bianchi – Consigliere, Estensore

Nicola Gaviano – Consigliere

Depositata in Segreteria il 17 novembre 2014.

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