Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 novembre 2017, n. 5275. In riferimento al  termine fissato alla Soprintendenza competente per l’eventuale annullamento della autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione

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Non risulta corretto neppure il richiamo alla riduzione del termine lungo per impugnare di cui alla L. 69/2009, che ha modificato l’art. 327 c.p.c. Al riguardo si osserva che la modifica dell’art. 327 c.p.c. opera, a decorrere dal 4 luglio 2009, in relazione “ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, come prevede l’art. 58 co. 1 di tale legge. Pertanto, nel caso in esame la novella non è applicabile, posto che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado è stato notificato in data 1 luglio 2002. Al proposito, deve infatti ritenersi che il citato art. 58, comma 1, quando allude ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, si riferisce all’instaurazione originaria del giudizio di primo grado, dovendosi escludere che esso intenda avere riguardo all’instaurazione di una fase di un grado di giudizio o di un grado di giudizio. Tale conclusione si desume dalle disposizioni dei commi successivi, ed in particolare da quella del comma 2 e del comma 5 dello stesso art. 58, le quali, in deroga al principio generale del comma 1, applicano criteri che fanno riferimento al grado del giudizio o al momento della pronuncia del provvedimento impugnato con riguardo all’esercizio del diritto di impugnazione in cassazione. Tale conclusione è conforme all’indirizzo espresso anche dalla Corte di Cassazione, secondo la quale: “in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio” (Cass. 6007/2012, cfr. anche Cass. 20102/2016, Cass. 19969/2015, Cass. 15741/2013, Cass. 10846/2011, Cass. 25792/2011). La soluzione accolta non si pone in contrasto con la giurisprudenza di questo Consiglio citata dal Ministero, dove infatti il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era collocabile in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (cfr. Cons. St. 6842/2011).
Passando all’esame dei motivi di appello, con la prima censura l’appellante insiste nel contestante il mancato rispetto del termine di legge per la conclusione del procedimento avanti il Ministero. In proposito, l’appellante sostiene che il Ministero era nelle condizioni di pronunciarsi sin dal momento in cui aveva ricevuto la determinazione comunale trasmessa con nota del 20.12.2001, poiché quest’ultima era corredata di tutta la documentazione sulla base della quale era stato espresso parere favorevole sulla domanda di concessione in sanatoria.
A questo riguardo, nella sentenza appellata si rileva che: “la richiesta istruttoria di cui alla nota 18.2.2002 indirizzata ai ricorrenti indica il certificato di destinazione urbanistica con attestazioni vincolistiche e il certificato di distanza del fabbricato dal corso d’acqua tutelato. Si tratta di due documenti essenziali al fine di valutare la correttezza – sotto il profilo della legittimità – della valutazione operata dal Comune che ha ritenuto di rilasciare parere favorevole pur in presenza del vincolo assoluto di inedificabilità che insiste sulla fascia di 150 metri dai corsi d’acqua, come previsto dall’art. 6 delle NTA del PTP n. 12 sub ambito 12/1… E’ evidente, quindi, che l’Amministrazione statale legittimamente ha ritenuto di dover acquisire tutti gli elementi necessari prima di pronunciarsi sull’argomento”.
L’appellante contesta tale assunto, sostenendo che con la nota istruttoria del 18.02.2002 si sarebbe solo voluto interrompere il decorso del menzionato termine decadenziale; infatti, mediante tale istanza istruttoria era stata sollecitata la trasmissione di certificazioni relative a dati e notizie che erano già in possesso del Ministero in quanto: la destinazione urbanistica era indicata nello stesso parere sottoposto a valutazione ministeriale; la distanza fra manufatto oggetto di sanatoria e il vicino corso d’acqua era indicata nella relazione tecnica e costituiva fatto pacifico che il primo ricadeva nella fascia di rispetto.
Il motivo di appello è infondato, dovendosi condividere le considerazioni svolte nella sentenza impugnata.
La contestata richiesta istruttoria, lungi dal rappresentare un espediente per eludere il termine di decadenza, costituisce invece legittimo esercizio delle prerogative intestate allo stesso Ministero di cogestione del vincolo e di verifica della correttezza dell’operato del Comune. Come evidenziato dal Giudice di primo grado, i documenti richiesti non appaiono superflui rispetto all’accertamento che il Ministero era chiamato a svolgere, essendo invece assolutamente essenziali al fine di valutare la legittimità della valutazione operata dal Comune. In queste sede deve solo aggiungersi che detta richiesta istruttoria non era affatto rivolta ad acquisire elementi già agli atti del procedimento, non rivestendo pertanto una funzione meramente strumentale ad interrompere il decorso del termini di legge come sostenuto dall’appellante. Invero, i dati necessari all’esame della pratica non erano immediatamente desumibili in modo chiaro dalla determina comunale, la quale soffre invero di una consistente carenza motivazionale, come si esplicherà oltre. Non solo, rispetto a determinati elementi – ad esempio l’inclusione o meno dell’area nella perimetrazione urbana redatta dal Comune di (omissis), giusta delibera consiliare, n. 76 del 07.10. 1996 – è ravvisabile una palese contraddittorietà tra la determina comunale e quanto attestato nella relazione del professionista allegata all’istanza. Alla luce di tali circostanze, la richiesta istruttoria non appare solo legittima, ma anzi doverosa e necessaria al fine di chiarire le contraddizioni innanzi evidenziate. Per le ragioni esposte la censura è infondata, dovendosi ricordare che il termine perentorio previsto dall’art. 151, comma 4, del D.Lgs. n. 490 del 1999 decorre solo da quando il Ministero è effettivamente posto nelle condizioni di pronunciarsi e quindi da quando l’intera documentazione rilasciata sia stata ricevuta dallo stesso, non verificandosi pertanto alcuna sospensione o interruzione nel caso in cui sia necessaria un’integrazione della documentazione, bensì soltanto l’effetto della non decorrenza del termine (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 24).
Con un secondo ordine di censure il ricorrente insiste nel sostenere anche in sede di appello che l’invio del decreto ministeriale in fotocopia non comporterebbe il corretto assolvimento dell’obbligo di comunicazione di tale provvedimento. In tale prospettiva la comunicazione doveva ritenersi come non avvenuta; pertanto, doveva considerarsi assolutamente fuori termine il provvedimento di annullamento giunto presso il Comune in data 20.5.2002, quando era già decorso il termine di sessanta giorni previsto dalla legge per comunicare l’annullamento.
Sul punto, il giudice di primo grado ha ritenuto che: “l’invio della fotocopia in luogo di un documento originale è idoneo ad assolvere gli oneri di comunicazione a carico dell’Amministrazione”.
L’appellante contesta tale assunto, sostenendo che le comunicazioni a mezzo fax equivalgono a comunicazione dell’originale solo in alcune ipotesi (ad es. art. 17 della l. 5/2003); inoltre, nel caso di specie, l’appellante lamenta che la fotocopia del provvedimento ministeriale era stato trasmesso a mezzo fax dal Comune e non dal Ministero.
La doglianza è infondata.
Al riguardo è sufficiente richiamare il precedente di questa stessa Sezione, secondo la quale “il termine fissato alla Soprintendenza competente per l’eventuale annullamento della autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione (ovvero dall’ente subdelegato), nel regime transitorio di cui all’art. 159, comma 3, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (che riproduce la norma già contenuta dapprima nell’art. 82 d.PR 24 luglio 1977, n. 616 – come modificato dall’art. 1 l. 8 agosto 1985, n. 431, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 – e poi nell’art. 151 del d.lg. 29 ottobre1999, n. 490), per quanto di natura perentoria, è previsto dalla legge soltanto ai fini dell’adozione dell’eventuale provvedimento di annullamento e non anche per la sua comunicazione ai soggetti interessati. In altri termini, perché possa dirsi rispettato il suddetto termine è sufficiente che l’atto sia adottato nel termine per provvedere, non dovendosi ricomprendere nel computo del termine stesso l’attività successiva di partecipazione di conoscenza dell’atto ai suoi destinatari. Ciò in considerazione della natura non recettizia di questo tutorio annullamento, che è espressione di cogestione attiva del vincolo paesaggistico e della conseguente ininfluenza, ai fini della sua validità, della comunicazione ai diretti interessati nell’arco temporale fissato dalla legge per l’adozione del provvedimento” (Cons. Stato, Sez. VI, 4 luglio 2016 n. 2958).

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