Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 novembre 2017, n. 5282. L’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione

L’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione, deve: derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo ciò ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; attenere a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

Sentenza 15 novembre 2017, n. 5282
Data udienza 19 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 130 del 2017, proposto da:
CITTA’ DI (OMISSIS), in persona del sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Au., domiciliata ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
GI. FR., rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Ma. Iz., presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via (…);
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – Sez. VI, n. 2655 del 2016;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor Gi. Fr.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2017 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati An. Di Gi., in delega di Au., e M.G Me., in delega dell’avvocato Ro. Ma. Iz.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- La Città di (omissis) chiede la revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2655 del 2016, premettendo quanto segue: – il signor Gi. Fr., responsabile della realizzazione abusiva di un capannone per ricovero attrezzi, aveva impugnato il provvedimento in data 24 gennaio 2007 con il quale il Comune di (omissis), avendo accertato (con verbale del 9 gennaio 2006) l’inottemperanza dell’ordine di demolizione notificato in data 28 agosto 2000, aveva disposto l’acquisizione gratuito del bene e della relativa area di sedime al patrimonio comunale; – l’istante lamentava di non avere potuto procedere alla demolizione nei termini di legge, quale mero soggetto responsabile dell’abuso, ma non proprietario, in assenza di espressa autorizzazione da parte dell’amministrazione comunale, deducendo altresì l’eccessiva estensione dell’area di sedime soggetta ad acquisizione rispetto all’entità del manufatto abusivo, e lamentando di non avere potuto partecipare all’accertamento dell’inottemperanza spontanea ed alla redazione del relativo verbale per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento; – con motivi aggiunti, l’impugnazione veniva estesa anche all’ordinanza n. 58 del 25 febbraio 2008, con la quale era stata disposta la demolizione a cura dell’amministrazione comunale delle opere non demolite e già acquisite al patrimonio comunale, allegando vizi di invalidità derivata e ribadendo di essersi sempre dichiarato disponibile a demolire ma previa esplicita autorizzazione da parte dell’amministrazione comunale; – il predetto giudizio veniva definita in primo grado con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, n. 8158 del 2013, la quale respingeva il ricorso, dichiarando improcedibili i motivi aggiunti; – sennonché, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2655 del 2016, accoglieva l’appello e per l’effetto annullava gli atti impugnati.
1.1.- Su queste basi, l’Amministrazione comunale sostiene che la predetta sentenza del Consiglio di Stato sia affetta da un errore di fatto risultante dagli atti di causa e, quindi, deve essere revocata ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.
In particolare, secondo la ricorrente in revocazione:
– nella sentenza sarebbe stato gravemente omesso di considerare che il Fr. aveva richiesto di essere autorizzato a demolire le opere realizzate in data 10 agosto 2000, e, quindi, prima della notifica dell’ordinanza di demolizione n. 239 del 25 agosto 2000;
– l’Amministrazione ricorrente, con la nota del 25 agosto 2000, non aveva affatto espresso un diniego alla demolizione, comunicando, al contrario, all’interessato che la richiesta risultava carente della prescritta documentazione tecnica, non solo dell’atto di proprietà;
– prima dell’adozione dell’ordinanza di demolizione e, quindi, prima che il Fr. fosse definitivamente individuato quale responsabile degli abusi edilizi, l’Ente ricorrente non avrebbe potuto autorizzare alcuna demolizione di manufatti in assenza di esibizione del titolo di proprietà, nonché della documentazione tecnica necessaria;
– con l’adozione dell’ordinanza di demolizione doveva ritenersi superata sia l’istanza del Fr. del 10 agosto 2000 sia la relativa risposta dell’Ente, considerato che con il provvedimento n. 239/2000 si era ordinata la demolizione delle opere abusivamente realizzate, precisando che, in difetto, si sarebbe provveduto all’applicazione delle sanzioni previste dalla legge;
– altro errore integratosi nella fattispecie in esame consiste nel non aver considerato che l’ordinanza di demolizione che intimava al Fr. di demolire le opere abusive non è stata dallo stesso impugnata, non potendosi quindi in alcun modo mettere in discussione gli obblighi in essa contenuti, nonché le conseguenze derivanti dalla mancata ottemperanza.
2.- Resiste nel presente giudizio il signor Gi. Fr., argomentando diffusamente l’inammissibilità e l’infondatezza dell’impugnazione.
3.- Alla camera di consiglio del 16 febbraio 2017, su istanza delle parti, il Presidente ha disposto il rinvio al merito al 19/10/2017.
4.- All’udienza del 19 ottobre 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO

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