Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 novembre 2017, n. 5270. In sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, il Comune non può esimersi dal verificare il rispetto, da parte dell’istante, dei limiti privatistici sull’intervento proposto

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Quanto all’intervento di sopraelevazione, è condivisibile l’assunto contenuto nella sentenza impugnata, secondo la quale: “il recupero del sottotetto dell’edificio in questione è stato assentito ai sensi della più volte citata L.R. n. 24/2001 che opera in deroga alla disciplina stabilita dalla strumentazione urbanistica comunale e, comunque, è espressamente richiamata dall’art. 10.2 del PUC”. L’affermazione è corretta, posto che la sopraelevazione, si sostanzia in un innalzamento delle altezze di colmo e di gronda pari a 60 cm, che si mantengono nel limite consentito dall’art. 2 della L.R. n. 24/2001. La quale sotto tale profilo consente di derogare al PUC
Rispetto alle ulteriori opere, come anticipato, l’appellante sottolinea che la citata L.R. n. 24/2001 ammette solo interventi di ristrutturazione, mentre il progetto approvato dal Comune di (omissis), comportando la modifica della sagoma e delle caratteristiche architettoniche essenziali dell’edificio, configurerebbe una nuova costruzione che non è ammessa dal PUC. Anche sotto tale profilo è condivisibile quanto argomentato dal giudice di prime cure, il quale ha sostanzialmente rilevato che gli interventi contestati non sono idonei né a modificare la sagoma, né le caratteristiche essenziali del fabbricato, precisando che le doglianze dei ricorrenti, stante la loro genericità non sono idonee a confutare, le valutazioni di cui alla relazione del professionista prodotta.
A tale condivisibile appunto deve aggiungersi quanto segue.
In generale, l’elemento che contraddistingue la ristrutturazione edilizia dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio (ex multis Cons. St., Sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 6214 e Cons. St., Sez. VI, 16 giugno 2008, n. 2981). La ristrutturazione edilizia è una attività di edificazione che conserva la struttura fisica dell’immobile preesistente, sia pure con la sovrapposizione di un insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in parte diverso dal precedente. E’ necessario, quindi, affinché rilevi una ristrutturazione, che tra la vecchia e la nuova edificazione sussista un evidente rapporto di continuità, anche laddove vi sia una trasformazione dell’immobile preesistente. Ne deriva che la ristrutturazione edilizia si caratterizza anche per la previsione di possibili incrementi volumetrici. Più precisamente, il Testo Unico (art. 3 let. D) come modificata dall’art. 1 d. Lgs. 27/12/2002 n. 301), a cui si sostanzialmente si conforma l’art. 10 L.R. Liguria n. 16/2008, ha introdotto uno sdoppiamento della categoria delle ristrutturazioni edilizie, riconducendo ad essa anche interventi che ammettono integrazioni funzionali e strutturali dell’edificio esistente con incrementi di volume (Cfr. Cons. St. Sez. IV 26 giugno 2013, n. 3456). A differenza di quanto sostenuto dall’appellante, l’identità di volumetria e di sagoma è prevista nei soli casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione del fabbricato, mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione (come nel caso di specie). Sul punto, anche la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che: “l’identità della volumetria e della sagoma costituisce un limite solo per gli interventi di ristrutturazione che comportano la previa demolizione dell’edificio, e non anche per quelli di c.d. ristrutturazione ordinaria (cioè senza previa demolizione), i quali devono mantenere inalterati solo gli elementi strutturali che individuano e qualificano l’edificio preesistente, potendo però comportare integrazioni strutturali, e cioè modifiche non stravolgenti alla sagoma nonché limitati incrementi di superficie e volume” (Cons. Stato Sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3358, Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2007, n. 5214). Alla luce delle precisazioni che precedono, la natura ed entità degli interventi assentiti, che non hanno in alcun modo inciso sulla struttura e sulle caratteristiche dell’immobile, porta in ogni caso a considerare l’intervento nella categoria della ristrutturazione edilizia, come tale autorizzabile a norma del PUC. La modesta incidenza di tali opere rispetto al fabbricato già esistente è confermata, tra l’altro, dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che testimonia la compatibilità dell’impatto di dette opere sul contesto nel quale si inseriscono.
Da ultimo, deve rilevarsi l’irrilevanza ai fini del presente giudizio della pronuncia di illegittimità costituzionale del 3 novembre 2016 n. 231. Invero, nel caso in esame la normativa interessata da tale pronuncia non viene in considerazione, tanto è vero che l’intervento è stato autorizzato con permesso a costruire, esulando quindi le questioni circa la facoltà per le regioni di derogare alla normativa nazionale circa il titolo (permesso a costruire piuttosto che SCIA) al fine di legittimare i diversi interventi edilizi.
In definitiva l’appello deve essere respinto.
Vista la soccombenza, parte appellante deve essere condannata alla refusione delle spese di lite della presente fase, liquidate come in dispositivo
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello.
Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore di Società De. di El. e Al. De. e C. S.a.s., liquidate in complessivi E. 4.000,00, oltre accessori come per legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

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