Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 novembre 2017, n. 5270. In sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, il Comune non può esimersi dal verificare il rispetto, da parte dell’istante, dei limiti privatistici sull’intervento proposto

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L’appellante contesta tale assunto, sottolineando che l’intervento non comporta la sola sopraelevazione dell’immobile, bensì anche l’esecuzione di ulteriori opere, quali la chiusura del portico, la realizzazione di un marciapiede con lampioni e dei posti macchina. Denuncia quindi la mancanza del consenso degli altri condomini (cioè degli stessi ricorrenti), da cui la carenza di legittimazione della Società De. ad ottenere il permesso di costruire per la modifica delle parti comuni dell’edificio. Evidenzia inoltre che in base all’art. 1127 c.c. la facoltà di sopraelevazione è subordinata a precisi limiti, nella fattispecie non rispettati, tra cui in primis l’onere di non pregiudicare l’aspetto dell’edificio, ovvero quello di evitare la diminuzioni di aria e luce dei piani sottostanti.
Con il secondo motivo di appello, connesso al precedente, si denuncia l’indebita cognizione da parte del G.A. su aspetti di esclusivo rilievo civilistico. In particolare, si deduce che la sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la permettono e che i condomini possono opporsi se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio (art. 1227 c.c.), censurando la sentenza di primo grado nel punto in cui ha escluso la sussistenza nella fattispecie di tali condizioni impedienti. Viceversa, secondo la prospettazione dell’appellante, l’assenza del consenso da parte degli altri comproprietari nonché la necessità di vagliare preliminarmente avanti il Giudice ordinario gli aspetti innanzi evidenziati, precluderebbe la possibilità di rilasciare i titoli abilitativi impugnati. Al riguardo, parte appellante cita giurisprudenza a sostegno della propria tesi, secondo la quale per il rilascio del permesso di costruire opere che incidono sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi.
Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha escluso che le eventuali innovazioni sulle parti comuni possano dare luogo ad una innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120 c.c. dal momento che: “l’intervento di demolizione e ricostruzione a quota più elevata del tetto dello stabile non è idoneo ad alterarne l’entità sostanziale, né a modificare l’originaria funzione di copertura assolta da tale elemento strutturale”. Secondo l’appellante l’intervento comporterebbe una pericolosità strutturale del fabbricato; nonché un pregiudizio al decoro dello stesso attraverso la costruzione di nuovi volumi su area limitrofa a quella attualmente occupata e la modifica della sagoma dell’edificio. Ne conseguirebbe che il singolo proprietario non potrebbe mai senza autorizzazione degli altri aventi diritto, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti, siano esse comuni o di proprietà individuale, che incidono sul decoro architettonico dell’intero corpo di fabbrica o di parti significative di esso. L’appellante conclude che anche in ragione di tale aspetto l’Amministrazione doveva negare l’assenso all’intervento richiesto, poiché, richiesto da soggetto sfornito della necessaria legittimazione, non sussistendo il consenso degli altri aventi diritto.
Può essere esaminato in questa sede anche l’ottavo motivo di appello, con il quale si censura il mancato accoglimento dei motivi aggiunti in primo grado. Secondo l’appellante, l’intervento assentito comporterebbero la violazione delle distanze minime tra le costruzioni dell’art. 873 c.c., nonché delle vedute e dei balconi ex art. 905 c.c. Pertanto, anche sotto tale profilo, la società De. sarebbe priva dell’idonea legittimazione all’ottenimento del titolo.
I motivi di appello innanzi illustrati devono essere respinti per le ragioni di seguito esposte.
In fatto, giova precisare che gli interventi oggetto del permesso a costruire impugnato riguardano pressoché essenzialmente parti dell’immobile di proprietà esclusiva della Società De.. Invero, i lavori richiesti hanno ad oggetto il recupero, a fini abitativi, del portico e del sottotetto esistente, posto al primo piano del fabbricato, su parti dell’edificio di esclusiva proprietà dell’odierna controinteressata. Più precisamente, quanto ai lavori di sopraelevazione è documentata in causa la proprietà esclusiva da parte della società dell’ultimo piano, da cui deriva la facoltà di sopraelevazione ai sensi dell’art. 1127 c.c. In riferimento alle altre opere esse gravano essenzialmente sul giardino di proprietà di De., come emerge dagli atti di acquisto della proprietà da pare della società. Rispetto alla denunciata mancata considerazione del rispetto della disciplina delle distanze legali introdotta con i motivi aggiunti da parte dei ricorrenti, si osserva che nell’atto di acquisto, le parti hanno: “reciprocamente rinunziano all’osservanza delle distanze legali dai rispettivi confini nel caso di varianti prospettiche che dovessero essere apportate agli immobili”. In riferimento a tutte le criticità rispetto alla normativa civilistica (quali l’eventuale interessamento dei lavori in modo diretto o indiretto anche di parti comuni, gli eventuali pregiudizi alla staticità ed al decoro architettonico del fabbricato, al mancato rispetto delle distanze) ed alla conseguente necessità del consenso dei ricorrenti, al fine dell’ottenimento del permesso a costruire, è inoltre importante osservare la presenza dei verbali delle assemblee che hanno autorizzato i lavori (deliberazioni del 19 ottobre 2012 e del 24 gennaio 2013) alle quali gli appellanti sono stati regolarmente convocati ed ai quali è stato pacificamente comunicato l’esito, senza che gli stessi, per qual che consta, abbiano mosso nelle sedi opportune alcuna contestazione.

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