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2. Con il permesso di costruire n. 71 del 7 dicembre 2007, il Comune ha assentito un intervento consistente nella ristrutturazione edilizia del corpo centrale, nel cambio di destinazione del primo piano di questo, nella demolizione di uno dei corpi laterali e nella sua ricostruzione in sopraelevazione al corpo corrispondente dall’altro lato.
3. La signora Lu. Ri., proprietaria di un’area confinante nella medesima zona urbanistica, ha impugnato (con ricorso principale e tre successivi atti di motivi aggiunti):
a) il permesso di costruire n. 71/2007;
b) il permesso in variante n. 62 dell’11 luglio 2008;
c) la d.i.a. in variante presentata dal controinteressato in data 19 giugno 2009;
d) il provvedimento n. 16677 del 17 giugno 2009, con cui l’Amministrazione comunale ha revocato la sospensione dei lavori disposta in precedenza (con le ordinanze n. 9 del 30 maggio 2008 e n. 18 del 27 agosto dello stesso anno).
4. Con sentenza 21 maggio 2010, n. 7830, il T.a.r per la Campania, sez. II:
a) ha respinto un’eccezione di irricevibilità;
b) ha accolto il secondo motivo del ricorso principale, nonché il primo e il secondo atto di motivi aggiunti, ritenendo che l’intervento progettato, per le sue caratteristiche, dovesse qualificarsi come nuova costruzione e non come ristrutturazione edilizia e dovesse pertanto rispettare la distanza minima di cinque metri dal confine, imposta nella zona dalle n. t.a. al p.r.g. vigente;
c) ha aggiunto che la variante sarebbe stata inoltre illegittima perché il tipo di intervento non avrebbe consentito la procedura semplificata;
d) ha dichiarato improcedibile il terzo atto di motivi aggiunti proposto avverso l’atto di revoca, in quanto l’annullamento dei titoli edilizi impugnati non consentirebbe l’esecuzione delle opere (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);
e) ha dichiarato assorbiti i motivi non esaminati;
f) ha condannato in solido il Comune di (omissis) e il privato controinteressato al pagamento delle spese di giudizio.
5. Il signor Mi. ha interposto appello avverso la sentenza n. 7830/2010 che avrebbe errato:
a) nel fare riferimento a progetti non più attuali e relativi a interventi (quale la realizzazione di una sopraelevazione e di un ampio sottotetto) venuti meno nell’ultimo atto sottoposto all’Amministrazione, cioè nella d.i.a. in variante (sarebbero dunque mutati il titolo edilizio e le opere da realizzare) e nel non aver dichiarato inammissibile o improcedibile il gravame, in quanto il permesso in variante n. 62/2008 sarebbe stato censurato solo per illegittimità derivata e senza indicazione di specifiche doglianze. I titoli edilizi successivi al primo avrebbero puntualmente rispettato la distanza di cinque metri dal confine e l’intervento sarebbe stato correttamente definito di ristrutturazione edilizia essendo rimasto fisicamente immutato il manufatto centrale, che rappresenterebbe l’80 % del volume e della superficie complessivi. Di conseguenza, sarebbe anche infondata la tesi (svolta in un motivo dichiarato assorbito dal T.a.r.) della necessità di un previo piano attuativo;
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