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L’impugnazione della sentenza, proposta prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, investe solo la statuizione di rigetto fondata sulla sussistenza della cosiddetta “pregiudizialità amministrativa”. Si mette in risalto il contrasto tra la giurisprudenza del giudice amministrativo, fondata sulla cosiddetta “pregiudizialità amministrativa” e quella del giudice ordinario, che ritiene disapplicabile il decreto di espropriazione emesso in carenza di potere indipendentemente dalla sua impugnazione; si invita questo Consiglio a rimeditare la tesi, almeno con riferimento alla richiesta di risarcimento per equivalente cui è limitata l’originaria domanda; si rileva che il contrasto tra le due giurisdizioni determina la negazione della tutela processuale di diritti, violando le garanzie del giusto processo accordate dall’art. 6, paragrafo primo, della CEDU, denunciabile alla Corte di Strasburgo; si sostiene che, nella fattispecie, la Corte di appello ha disapplicato il decreto di espropriazione emesso in carenza di potestà ablatoria e negato la liquidazione giudiziale dell’indennità di esproprio (affermazione non veritiera, come emergerà nel prosieguo, §.8.1.1.) e che il T.a.r., per negare il risarcimento per equivalente monetario, ha opposto la “pregiudiziale amministrativa”, non essendo stato il decreto di esproprio tempestivamente impugnato.
5.1. Il Comune si è costituito in giudizio concludendo per il rigetto del gravame.
5.2. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
5.3. Con la memoria del 7 giugno 2016, le appellanti hanno prodotto la sentenza della Corte di Cassazione (n. 26671 del 2013) e l’ordinanza della stessa Corte, n. 18750 del 2015, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione avverso la prima. Deducono che con la sentenza del 2013, oramai definitiva, è stato riconosciuto, con autorità di giudicato: a) che il decreto di esproprio era stato emesso in carenza di potere per scadenza dei termini; b) il valore venale del terreno alla data di decadenza del decreto di espropriazione, utilizzato per la liquidazione dell’indennità di occupazione legittima.
Aggiungono che, dopo l’entrata in vigore dell’art. 30 c.p.a., non è più impedita la diretta proposizione della domanda di riparazione per equivalente, essendo venuta meno la “pregiudiziale amministrativa”.
5.4. Con la successiva memoria del 13 giugno 2017, si chiede che gli interessi legali decorrano, a partire dal 12 dicembre 2014, al tasso previsto dall’art. 1284, co. 4 c.c., come introdotto dall’art. 17 del d.l. n. 132 del 2014, conv. nella l. n. 162 del 2014, applicabile anche ai contenziosi in corso al momento dell’entrata in vigore della norma.
5.5. Il Comune di (omissis) ha replicato con due memorie depositate rispettivamente in data 20 e 25 settembre 2017.
6. All’udienza pubblica del 26 ottobre 2017 la causa è stata assunta in decisione.
7. Con l’impugnazione, come integrata nella memoria del 7 giugno 2016 in riferimento alle sentenze civili sopravvenute, le signore Gu. mirano ad ottenere il risarcimento per equivalente da perdita della proprietà, facendo leva su due distinte argomentazioni:
a) la valenza di giudicato tra le stesse parti della statuizione della Corte di cassazione del 2013, che ha dichiarato improcedibile la domanda di opposizione alla stima per l’assenza della legitimatio ad causam, essendo stato il decreto di espropriazione emanato in carenza di potere dopo la scadenza della dichiarazione di pubblica utilità, riconoscendo solo l’indennità di occupazione legittima;
b) il venir meno della cosiddetta “pregiudiziale amministrativa” per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 30 c.p.a.
8. Per rendere meglio comprensibile la prima questione è opportuno soffermarsi sulle vicende che hanno riguardato l’opposizione alla stima.
8.1. La dante causa delle attuali appellanti impugnò dinanzi alla Corte di appello, nel 1989, la determinazione dell’indennità di espropriazione effettuata dalla Commissione Provinciale Espropri. Deceduta la dante causa e riassunto il processo, le signore Gu. chiesero che l’opposizione venisse dichiarata improcedibile relativamente all’indennità di espropriazione, deducendo la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e la tardività del decreto di esproprio.
La Corte di appello, ritenne integrata una inammissibile mutatio libelli rispetto all’invocata decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e rigettò nel merito l’opposizione, per essere quella dovuta per legge inferiore a quella stimata dalla Commissione.
8.1.1. Il contenuto della suddetta sentenza risulta, oltre che dal dispositivo in atti, anche dalla sentenza della Corte di cassazione del 2013 e smentisce quanto sostenuto dalle appellanti con il ricorso in appello, secondo cui la sentenza della Corte di appello avrebbe riconosciuto che il decreto di esproprio era stato emanato in carenza di potere.
8.2. Invece, la sentenza della Corte di cassazione del 2013 (confermata dalla successiva ordinanza di inammissibilità del ricorso per revocazione), in applicazione di una giurisprudenza consolidata ed in accoglimento di specifico motivo articolato dalle signore Gu., ha ritenuto rilevabile d’ufficio (in quanto incidente quale condizione dell’azione sulla titolarità in astratto del diritto fatto valere), la mancanza di un presupposto di validità del decreto di esproprio emanato in carenza di potere, per essere decaduta la dichiarazione di pubblica utilità, ed ha dichiarato improcedibile l’opposizione limitatamente all’indennità di esproprio.
9. Il giudicato discendente dalla sentenza della Corte di cassazione, sopravvenuta nel corso del presente giudizio di appello, non può avere efficacia nello stesso, con conseguente rigetto del profilo di impugnazione dedotto.
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