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Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza  n. 1609 del 19 marzo 2013

 

FATTO

 

La sig.ra C. F., ispettore capo della polizia penitenziaria , in servizio presso la Casa circondariale di Bologna, proponeva innanzi al Tar dell’Emilia Romagna ben sette ricorsi volti ad ottenere l’annullamento di provvedimenti ritenuti lesivi delle posizioni giuridiche soggettive inerenti lo status da lei ricoperto. Con riferimento a ciascuno degli atti gravati con le relative impugnative l’interessata chiedeva altresì per ognuno dei suddetti ricorsi la declaratoria del diritto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’illecita condotta tenuta dal datore di lavoro ( l’Amministrazione penitenziaria), riconducibile a suo dire a fenomeni di mobbing e comunque produttiva di lesioni all’integrità psicofisica (danno biologico) e alla qualità della vita (danno esistenziale) della stessa ricorrente. L’adito TAR con sentenza n.108/2008 riuniva i detti sette ricorsi, accoglieva alcune delle impugnative proposte con conseguente annullamento degli atti gravati, mentre rigettava tutte le azioni risarcitorie pure inoltrate con i citati rimedi giurisdizionali; inoltre condannava l’Amministrazione resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio nel limite di 1/3, compensandole tra le parti per i restanti 2/3. La sig. C. ha impugnato in parte qua la suindicata sentenza, contestando le statuizioni negativamente assunte dal primo giudice in ordine alla domanda risarcitoria avanzata in ogni singolo ricorso. Secondo parte appellante in base ai fatti accaduti e agli atti di contenuto negativo assunti nei suoi confronti scaturisce un giudizio di grave responsabilità datoriale della P.A. di appartenenza. In particolare, gli atteggiamenti illeciti posti in essere nell’ambiente di lavoro avrebbero dato luogo a fenomeni di mobbing, con conseguente dequalificazione professionale e demansionamento. In ogni caso dai provvedimenti di tipo vessatorio adottati nei suoi confronti si evincono i presupposti per la sussistenza di un pregiudizio suscettibile di risarcimento per danno esistenziale e danno morale. Parte appellante in sede conclusiva ha chiesto che in parziale riforma della impugnata sentenza, questo giudice di appello : a) disponga CTU medico legale “al fine di valutare le conseguenze dannose dei fatti lamentati sulla persona della ricorrente”; b) condanni l’Amministrazione intimata al risarcimento “dei danni tutti , patrimoniali e non patrimoniali”, quantificati nella “complessiva misura di euro 500.000 o nella somma ritenuta di giustizia”; c) condanni l’Amministrazione penitenziaria al pagamento delle spese del giudizio di primo grado nella loro integralità. Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia che ha contestato la fondatezza dei motivi d’appello chiedendone la reiezione. Parte appellante ha poi prodotto ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni apposite memorie difensive. All’odierna udienza pubblica la causa è stata trattenuta per la decisione.   DIRITTO L’appello è infondato, con conferma delle statuizioni rese con l’impugnata sentenza. Occorre preliminarmente, ai fini di una compiuta disamina dei motivi d’impugnazione, procedere a definire il precipuo petitum avanzato con il gravame all’esame.

Oggetto di contenzioso è la richiesta di accertamento, disattesa dal primo giudice, del diritto al risarcimento dei danni variamente sussumibili sotto le voci di danno biologico, sub specie del pregiudizio psico- fisico, di danno esistenziale e di danno morale che l’appellante assume di aver patito per ragioni appartenenti a due autonomi titoli: a) in via principale e in gran parte per l’ attività di mobbing posta in essere nei confronti della C. dall’Amministrazione di appartenenza; b) per l’avvenuta violazione da parte dell’Amministrazione dei doveri propri del datore di lavoro di osservanza dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa oltrechè di tutela del dipendente. Tanto debitamente precisato, la pretesa risarcitoria avanzata in riferimento ad entrambi i capi di domanda si rivela palesemente infondata. Il danno da mobbing è una fattispecie che si fa risalire , quanto alla natura giuridica, alla responsabilità datoriale, di tipo contrattuale, prevista dall’art.2087 del codice civile che pone a carico del datore di lavoro l’onere di adottare nell’esercizio di impresa tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro ( cfr Cassazione sezione lavoro 25 maggio 2006 n.1244). Il concetto di mobbing sia in punto di fatto che in punto di diritto è alquanto indeterminato, ancorchè, quanto ad una ragionevole sua definizione , possa considerarsi tale quell’insieme di condotte vessatorie e persecutorie del datore di lavoro o comunque emergenti nell’ambito lavorativo concretizzanti la lesione della salute psico-fisica e dell’integrità del dipendente e che postulano, ove sussistenti, una adeguata tutela anche di tipo risarcitorio ( in tal senso, Cass. Sezione Lavoro 26 marzo 2010 n.1307). Attesa la indeterminatezza della nozione , la giurisprudenza si è preoccupata di indicare una serie di elementi e/o indizi caratterizzanti il  negativamente incidenti sulla reputazione del lavoratore, su i suoi rapporti umani con l’ambiente di lavoro e sul contenuto stesso della prestazione lavorativa. Così per aversi mobbing è richiesto l’azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore deve essere sistematica e frequente posta in essere con una serie prolungata di atti e avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi ( Cass. Sezione lavoro n.4774/2006; Trib. Roma 7marzo 2008 n.69). Di contro non si ravvisano gli estremi del mobbing nell’accadimento di episodi che evidenziano screzi o conflitti interpersonali nell’ambiente di lavoro e che per loro stessa natura non sono caratterizzati da volontà persecutoria essendo in particolare collegati a fenomeni di rivalità, ambizione o antipatie reciproche che pure sono frequenti nel mondo del lavoro. Se quelli testè esposti sono rispettivamente i parametri del mobbing e la linea di demarcazione della nozione giuridica di siffatto fenomeno, nella fattispecie è da escludere che nei confronti dell’appellante sia sta posta in essere da parte dell’Amministrazione penitenziaria , quale datrice di lavoro, provvedimenti, atti e/o comportamenti di tipo mobizzante. Indubbiamente la sig.ra C. è stata destinataria di una serie di provvedimenti che hanno inciso negativamente sulle sue posizioni giuridiche soggettive e alcuni dei quali il Tar ha correttamente censurato come illegittimi, ma tutto ciò non vale a far configurare la sussistenza di una condotta di mobbing suscettibile di una pretesa risarcitoria. Invero, i provvedimenti recanti sanzioni disciplinari e l’attribuzione di una valutazione in sede di rapporto informativo ingiustificatamente peggiorativa , non rivelano alcun indizio sintomatico del mobbing e cioè l’esistenza di un atteggiamento sistematicamente persecutorio o vessatorio a nulla rilevando che l’interessata abbia avuto un aspecifica “ percezione “che tali vicende manifestino l’ intento dell’Amministrazione di emarginarla ed essendo gli episodi sottesi ai provvedimenti adottati a suo carico unicamente riconducibili al clima di conflittualità esistente tra il personale di custodia all’interno della struttura carceraria. Ne deriva cha alcun fondamento può rivestire la richiesta di risarcimento del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniali sotto le varie forme di danno avanzata dall’interessata : se mobbing non sussiste, parimenti non vi può essere danno ( risarcibile ) da mobbing, sotto nessuna delle voci di danno dedotte in giudizio, per l’assenza materiale e giuridica del titolo cui far scaturire l’invocato ristoro La sig.ra C. ha pure richiesto il risarcimento di danni in ragione della ritenuta condotta violativa dei doveri del datore di lavoro ravvisata comunque in capo all’Amministrazione( di cui al suindicato punto sub b) , ma neppure in relazione a tale più generale titolo appare configurabile una pretesa risarcitoria. Invero, non sussistono nel caso di specie gli elementi costitutivi di una responsabilità causativa di danno imputabile in capo alla P:A. sia perché che gli atti e i provvedimenti in contestazione, ancorchè illegittimi non rilevano una condotta colposa sia perché dall’adozione degli stessi non è dato rilevare un nesso causale tra le determinazioni assunte e il danno lamentato e vuoi ancora perché non è dato configurare un danno ingiusto. E’ allora, sul punto, il caso di dare atto come l’assenza delle suindicate condiciones iuris appare preclusiva di quale che sia richiesta risarcitoria. Pure infondata si rivela l’impugnativa nella parte in cui contesta la conclusione del Tar in ordine alla parziale compensazione delle spese del giudizio di prime cure: fermo restando che il giudice ai fini della relativa statuizione può legittimamente valutare ogni elemento ( Cons. Stato Sez. IV 28 maggio 2009 n.3349 ) , nella parte del decisum è chiaramente spiegato che la parziale compensazione avviene in ragione della reciproca soccombenza e tale circostanza ben giustifica la resa statuizione. In forza delle suestese considerazioni,l’appello, in quanto infondato, va respinto . Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda all’esame, per compensare tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta. Spese e competenze del presente giudizio compensate tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2013

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