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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza n. 4033 del 19 febbraio 2013

Svolgimento del processo

G.C., in proprio e quale tutore della figlia M.F., interdetta, convenne davanti al tribunale di Biella, l’ASL n. (omissis) di Biella chiedendo, sulla base della sentenza inter partes in data 11.1.1999, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni alla stessa derivati ed alla figlia F. per le lesioni subite a seguito di parto indotto con sostanze farmacologiche ed agevolato mediante l’uso del forcipe presso la divisione di ostetricia dell’ospedale di (omissis). La convenuta, costituitasi, chiese il rigetto delle domande ed, ottenuta l’autorizzazione del giudice, chiamò in causa le compagnie di assicurazione Milano Assicurazioni e Toro Assicurazioni, nonchè D.G., quale sanitario che aveva operato presso l’ospedale di (omissis) nel caso in esame. Si costituirono la Milano Assicurazioni ed il D., mentre rimase contumace la Toro Assicurazioni.

Il tribunale, con sentenza del 24.10.2002, condannò l’ASL n. (omissis) di Biella al risarcimento indicato in atti e le Compagnie di assicurazioni ad indennizzare l’ASL, mentre dichiarò il difetto di giurisdizione in relazione alle domande proposte dall’ASL nei confronti del D.. La sentenza fu parzialmente riformata dalla Corte d’Appello, con sentenza del 2.2.2006, con riferimento agli importi liquidati a titolo di risarcimento del danno, a seguito dell’appello proposta dalla G., nelle qualità indicate.

Nel giudizio di secondo grado, rimasero contumaci, nonostante la disposta integrazione del contraddittorio, le società assicuratrici. Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi la G.. Resiste con controricorso l’ASL n. (omissis) di Biella. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Preliminarmente va dato atto che al ricorso non è applicabile la norma dell’art. 366 bis c.p.c., introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, per essere la sentenza impugnata depositata in epoca anteriore (2.2.2006) alla sua entrata in vigore (2.3.2006). Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riguardo a M.F., la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., con conseguente omesso esame del primo motivo di appello (art. 360 c.p.c., n. 3). Il motivo è inammissibile. Con lo stesso, infatti, non è riprodotto il motivo di appello del quale si contesta l’affermazione di mancata specificità da parte della Corte di merito, non dando, in tal modo, alla Corte di legittimità la possibilità di valutare la correttezza o meno della decisione sul punto, limitandosi la ricorrente a riprodurre brani della c.t. di parte, con la quale si contestano le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata aderendo alle argomentazioni della c.t.u.. E ciò perchè anche quando siano denunciati, con il ricorso per cassazione, errores in procedendo – in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito – si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto. Ne deriva che, soltanto quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità, diventa possibile valutare la fondatezza del motivo stesso. Quindi, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. 20.7.2012 n. 12664; v. anche Cass. 31.5.2011 n. 11984). La ricorrente, quindi, avrebbe dovuto trascrivere, nel motivo, il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria ad evidenziarne la contestata genericità. Ciò che, nella specie, non è avvenuto. Con il secondo motivo si denuncia, con riguardo a M. F., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c.. Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia costituito dalla liquidazione equitativa del danno futuro concernente le spese mediche, i presidi sanitari e le consulenze specialistiche e assistenziali (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Il motivo non è fondato. La Corte di merito ha dato ampia e puntuale motivazione (pagg. 12, 13, 14 della sentenza) delle ragioni per le quali ha ritenuto di non potere liquidare il richiesto risarcimento del danno futuro, nè il contestato mancato “ricorso a nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza ex art. 115 c.p.c., comma 2” è censura che può condurre all’esito desiderato. A tal fine, infatti, la Corte di merito ha fondato il suo rigetto sulla mancata prova, o comunque allegazione, di elementi specifici dai quali potere dedurre la sussistenza del danno il cui risarcimento era stato richiesto. Soltanto, una volta che una tale allegazione fosse stata fornita,infatti, la liquidazione del danno patrimoniale per la perdita della capacità lavorativa specifica, come danno patrimoniale permanente e futuro, sarebbe potuto avvenire con criteri equitativi (Cass. 11.5.2007 n. 10831; v. anche Cass. 23.8.2011 n. 17514). Con il terzo motivo si denuncia, con riguardo a M.F. e G.C., la omessa e comunque illogica motivazione in ordine ad altro punto decisivo della controversia concernente la richiesta di risarcimento del danno esistenziale formulato da G. C. nella duplice veste (art. 360 c.p.c., n. 5). Il motivo non è fondato. La Corte di merito, con riferimento alla posizione della G. (pag. 18 della sent.), ha ritenuto la tardività della richiesta di risarcimento del danno esistenziale, formulata, nel giudizio di primo grado, solo con la comparsa conclusionale. Ad eguale conclusione è pervenuta anche in ordine alla medesima richiesta proposta, con riferimento alla posizione della M., soltanto nella comparsa conclusionale di secondo grado e non con uno specifico motivo di impugnazione (pag. 15 sent); come tale ritenuta inammissibile. La tardività della richiesta è evidente. Nè la ricorrente, al fine di evitare la declaratoria di tardività ha indicato – e riprodotto in ricorso – gli atti processuali in cui una tale richiesta sarebbe stata formulata, non potendo, neppure sostenere la censura avanzata la circostanza secondo cui la ricorrente avrebbe richiesto il risarcimento di “tutti i danni”, comprensivo, quindi, anche di quello esistenziale: circostanza, questa, che non risulta provata, ed è contestata dall’odierna resistente. In questa situazione processuale non rivesta alcuna utilità per la ricorrente la disciplina positiva in materia di danno non patrimoniale di recente affermata da questa Corte di legittimità – in continuità, peraltro con i principi sanciti da S.U. in materia di unitarietà del danno non patrimoniale – per la quale il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile esistenziale, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili (Cass. 20.11.2012 n. 20292). Presupposto fondante ed unificante di un tale risarcimento è, infatti, la sua tempestiva richiesta; ciò che non è avvenuto nel caso in esame. Conclusivamente, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore della resistente, sono poste a carico della ricorrente.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della resistente, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

 

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