Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30 dicembre 2016, n. 5552

In tema di calcolo dei balconi e degli sporti ai fini delle distanze degli edifici, i detti elementi architettonici possono non essere compresi nel computo delle distanze di cui al ridetto art. 9, d.m. nr. 1444/1968, qualora vi sia una norma di piano che ciò autorizzi e a condizione che si tratti di balconi aggettanti, estranei cioè al volume utile dell’edificio

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 30 dicembre 2016, n. 5552

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 7631 del 2015, proposto da Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti An. Pa. e An. Pa., con domicilio eletto presso il primo in Roma, via (…),

contro

– il COMUNE DI (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ro. Ba., domiciliato ex art. 25 cod. proc. amm. presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

– il CONDOMINIO “Pa. De. Pa.” 1° EDIFICIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, e i signori Gi. Pa. ed altri, rappresentati e difesi dall’avv. An. Or., con domicilio eletto presso l’avv. Fr. Ma. in Roma, via (…);

– il signor Pa. Si., rappresentato e difeso dagli avv.ti Er. Si. ed En. So., con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via (…);

avverso e per l’annullamento e/o riforma

della sentenza del T.A.R. della Campania, Sezione Seconda, nr. 2688 del 15 maggio 2015, mai notificata.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Condominio “Pa. de. Pa.” 1° Edificio e dagli altri appellati, e del signor Pa. Si. e gli appelli incidentali di questi ultimi due;

Viste le memorie prodotte dall’appellante (in date 10 e 23 giugno 2016), dal Comune di (omissis) (in data 14 giugno 2016), dal Condominio e dagli altri appellati (in date 13 e 23 giugno 2016) e dal signor Pa. Si. (in date 13 e 22 giugno 2016) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 3 novembre 2016, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Palma per la società appellante, l’avv. Ba. per il Comune appellato, l’avv. Or. per il Condominio e i condomini controinteressati e l’avv. So. per il sig. Pa. Si.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società Co. S.r.l. ha impugnato la sentenza con la quale il T.A.R. della Campania, in parziale accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti presentati dal Condominio “Pa. de. Pa.” 1° Edificio e da alcuni condomini, ha annullato il permesso di costruire rilasciato in suo favore dal Comune di (omissis), per l’esecuzione di un intervento di riqualificazione mediante sostituzione edilizia e mutamento di destinazione d’uso a fini residenziali di un capannone ad uso artigianale che la detta società aveva acquistato dal signor Pa. Si..

L’appello è affidato ai seguenti motivi in diritto:

1) error in iudicando; violazione di legge (art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, nr. 1444, violazione dell’art. 99, commi 18 e 19, del Regolamento edilizio comunale); eccesso di potere rilevabile attraverso la ricorrenza delle figure sintomatiche del difetto di istruttoria, della contraddittorietà, della disparità di trattamento; violazione dell’art. 97 Cost.; eccesso di potere per sviamento; illogicità manifesta (in relazione alla fondatezza ritenuta dal primo giudice della doglianza relativa alla violazione delle distanze tra fabbricati con pareti finestrate imposte dal decreto suindicato, tenuto conto anche della disposizione del Regolamento urbanistico comunale – disapplicata dal T.A.R. – secondo cui ai fini del calcolo di dette distanze non dovesse tenersi conto degli sporti o aggetti di ampiezza fino a mt 1,20);

2) error in iudicando; eccesso di potere; sviamento; difetto di istruttoria; manifesta ingiustizia; irragionevolezza; illogicità manifesta; violazione del principio del legittimo affidamento (non essendo dato evincere dalla sentenza impugnata se l’illegittimità rilevata dal primo giudice investisse l’intero titolo edilizio o la sola parte in violazione delle distanze suindicate);

3) error in iudicando; violazione dell’art. 29 cod. proc. amm.; eccesso di potere; sviamento; difetto di motivazione; manifesta ingiustizia; irragionevolezza; illogicità manifesta; altri profili (atteso che i motivi aggiunti di primo grado avrebbero dovuto essere dichiarati irricevibili per tardività).

Si è costituito il signor Pa. Si., dante causa della società appellante, il quale si è associato alle ragioni di quest’ultima ed ha a sua volta impugnato in via incidentale la sentenza in epigrafe, deducendo:

I) l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di irricevibilità per tardività dei motivi aggiunti di primo grado;

II) l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha accolto le censure aventi a oggetto il mancato rispetto delle distanze tra fabbricati.

Si sono altresì costituiti il Condominio e i condomini appellati, i quali si sono diffusamente opposti all’accoglimento degli appelli di parte avversa, instando per la conferma della sentenza impugnata; inoltre, essi hanno riproposto come segue le censure di primo grado rimaste assorbite o non esaminate:

a) violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale; violazione degli artt. 3, 4, 8 e 9 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della legge regionale della Campania 28 dicembre 2009, nr. 19, e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, nr. 1150; difetto di istruttoria; eccesso di potere; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge (in relazione alle ulteriori carenze nel rispetto degli standard del progetto per cui è causa);

b) violazione degli artt. 3 e 4 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge nr. 1150 del 1942; violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale; violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241; eccesso di potere; violazione dell’art. 41-sexies della legge nr. 1150 del 1942; violazione dell’art. 4 della legge 29 settembre 1964, nr. 847; violazione della legge 24 marzo 1989, nr. 122; violazione dell’art. 12 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge; contraddittorietà; violazione del principio di proporzionalità (in relazione al reperimento degli standard carenti in altro lotto del territorio comunale);

c) violazione degli artt. 3 e 4 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge nr. 1150 del 1942; violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale; violazione dell’art. 1, comma 3, del d.m. 22 aprile 2008; eccesso di potere; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge (in relazione alla mancata destinazione del 30% della volumetria realizzata all’edilizia sociale);

d) violazione degli artt. 3 e 4 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge nr. 1150 del 1942; violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale; violazione dell’art. 1, comma 3, del d.m. 22 aprile 2008; eccesso di potere; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge (in relazione all’eccedenza della volumetria assentita rispetto a quella del capannone preesistente);

e) violazione dell’art. 26 della l.r. 22 dicembre 2004, nr. 16; violazione degli artt. 3 e 4 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge nr. 1150 del 1942; eccesso di potere; violazione del P.R.G. approvato con d.P.G.R. nr. 3032 del 28 giugno 2007, e successiva variante approvata con d.P.A.P. di Napoli nr. 426 del 2 settembre 2010; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge; violazione del principio di proporzionalità (in relazione alla mancata previa approvazione del P.U.A.);

f) violazione dell’art. 8 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge nr. 1150 del 1942; violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale; violazione dell’art. 1, comma 3, del d.m. 22 aprile 2008; eccesso di potere; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge (in relazione all’eccedenza dell’altezza assentita rispetto a quella del capannone preesistente);

g) violazione degli artt. 3 e 4 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale; violazione dell’art. 3 della legge nr. 241 del 1990; violazione dell’art. 14 disp. prel. cod.civ.; eccesso di potere; carenza dei presupposti; travisamento; difetto di istruttoria (in relazione alla mancata sussistenza del requisito dell’essere il capannone dismesso alla data di entrata in vigore della norma regionale applicata);

h) violazione degli artt. 3 e 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 3 della legge nr. 241 del 1990; violazione degli artt. 3 e 4 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 36 del d.P.R. nr. 380 del 2001; violazione della legge nr. 1150 del 1942; violazione dell’art. 14 disp. prel. cod. civ.; eccesso di potere; carenza dei presupposti; travisamento; difetto di istruttoria (in relazione all’inapplicabilità della detta normativa regionale agli immobili abusivi, quale era quello per cui è causa);

i) violazione dell’art. 9 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge nr. 1150 del 1942; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge; violazione del principio di proporzionalità (in relazione all’essere state ricomprese anche le parti abusive del capannone preesistente al fine del calcolo della volumetria esistente);

j) violazione dell’art. 5, commi 9 e segg., della legge 12 luglio 2011, nr. 106; violazione degli artt. 3, 4, 8 e 9 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge nr. 1150 del 1942; violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale; violazione dell’art. 1, comma 3, del d.m. 22 aprile 2008; eccesso di potere; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge (in relazione all’erroneo richiamo della suindicata normativa del 2011, non pertinente alla fattispecie di che trattasi);

k) violazione dell’art. 9 del d.m. nr. 1444 del 1968; violazione dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 e s.m.i.; violazione dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge nr. 1150 del 1942; violazione dell’art. 49 del Regolamento edilizio comunale; violazione dell’art. 1, comma 3, del d.m. 22 aprile 2008; eccesso di potere; carenza dei presupposti; travisamento; violazione del giusto procedimento di legge; violazione del principio di proporzionalità (in relazione alla violazione delle prescrizioni in materia di altezze);

l) illegittimità derivata (per effetto dei vizi inficianti il condono edilizio a suo tempo rilasciato in relazione all’immobile interessato dall’intervento per cui è causa).

I predetti appellati hanno altresì proposto a loro volta appello incidentale avverso la sentenza in epigrafe, per le parti in cui il T.A.R. ha disatteso alcune delle censure da loro articolate.

In particolare, il predetto appello incidentale si basa sui seguenti motivi:

i) error in iudicando; violazione dell’art. 40 della legge 1985 nr. 47; error in procedendo; violazione dell’art. 64 cod. proc. amm. (in relazione al mancato esame delle censure articolate avverso il permesso di costruire in sanatoria precedentemente rilasciato in favore del sig. Si. per il capannone per cui è causa, del quale era stata denunciata l’illegittimità a cagione dell’evidente falsità delle dichiarazioni all’uopo prodotte);

ii) error in iudicando; error in procedendo; violazione dell’art. 40 della legge nr. 47 del 1985; violazione dell’art. 64 cod. proc. amm.; error in procedendo (in relazione alla reiezione delle ulteriori doglianze con cui era stata denunciata la falsità della predetta domanda di condono anche in relazione alla natura e consistenza del fabbricato interessato);

iii) error in iudicando; violazione degli artt. 35 e 40 della legge nr. 47 del 1985; error in procedendo; violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 39 cod. proc. amm. (per l’omesso esame della censura relativa all’illegittimità del condono rilasciato dal Comune di (omissis) a cagione della tardiva produzione della documentazione necessaria).

In seguito, le parti hanno depositato documentazione e sviluppato con memorie le rispettive tesi, anche in replica ai rilievi di parte avversa.

All’udienza del 3 novembre 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’odierna appellante, società Co. S.r.l., ha acquistato un capannone ad uso artigianale sito nel Comune di (omissis), già oggetto di condono edilizio, per il quale il precedente proprietario, signor Pa. Si., ha presentato nel 2012 un’istanza di permesso di costruire ai sensi dell’art. 19 della legge regionale 28 dicembre 2009, nr. 19, per un intervento di riqualificazione mediante sostituzione edilizia e mutamento di destinazione d’uso a fini residenziali.

Una volta subentrata nella titolarità dell’immobile, l’odierna istante ha chiesto e ottenuto una variante progettuale, proseguendo nei lavori avviati dal proprio dante causa.

1.1. I provvedimenti abilitativi suindicati sono stati impugnati in sede giurisdizionale dal Condominio “Pa. de. Pa.” e da alcuni condomini, che ne hanno lamentato l’illegittimità sotto plurimi profili; in tale sede, è stato altresì censurato – anche con motivi aggiunti – il provvedimento di condono edilizio a suo tempo emesso in favore del dante causa della società odierna appellante.

1.2. Il T.A.R. della Campania, all’esito di incombenti istruttori, ha parzialmente accolto il ricorso e conseguentemente annullato i permessi di costruire del 2012-2013, sulla scorta dell’assorbente rilievo della ritenuta fondatezza della doglianza di violazione dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, nr. 1444, stante la violazione delle distanze minime tra pareti finestrate di edifici frontistanti imposte da tale disposizione.

Al riguardo, il primo giudice ha ritenuto illegittimo per contrasto con la predetta disposizione, e pertanto disapplicato, l’art. 99, commi 18 e 19, del Regolamento edilizio comunale di (omissis), nella parte in cui stabiliva che ai fini del calcolo delle distanze tra edifici non dovesse tenersi conto di balconi, pensiline e cornicioni di lunghezza fino a un massimo di mt 1,20.

1.3. Con l’odierno appello, l’originaria controinteressata insorge avverso tale decisione, denunciandone l’erroneità.

La medesima sentenza è altresì impugnata:

a) dal sig. Si., dante causa dell’istante, con appello incidentale improprio convergente con quello principale;

b) dagli originari ricorrenti, i quali – oltre a riprodurre ex extenso gli ulteriori motivi di primo grado – hanno proposto appello incidentale per la parte in cui il T.A.R. ha disatteso le censure articolate avverso il permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune nel 2010 in favore del dante causa dell’appellante principale.

2. La ricostruzione in fatto che precede, corrispondente a quella ricavabile dagli atti e da quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

3. Tutto ciò premesso, gli appelli proposti dalla società Co. S.r.l. e dal sig. Pa. Si. sono fondati e vanno conseguentemente accolti; è invece infondato l’appello incidentale proposti dagli originari ricorrenti.

4. In particolare, può prescindersi dalla questione riproposta in entrambi gli appelli – che avrebbe logicamente priorità – della pretesa tardività dell’impugnativa di primo grado, per la parte che ne ha determinato l’accoglimento da parte del primo giudice, in quanto risultano fondati il primo motivo dell’appello principale e il secondo motivo dell’appello del sig. Si., col quale si censurano nel merito le conclusioni raggiunte nella sentenza impugnata.

4.1. Come già accennato, il primo giudice ha ritenuto che nella specie fosse stato violato l’art. 9 del d.m. nr. 1444 del 1968, il quale stabilisce le distanze minime da rispettare fra pareti finestrate di edifici frontistanti.

L’Amministrazione comunale e l’odierna istante si erano difesi assumendo che nella specie avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 99 del Regolamento edilizio comunale, il quale stabilisce che, ai fini del calcolo delle distanze tra fabbricati, non debba tenersi conto di balconi, sporti ed aggetti di lunghezza fino a mt 1,20 (ciò che avrebbe assicurato il rispetto delle distanze di cui al precitato art. 9); il T.A.R. ha però ritenuto di dover disapplicare tale prescrizione siccome illegittima, escludendo che il Comune abbia in sede di pianificazione urbanistica il potere di derogare a qualsiasi titolo alle distanze fissate dal d.m. nr. 1444/1968.

4.2. A fronte delle suesposte conclusioni, le parti appellanti articolano un duplice ordine di critiche:

a) si assume, innanzi tutto, che il citato art. 9 del d.m. nr. 1444/1968 non avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso di specie, trattandosi di intervento di demolizione e ricostruzione di edificio preesistente e non di nuova edificazione;

b) in secondo luogo, si sostiene che deve ritenersi del tutto consentito ai Comuni introdurre nei propri strumenti urbanistici previsioni del tipo di quella di che trattasi.

4.2.1. La prima censura è manifestamente infondata, dovendo richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale in tema di deroghe alle distanze ex art. 9 secondo cui a tali fini all’intervento di recupero di un immobile già esistente può essere assimilato quello di demolizione e ricostruzione solo laddove siano mantenute in toto le medesime dimensioni esterne dell’edificio preesistente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, nr. 3929).

Nel caso che qui occupa, come si legge in sentenza e non risulta specificamente contestato dalle parti appellanti che col permesso di costruire in variante nr. 26 del 22 febbraio 2013 è stato assentito un incremento delle altezze rispetto al preesistente, ciò che è sufficiente a far escludere che si ricada nell’ipotesi derogatoria suindicata.

4.2.2. È invece fondata la seconda subcensura sopra richiamata.

Al riguardo, la Sezione non ignora l’esistenza di precedenti che, muovendo da una rigorosa qualificazione delle norme del d.m. nr. 1444/1968 in termini di disposizioni di ordine pubblico, traenti la propria fonte direttamente dalla legge primaria (e, segnatamente, dall’art. 41-quinquies, comma 2, della legge 17 agosto 1942, nr. 1150), esclude che le stesse possano essere derogate dagli strumenti urbanistici generali, le cui prescrizioni pertanto, ove contrastanti con le predette norme, devono essere disapplicate dal giudice.

Tuttavia, esiste un diffuso, recente e specifico indirizzo in tema di calcolo dei balconi e degli sporti ai fini delle distanze degli edifici, dal quale in questa sede si ritiene di non doversi discostare, che ammette che i detti elementi architettonici possano non essere compresi nel computo delle distanze di cui al ridetto art. 9, d.m. nr. 1444/1968, qualora vi sia una norma di piano che ciò autorizzi e a condizione che si tratti di balconi aggettanti, estranei cioè al volume utile dell’edificio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 2015, nr. 11; id., sez. IV, 22 novembre 2013, nr. 5557; id., 7 luglio 2008, nr. 3381).

Tale ultimo orientamento appare invero coerente con la ratio stessa della previsione delle distanze minime fra edifici, che come noto è quella di evitare la creazione di intercapedini pregiudizievoli o pericolose per la salubrità pubblica: nel senso che siffatta evenienza si ritiene possa escludersi in via presuntiva, e salvo prova contraria da fornirsi da parte di chi impugna o contesta la disposizione urbanistica, laddove gli elementi architettonici de quibus abbiano le suddette caratteristiche.

5. La fondatezza degli appelli principali, sotto il profilo testé esaminato, impone l’esame dei motivi di prime cure non esaminati dal primo giudice, che gli originari ricorrenti hanno espressamente e ritualmente riproposto ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm., nonché dell’appello incidentale proposto dagli stessi originari ricorrenti.

6. Con una prima censura assorbita, gli originari istanti lamentano la carenza ovvero l’inadeguatezza della documentazione allegata all’istanza di permesso di costruire con riferimento all’attestazione del rispetto degli standard urbanistici.

La doglianza deve essere respinta, atteso che – fatto salvo quanto appresso si dirà in ordine alle ulteriori e più specifiche censure formulate in relazione al preteso mancato rispetto in concreto dei detti standard -, quand’anche tali carenze o insufficienze vi fossero state (ciò che, peraltro, è contestato dalle parti avverse), ciò avrebbe potuto al più determinare una richiesta di integrazione documentale, e non necessariamente un rigetto sic et simpliciter dell’istanza ad aedificandum.

7. Col secondo motivo riproposto, è reiterata la doglianza relativa al preteso mancato rispetto degli standard di cui agli artt. 3 e 4 del citato d.m. nr. 1444/1968: questione sulla quale il primo giudice ha disposto una C.T.U., all’esito della quale ha ritenuto che, dal momento che nell’area interessata dall’intervento de quo non vi era disponibilità di aree da destinare a standard urbanistici, legittimamente il Comune individuò aree diverse da adibire a tale finalità in altre aree del territorio comunale (segnatamente, in quelle interessate dalla recente variante urbanistica – c.d. “variante dei cinque Comuni” – finalizzata alla realizzazione della nuova stazione ferroviaria per l’Alta Velocità), in applicazione del comma 2 del detto art. 4, d.m. n. 1444/1968.

A fronte di ciò, l’odierna appellante principale assume che in ogni caso il C.T.U. avrebbe errato nel ritenere insufficienti le dotazioni a standard, dovendo a tal fine tenersi conto non solo di quelle effettivamente già realizzate, ma anche di quelle ancora da realizzare.

Inoltre, l’appellante aggiunge che in ogni caso nella specie, trattandosi di intervento di edificazione diretta riconducibile alla tipologia di cui al comma 5 dell’art. 7 della l.r. nr. 19 del 2009 (c.d. “Piano Casa”), realizzabile mediante permesso di costruire convenzionato e senza la previa predisposizione di uno strumento attuativo, la dotazione di standard avrebbe dovuto essere verificata con riferimento non alla specifica area interessata dall’intervento, bensì all’intero territorio comunale.

Quest’affermazione, oltre che su argomentazioni logiche, è basata dall’istante:

a) su una circolare regionale interpretativa della citata l.r. nr. 19 del 2009;

b) sulla circostanza che il Comune di (omissis) avrebbe provveduto a individuare le aree in cui sono possibili gli interventi di recupero e riqualificazione di cui al citato art. 7, applicando il comma 7 della medesima norma.

7.1. Quest’ultima considerazione non può però essere condivisa, innanzi tutto perché né l’evocata circolare (la quale, con riguardo specifico all’art. 7 della legge regionale, si limita a precisare la differenziazione fra gli interventi “indiretti”, che richiedono la previa predisposizione di un P.U.A., e quelli “diretti”, che sono invece soggetti a mero permesso di costruire convenzionato) né il citato comma 7 dell’art. 7 paiono offrire argomenti decisivi a sostegno della tesi della possibilità di reperire gli standard in qualsiasi parte del territorio comunale.

E, anzi, la norma regionale è di tenore chiarissimo nel precisare che gli interventi in questione possono essere realizzati sì “in deroga agli strumenti urbanistici generali e ai parametri edilizi, con particolare riferimento alle altezze fissate dagli stessi strumenti”, ma “purché nel rispetto degli standard urbanistici di cui al D.M. n. 1444/1968”: senza nulla aggiungere né distinguere, quanto a quest’ultimo punto, ciò che induce a ritenere che sotto il profilo in esame i permessi di costruire in questione non si differenzino in nulla dal modello generale disciplinato dal d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380.

7.2. Invece, va condivisa la prospettazione principale della parte appellante, non potendo considerarsi corretto il modus operandi del C.T.U. nominato in primo grado, laddove ha ipotizzato un’insufficienza degli standard di zona, sia pure in forma dubitativa e tenendo conto solo di quelli esistenti.

Al contrario, appare ragionevole la tesi per cui ai fini del rilascio del titolo abilitativo occorra considerare anche gli standard programmati ancorché non ancora realizzati: tanto si ricava dalla disposizione generale di cui all’art. 12, comma 2, del d.P.R. nr. 380 del 2001 il quale, come presupposto per il rilascio del permesso di costruire, non prevede affatto che esistano già opere di urbanizzazione sufficienti in relazione al carico urbanistico derivante dall’intervento edilizio, ma ammette anche la “previsione da parte del comune dell’attuazione delle stesse nel successivo triennio” (oltre all’impegno a realizzarle da parte del concessionario).

Tale conclusione deve ritenersi a fortiori valida nell’ipotesi che qui occupa, laddove è applicata una normativa regionale speciale dichiaratamente intesa a legittimare edificazioni in deroga agli strumenti urbanistici ed in ragione di esigenze eccezionali e prevalenti, in modo da imporre una lettura necessariamente “flessibile” anche dell’ampiezza delle possibilità di reperimento degli standard necessari.

8. Col terzo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 7, comma 5, della l.r. nr. 19/2009, laddove l’ammissibilità degli interventi di recupero de quibus è subordinata alla destinazione di almeno il 30% di quanto realizzato all’edilizia sociale di cui all’art. 1, comma 3, del d.m. 22 aprile 2008; in particolare, gli istanti assumono l’insufficienza dell’atto unilaterale d’obbligo sottoscritto e prodotto dalla società odierna appellante.

La doglianza è infondata, atteso che nessuna norma o disposizione prescrive alcunché in ordine alle modalità con cui il beneficiario del titolo edilizio deve impegnarsi a rispettare tale destinazione (né tanto meno, come vorrebbero gli originari ricorrenti, è stabilito un obbligo di trascrizione degli atti di impegno nei registri immobiliari).

Può pertanto affermarsi che il rispetto dell’obbligo suindicato va assicurato nella fase esecutiva degli interventi, incombendo poi all’Amministrazione di compiere le verifiche necessarie od opportune.

9. Privo di pregio è anche il quarto motivo di censura, col quale si lamenta che sarebbe stata assentita una volumetria superiore a quella dell’immobile preesistente.

Sul punto, l’odierna appellante e il Comune hanno convincentemente documentato che la volumetria andava calcolata facendo applicazione dei commi 16 e 23 dell’art. 99 del Regolamento edilizio comunale, a mente dei quali dal computo andavano esclusi gli elementi accessori (scale interne, balconi etc.), ciò che assicurava il rispetto dell’entità originaria del manufatto.

10. Va respinto anche il quinto motivo, avente a oggetto la pretesa violazione dell’art. 26, comma 3, lettera f), della l.r. 22 dicembre 2004, nr. 16, a cagione della mancata previa predisposizione di un P.U.A.

Al riguardo, è sufficiente richiamare la già evocata circolare regionale applicativa della l.r. nr. 19 del 2009 (che in questo caso ha rilievo dirimente), laddove si precisa che la disciplina degli interventi “diretti” soggetti a semplice permesso di costruire convenzionato è tale da escludere l’applicazione delle norme anteriori ponenti obblighi di predisposizione di piani attuativi.

Al di là di ciò, la richiamata norma del 2004, nella parte in cui è stata coordinata con la legge successiva del 2009, si limita a precisare che non costituiscono variante allo strumento generale i P.U.A. adottati per realizzare gli interventi di cui all’art. 7 della l.r. nr. 19/2009, ma ciò non implica affatto che per tutti gli interventi previsti da tale norma sia sempre obbligatorio predisporre un P.U.A.: restando quindi impregiudicata la già richiamata distinzione fra interventi “diretti” e interventi “indiretti”.

11. Infondato è anche il sesto motivo assorbito, con cui si denuncia l’assentita realizzazione di un’altezza superiore a quella dell’immobile preesistente.

Infatti, non essendo stato dimostrato – anche in ragione di quanto sopra evidenziato sopra sub 9 – che in concreto sia stata realizzata una volumetria maggiore di quella preesistente, e incidendo pertanto la maggiore altezza solo sulla sagoma dell’edificio, la circostanza non è idonea né sufficiente a determinare l’esorbitanza dell’intervento dalla nozione di riqualificazione dell’immobile preesistente.

12. Col settimo motivo, si contesta la sussistenza del requisito di legge dell’essere l’immobile per cui è causa dismesso alla data di entrata in vigore della legge regionale del 2009, sottolineandone le pregevoli condizioni di conservazione ed uso.

La censura è infondata, atteso che la condizione di dismissione dell’immobile a uso produttivo s’identifica unicamente nella cessazione della sua adibizione all’attività economica o artigianale (ciò che non è contestato essere nel caso che occupa, risultando dagli atti che il capannone de quo era destinato a “deposito”), e non presuppone necessariamente che lo stesso sia fatiscente o inutilizzabile.

13. Coi motivi ottavo e nono, che possono qui essere esaminati congiuntamente, gli originari ricorrenti sostengono sotto diversi profili che l’intervento di cui all’art. 7, comma 5, della l.r. nr. 19/2009 non avrebbe potuto essere autorizzato sull’immobile per cui è causa, non essendo tale tipologia di interventi consentita per gli edifici abusivi, ancorché oggetto di condono.

Siffatte doglianze sono infondate, atteso che il dato testuale della norma non autorizza la conclusione secondo cui un immobile in tutto o in parte abusivo, dopo essere stato condonato, resterebbe soggetto a un trattamento “differenziato” tale da escludere che possa essere interessato da interventi di recupero e riqualificazione ai sensi della norma citata; al contrario, a mente della richiamata disposizione è richiesto l’unico generico requisito che l’immobile sia regolare alla data della domanda ad aedificandum.

14. Va respinto anche il decimo motivo, col quale si lamenta la violazione del d.m. nr. 1444/1968 sotto diverso profilo, e segnatamente sub specie dell’altezza massima realizzabile.

In questo caso, la censura è indimostrata in fatto, avendo la società odierna appellante opposto e documentato che l’altezza del fabbricato oggetto dei permessi impugnati risulta inferiore a quella dello stesso edificio limitrofo in cui è ubicato il Condominio originario ricorrente, in modo da rendere evidente in re ipsa il rispetto dell’art. 8 del d.m. citato.

15. Destituito di fondatezza è anche l’undicesimo motivo assorbito, col quale si lamenta l’insussistenza dei requisiti delle aree degradate richiesti dalla legge 12 luglio 2011, nr. 106 (richiamata negli atti impugnati), atteso che l’immobile per cui è causa ricadeva in area urbana centrale e satura.

Al riguardo, può osservarsi che il fatto che la citata legge nr. 106 del 2011 sia stata richiamata durante l’iter istruttorio dei permessi di costruire di che trattasi, all’evidente fine di riempire di contenuto la nozione di “degrado” individuata quale presupposto dell’intervento di riqualificazione, non implica affatto che detta normativa debba applicarsi in toto alla vicenda per cui qui è causa, la quale resta soggetta alla specifica e diversa disciplina di cui alla più volte citata l.r. nr. 19/2009.

15. Passando all’esame dell’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti, questo si concentra sulla parte della sentenza in epigrafe con la quale sono state respinte le censure specificamente articolate avverso il permesso di costruire in sanatoria rilasciato nel 2010 in favore del sig. Pa. Si., all’epoca proprietario del capannone per cui è causa.

Tale impugnazione, come già anticipato, è infondata e va conseguentemente respinta.

15.1. In particolare, vanno condivise le conclusioni del primo giudice circa il carattere in ogni caso non viziante delle pretese anomalie o irregolarità che connoterebbero il condono in questione e l’iter che ha portato al suo rilascio.

15.1.1. Più specificamente, quanto al primo e al secondo dei motivi di impugnazione incidentale, va confermato che il condono non è stato condizionato da alcuna falsa o infedele rappresentazione dei luoghi, avendo l’Amministrazione e la parte controinteressata dimostrato in modo convincente che si trattò soltanto di un’erronea indicazione della tipologia di abuso rispetto alle categorie legali, tempestivamente corretta dall’interessato con il pagamento della differenza nell’oblazione dovuta.

15.1.2. Con riguardo al secondo motivo incidentale, non risulta che il permesso di costruire in sanatoria sia stato rilasciato in situazione di incompletezza documentale, avendo l’interessato provveduto a integrare la documentazione carente senza che ex adverso sia stata convincentemente dimostrata la tardività di tali integrazioni.

15.2. In entrambi i casi, non sono adeguatamente supportati gli assunti di parte appellante incidentale tendenti a sostenere che le carenze rilevate sarebbero state sanate solo ex post dell’interessato, al fine di eludere il giudizio del T.A.R., essendo tali assunti basati su elementi indiziari comunque non decisivi (quale, ad esempio, la carenza di una formale protocollazione della documentazione integrativa che si è attestato essere stata depositata presso il Comune).

16. In conclusione, si impone una decisione di parziale riforma della sentenza impugnata, con l’integrale reiezione della domanda di annullamento di primo grado.

17. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: cfr. ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, nr. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, nr. 7663).

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

18. Le spese di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quarta,

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

– accoglie gli appelli proposti dalla società Co. S.r.l. e dal sig. Pa. Si.;

– respinge l’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti;

– per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge integralmente il ricorso di primo grado.

Condanna gli appellati originari ricorrenti al pagamento, pro quota in favore di Co. S.r.l., del Comune di (omissis) e del sig. Pa. Si., di spese e onorari del doppio grado del giudizio, che liquida in complessivi euro 7.500,00 (settemilacinquecento) oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Raffaele Greco – Consigliere, Estensore

Fabio Taormina – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Nicola D’Angelo –

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