Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 22 maggio 2017, n. 2390

L’articolo 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/98, nell’imporre all’amministrazione di prendere in considerazione i nuovi e sopraggiunti elementi favorevoli allo straniero, si riferisce a quelli esistenti e formalmente rappresentati o comunque conosciuti dall’amministrazione al momento dell’adozione del provvedimento, mentre nessuna rilevanza (salvo quella di giustificare un eventuale riesame della posizione dello straniero da parte dell’amministrazione, qualora sollecitato dall’interessato) può essere attribuita a fatti sopravvenuti o rappresentati successivamente

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 22 maggio 2017, n. 2390

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5.528 del 2016, proposto da

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Cl. Pe., domiciliato ai sensi dell’articolo 25 c.p.a. presso la segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);

contro

Il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e la Questura di Verona, in persona del Questore pro tempore, entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. per il Veneto – Venezia, Sezione Terza, n. 326/2016, resa tra le parti, concernente diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Verona;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 aprile 2017 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per l’appellante, l’Avvocato Cl. Pe. e, per gli appellati, l’Avvocato dello Stato Al. Ma.;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il presente atto d’appello viene impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto n. 326/2016 del 29 marzo 2016, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il provvedimento della Questura di Verona di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione, notificato all’interessato il 26 novembre 2015.

Il diniego è stato motivato dal Questore in considerazione del fatto che il ricorrente non avrebbe allegato la certificazione comprovante l’immediata disponibilità allo svolgimento dell’attività lavorativa resa al Centro per l’Impiego, che lo stesso ricorrente avrebbe già beneficiato di un permesso di soggiorno per attesa occupazione e che non sarebbe stata presentata alcuna documentazione relativa al sostegno al reddito percepito come lavoratore nonché, infine, che l’ultimo reddito percepito risalirebbe al periodo dal 11 luglio 2013 al 13 dicembre 2013, per un totale di 1.449,00 Euro, e che l’interessato risulterebbe carente di mezzi di sussistenza sufficienti e commisurati ai motivi e alla durata del permesso di soggiorno, requisito quest’ultimo espressamente previsto dal combinato disposto degli articoli 22, comma 11, e 29, comma 3, D.L.vo n. 286/98.

Con il gravame interposto avverso la sentenza, -OMISSIS- ha formulato un unico articolato motivo di appello con il quale ha sostanzialmente riproposto i tre motivi di ricorso dedotti in primo grado, che saranno di seguito esaminati.

Con ordinanza di data 6 ottobre 2016, la Sezione, ritenendo che occorresse approfondire la questione sulla portata applicativa del requisito reddituale di cui agli articoli 4, comma 3, del D.L.vo n. 286/98 e 13, comma 2, D.P.R. n. 394/99 nonché la situazione dell’appellante sotto il profilo della consistenza del nucleo famigliare e della disponibilità di reddito dei componenti, ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata, fissando l’udienza del 20 aprile 2017, per l’esame dell’appello nel merito, occasione in cui la causa è passata in decisione.

Prima di scrutinare nel dettaglio le singole censure, occorre esporre brevemente i punti salienti della vicenda oggetto di causa.

In data 30 giugno 2015, -OMISSIS- ha presentato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per attesa di occupazione, con scadenza in data 4 agosto 2015, istanza nella quale l’interessato ha dichiarato di non essere coniugato e di non avere figli minori e/o conviventi a carico. Nel corso dell’istruttoria della relativa pratica, l’Amministrazione ha accertato che il cittadino straniero risultava aver soltanto percepito redditi nel 2011 e nel 2013 (rispettivamente di € 1.337 ed € 1.449). In seguito alla notifica dell’avviso ex art. 10-bis della L. n. 241/1990, con cui l’interessato è stato informato della sussistenza di motivi ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno, quest’ultimo ha rappresentato all’Amministrazione, nel mese di agosto 2015, tramite il proprio legale, che, a seguito di un sinistro stradale verificatosi in data 22 aprile 2011, era impossibilitato a trovare un’occupazione, stante l’invalidità patita (nella prodotta perizia si parla di un danno biologico del 18%). Il predetto legale, inoltre, ha fatto presente che gli era stato conferito l’incarico relativamente alla pratica per il relativo risarcimento dei danni. Soltanto in sede giudiziale, l’interessato ha poi allegato di aver percepito, nel settembre 2012, la somma risarcitoria di circa € 32.000,00- e che, nel 2016, avrebbe percepito un’ulteriore somma dall’assicurazione (in data 13 aprile 2016, l’uomo ha effettivamente ricevuto l’importo di € 25.000,00). Sempre innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale, l’appellante ha altresì fatto presente che nel territorio nazionale risulterebbero presenti due figli che svolgerebbero regolare attività lavorativa.

Ciò premesso, vanno quindi esaminati i singoli motivi di censura formulati dall’appellante.

Con il primo motivo di gravame, il sig. -OMISSIS- censura la sentenza impugnata nella parte in cui il primo giudice ha fondato la propria decisione sulla carenza reddituale, nonostante esso appellante avesse percepito una cospicua somma a titolo di risarcimento del danno subito in conseguenza di un sinistro stradale. Invero, ai sensi dell’articolo 5, comma 5, del D.L.vo n. 286/98, vi sarebbe stato l’onere del Questore prima e del Tribunale amministrativo regionale poi, di valutare gli elementi sopravvenuti favorevoli e di non fermarsi al dato reddituale dell’anno precedente, durante il quale il permesso era stato rilasciato per attesa di occupazione. In ogni modo, l’articolo 4, comma 3, D.L.vo n. 286/98 prevedrebbe soltanto la disponibilità di mezzi sufficienti per la durata del soggiorno, ma non indicherebbe un livello minimo di reddito e, segnatamente, il rigido limite dell’assegno sociale, per cui l’Amministrazione era tenuta a valutare, mediante un’istruttoria più approfondita, la posizione personale dello straniero.

Il motivo d’appello non merita accoglimento.

In primo luogo, va rilevato, infatti, che se è vero che l’articolo 4, comma 3, D.L.vo n. 286/98 non prevede alcun rigido limite di reddito, non va comunque dimenticato che l’interessato ha chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione e l’art. 22, co. 11 del D.L.vo n. 286/98 statuisce che, decorso il termine entro il quale lo straniero deve reperire una nuova attività lavorativa (nella specie, il 4 agosto 2015, quando è scaduto il precedente permesso di soggiorno per attesa occupazione), trovano applicazione i requisiti reddituali di cui all’art. 29, co. 3, lett. b) del D.L.vo n. 286/98, ovvero il reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale.

Per quanto riguarda i restanti profili di censura dedotti con il motivo in esame, va ricordato, invece, che l’articolo 5, comma 5, del D.L.vo n. 286/98, nell’imporre all’amministrazione di prendere in considerazione i nuovi e sopraggiunti elementi favorevoli allo straniero, si riferisce a quelli esistenti e formalmente rappresentati o comunque conosciuti dall’amministrazione al momento dell’adozione del provvedimento, mentre nessuna rilevanza (salvo quella di giustificare un eventuale riesame della posizione dello straniero da parte dell’amministrazione, qualora sollecitato dall’interessato) può essere attribuita a fatti sopravvenuti o rappresentati successivamente.

In altre parole, il giudizio circa la legittimità del provvedimento impugnato va condotto necessariamente con riferimento al momento dell’adozione dell’atto medesimo.

Un tanto comporta che le censure mosse dall’appellante all’operato dell’Amministrazione vanno senz’altro considerate infondate, in quanto la situazione reddituale dell’interessato nota al momento dell’adozione del provvedimento, già sopra illustrata (ovvero il reddito di € 1.337 ed € 1.449, rispettivamente conseguito nel 2011 e nel 2013), non poteva che portare al rigetto dell’istanza presentata; in detta circostanza temporale, infatti, non era stato fornito alcun elemento che avrebbe imposto di ritenere che, in futuro, l’interessato potesse ragionevolmente raggiungere anche approssimativamente il limite di reddito richiesto; anzi, è stato proprio lo stesso interessato a dichiarare di essere impossibilitato a trovare lavoro e la generica formulazione della lettera del legale dell’uomo non permetteva comunque di prevedere l’esito favorevole della richiesta di risarcimento dei danni che sarebbe stata formulata.

Con il secondo motivo di gravame l’appellante deduce la violazione dell’art. 4, comma 3, del D.L.vo n. 286/98 e dell’art. 13, comma 2, del D.P.R. n. n. 394/99 nonché dell’articolo 14, commi 1, lett. d) e 3, del D.P.R. n. n. 394/99.

Sotto un primo profilo, in gran parte ripetitivo della doglianza già dedotta con il primo motivo di censura appena esaminato, l’appellante deduce, in particolare, che la disponibilità del reddito non deve necessariamente derivare da lavoro, ma che è sufficiente che si tratti di mezzi di sostentamento comunque provenienti da fonte lecita. Allega, inoltre, l’appellante di aver rappresentato al primo giudice di possedere comunque un’autonomia economica che gli consentiva di non ricorrere a strumenti di pubblica assistenza. Il difensore, invero, aveva prodotto un parere medico-legale attestante il grado di invalidità subito ed aveva fatto presente che, nel 2012, esso appellante aveva percepito dall’assicurazione un risarcimento di 32.509,00 Euro. Dopo l’udienza di trattazione della sospensiva era stato inoltre comprovato che, ad aprile 2016, esso appellante aveva percepito l’ulteriore somma risarcitoria di 25.000,00 Euro. Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, la Questura di Verona, poi, sarebbe stata senz’altro a conoscenza sia del sinistro stradale che dell’incarico conferito ad un legale per il risarcimento del danno. Pertanto, l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto – ex art. 5, comma 5, D.L.vo n. 286/98 – degli elementi sopravvenuti, ossia intervenuti dopo la domanda e prima della decisione, per verificare se gli stessi, indipendentemente dal momento di acquisizione, risultassero poi effettivamente posseduti, il tutto valorizzando anche la positiva integrazione del soggetto nel contesto sociale, circostanza che, nel caso di specie, poteva senz’altro essere desunta dal fatto che l’uomo aveva sempre lavorato e si era sempre astenuto dalla commissione di reati.

Ebbene, se si può senz’altro condividere la tesi dell’appellante, per cui la disponibilità del reddito può provenire da qualsiasi fonte lecita e non deve derivare necessariamente da lavoro, va comunque considerato che la legittimità del provvedimento di diniego va valutata, come già ampiamente esposto, sulla scorta degli elementi debitamente rappresentati all’amministrazione prima dell’adozione del provvedimento, allorché, nel caso di specie, la Questura non era a conoscenza né della somma risarcitoria percepita nel 2012, né poteva prevedere, per i motivi già esposti, che l’interessato avrebbe percepito un’ulteriore somma risarcitoria. Ne segue, che il provvedimento di diniego si sottrae a qualsiasi forma di possibile critica, per non avere asseritamente considerato l’effettiva situazione sociale e reddituale, anche in termini di possibile maggiore futura capacità reddituale, per cui va considerato pienamente legittimo.

Sotto un secondo distinto profilo, l’appellante sostiene, poi, che l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare la possibilità di rilasciare in suo favore un’altra tipologia di permesso di soggiorno, valorizzando la peculiarità del caso specifico; in particolare, sarebbe stato possibile concedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari ex artt. 5, co. 6, del D.L.vo n. 286/98 e 11, lett. c-ter), seconda parte del D.P.R. n. 394/99, oppure un permesso di soggiorno per residenza elettiva, ex art. 11, co. 1, lett. c-quater) D.P.R. n. 394/99.

Anche tale motivo di censua non merita accoglimento.

Nella specie, infatti, oltre al fatto che l’interessato non ha mai richiesto il rilascio di una delle tipologie di permesso di soggiorno in questione e, quindi, nemmeno allegato e provato la sussistenza dei relativi presupposti, non ricorrono nemmeno i seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato previsti dalla prima delle due disposizioni normative citate, né tanto meno risulta che l’interessato sia titolare di una pensione percepita in Italia.

Con il terzo motivo censura, l’appellante eccepisce la violazione della disposizione dell’articolo 5, comma 5, del D.L.vo n. 286/98, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 202 del 2013, in quanto il Questore non avrebbe considerato i legami familiari esistenti nel territorio italiano, derivanti dall’esistenza di due figli regolarmente soggiornanti in Italia che svolgono regolare attività lavorativa. Il Tribunale amministrativo regionale, poi, avrebbe inopinatamente escluso la rilevanza dei legami familiari, in quanto si trattava di figli maggiorenni, essendo la tutela dell’unità familiare riservata ai membri del nucleo familiare previsto dall’art. 29, comma 1, del D.L.vo n. 286/98.

Il motivo di doglianza non merita accoglimento.

Sotto il primo profilo lamentato dall’appellante, va ricordato, infatti, che la presenza di due figli in territorio nazionale, non era mai stata rappresentata alla Questura, anzi, nella propria istanza, l’interessato aveva indicato di non essere coniugato e di non avere figli, circostanza in ragione della quale l’Amministrazione non poteva nemmeno apprezzare il fatto de quo. In ogni modo, va rilevato, indipendentemente da ogni disquisizione giuridica sulla portata del disposto dell’art. 29, comma 1, del D.L.vo n. 286/98, che il riconoscimento della tutela dell’unità familiare accordata dall’articolo 5, comma 5, D.L.vo n. 286/98 presuppone comunque che i soggetti apparentati siano conviventi e legati da rapporti di attiva solidarietà con l’interessato, circostanza che, nel caso di specie, non risulta essere comprovata in alcun modo, in quanto la documentazione prodotta in atti permette soltanto di considerare dimostrata la presenza di due figli dell’appellante in Italia e non anche l’esistenza di un vero e proprio nucleo familiare; anzi – non essendo i due figli in alcun modo menzionati nell’istanza di rinnovo del permesso del soggiorno – pare piuttosto doversi ragionevolmente dubitare dell’effettività del vincolo familiare tra l’interessato e i propri discendenti, comunque necessaria, ex art. 5, comma, D.L.vo n. 286/98, affinché la situazione familiare possa essere apprezzata utilmente nel bilanciamento dei contrapposti interessi. A prescindere da tale assorbente aspetto della vicenda, giova poi aggiungere, infine, per completezza, che i redditi percepiti dai due figli, così come desumibili dagli atti, non appaiono in ogni modo nemmeno sufficienti a garantire il sostentamento del sig. -OMISSIS-, il che esclude già in radice che questi potessero allora e possano oggi essere tenuti in considerazione ai fini della valutazione del requisito reddituale necessario per il rinnovo del permesso di soggiorno in capo all’appellante.

In conclusione, la sentenza impugnata merita conferma, risultando infondato il gravame proposto dall’appellante.

Per quanto riguarda le spese del presente grado del giudizio, attesa la peculiarità del caso esaminato, si ravvisano giusti motivi per compensarle integralmente tra le parti.

Rimane definitivamente a carico dell’appellante, stante la sua soccombenza, il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello.

Va rinviata a separato decreto, ex art. 85 TU spese di giustizia, la liquidazione del compenso spettante all’avvocato dell’appellante a seguito dell’ammissione di quest’ultimo al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma integralmente la sentenza impugnata.

Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Pone definitivamente a carico dell’appellante, stante la sua soccombenza, il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8, D.L.vo n. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute dell’appellante o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Francesco Bellomo – Consigliere

Manfredo Atzeni – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Oswald Leitner – Consigliere, Estensore

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