Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 22 maggio 2017, n. 2382

L’automatismo ostativo è stato escluso dal legislatore, sia pure limitatamente a talune ipotesi, mediante la modifica dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286 del 1998, apportata dal D.Lgs. n. 5 del 2007, in attuazione della Direttiva europea n. 86 del 2003; la nuova disposizione esclude l’automatismo nel caso in cui lo straniero sia stato parte attiva o passiva di un procedimento di ricongiungimento familiare; la disposizione è da interpretarsi estensivamente, riconoscendo il beneficio anche in presenza di un nucleo familiare avente le stesse caratteristiche che, occorrendo, legittimerebbero una procedura di ricongiungimento, ancorché di quest’ultima nella fattispecie non vi sia stata necessità, trovandosi i familiari già riuniti

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 22 maggio 2017, n. 2382

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9409 del 2016, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato An. Fi., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Ma. Ga. in Roma, via (…);

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Questura di Piacenza, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, sez. I, n. 257/2016, resa tra le parti, rigetto del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento del Questore di Piacenza n. 15 Div. Imm. Categoria A/12 del 17 giugno 2016, notificato il successivo 5 luglio 2016, con il quale gli veniva rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Piacenza;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 maggio 2017 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’appellante -OMISSIS- l’Avvocato Ug. De Lu. su delega dell’Avvocato An. Fi. e per l’appellato Ministero dell’Interno l’Avvocato dello Stato Wa. Fe.;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante -OMISSIS-, cittadino albanese, ha impugnato avanti al T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, il provvedimento con il quale il Questore di Piacenza ha rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione scaduto il 21 aprile 2011, motivato, in particolare, sulla scorta di due condanne, una delle quali ad 1 anno e 4 mesi per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 309/90 e l’altra per il porto d’armi, e ne ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento.

1.1. Avverso il predetto provvedimento l’interessato ha i seguenti motivi:

1) il difetto assoluto di motivazione, l’illogicità manifesta anche per violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, l’eccesso di potere per la mancata e/o erronea indicazione e valutazione dei presupposti, la carenza di istruttoria, il difetto assoluto di motivazione, assumendo che la Questura non avrebbe tenuto nella giusta considerazione, “a fronte di reati astrattamente ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno” la sua situazione personale, familiare e sociale ed avrebbe ritenuto automaticamente ostativo il reato per cui è stato condannato senza valutare la pericolosità del ricorrente;

2) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, l’eccesso di potere per la mancata e/o erronea indicazione e valutazione dei presupposti, la carenza di istruttoria, il difetto di motivazione, la violazione ed erronea applicazione degli artt. 2, 3 29, 30 e 31 della Costituzione anche con riferimento all’art. 8, paragrafo 1, C.E.D.U., per la mancata valutazione della pericolosità sociale e della situazione familiare del richiedente.

1.2. Il Ministero dell’Interno resistente si è costituito nel giudizio di primo grado depositando una relazione della Questura di Piacenza.

1.3. Il T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, con la sentenza n. 257 del 7 settembre 2016 resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente a rifondere le spese di lite nei confronti del Ministero dell’Interno.

1.4. Secondo il primo giudice la Questura ha espresso una valutazione, non censurabile in questa sede in quanto sostenuta da fatti concreti e da una adeguata istruttoria, di mancata integrazione nel tessuto sociale e di inadeguatezza del nucleo familiare di origine ad impedire lo svolgimento di attività delittuose.

1.5. Il Collegio di primo grado non ha ravvisato ragioni di discostarsi dall’orientamento, a suo avviso, consolidato della giurisprudenza, anche del medesimo Tribunale, in forza del quale ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1990, la condanna (anche non definitiva) del cittadino straniero per qualsivoglia reato in materia di stupefacenti costituisce per l’Autorità competente un atto vincolato, a prescindere dalla non definitività della condanna e dell’entità del reato, con conseguente legittimità del provvedimento con il quale il Questore rifiuta il rinnovo del permesso di soggiorno ad extracomunitario condannato per spaccio di sostanze stupefacenti, non occorrendo alcuna ulteriore valutazione né riguardo alla pericolosità sociale del cittadino straniero né riguardo al suo grado di integrazione nel contesto sociale italiano.

1.6. E ciò, ha soggiunto il T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, senza considerare che nel caso di specie la Questura, pur non essendovi tenuta, ha considerato e riportato nella motivazione del provvedimento anche tali aspetti della condizione dell’immigrato irregolare.

1.7. La condanna riportata dallo straniero sarebbe ostativa al suo ingresso e soggiorno in Italia in conseguenza della valutazione di gravità del reato commesso, compiuta direttamente dal legislatore, valutazione che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 148 del 16 maggio 2008, ha ritenuto non manifestamente irragionevole, in quanto le ipotesi delittuose previste dal novellato art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 implicano verosimilmente contatti profondi con le organizzazioni criminali.

1.8. Anche la valutazione della situazione familiare, infine, sarebbe presente nel diniego e non apparirebbe affetta da vizi logici, pervenendo ad una conclusione di recessività della stessa rispetto all’esigenza di protezione sociale.

1.9. La evidenziata circostanza che il ricorrente starebbe per contrarre matrimonio con cittadina albanese, infine, è stata giudicata irrilevante, in quanto fatto successivo all’adozione del provvedimento di diniego, dovendosi al riguardo rammentare che la legittimità dell’atto amministrativo va scrutinata con riferimento alla situazione di fatto e di diritto sussistente al momento dell’emanazione.

2. Il primo giudice, sulla scorta di tali ragioni, ha quindi ritenuto infondato il ricorso proposto dall’odierno appellante.

2.1. Avverso tale decisione ha proposto appello l’interessato, articolando due distinti motivi, e ne ha chiesto, previa sospensione anche inaudita altera parte, la riforma, con il conseguente annullamento del decreto gravato in prime cure.

2.2. Con il decreto n. 5497 del 13 dicembre 2016 è stata accolta l’istanza cautelare di tutela monocratica proposta in via di immediata urgenza dall’odierno appellante.

2.3. Si è costituito il 22 dicembre 2016 il Ministero dell’Interno per chiedere la reiezione del ricorso.

2.4. Con l’ordinanza n. 79 del 13 gennaio 2017 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare dell’appellante e ha sospeso, ai sensi dell’art. 98 c.p.a., l’esecutività della sentenza impugnata.

2.5. Il 23 gennaio 2017 l’Avvocatura Generale dello Stato ha prodotto una articolata memoria della Questura di Piacenza, allegando alcuni documenti.

2.6. Il 6 maggio 2017 anche l’appellante ha prodotto ulteriori documenti.

2.7. Infine, nella pubblica udienza dell’11 maggio 2017, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

3. L’appello è fondato e va accolto.

4. E’ evidente, anzitutto, l’errore nel quale è incorsa la sentenza impugnata nell’avere affermato l’automatismo espulsivo della condanna per traffico di stupefacenti, riportata dall’odierno appellante, anche al cospetto di ben consolidati legami familiari, che invece impongono la valutazione della pericolosità in concreto, per costante giurisprudenza di questo Consiglio.

4.1. Non è infatti condivisibile l’affermazione del primo giudice secondo il quale la giurisprudenza, in modo pressoché incontroverso, avrebbe riconosciuto l’efficacia dell’automatismo espulsivo in ogni ipotesi di condanna a carico del cittadino straniero.

4.2. Occorre al riguardo precisare, infatti, che l’automatismo è stato escluso dal legislatore – sia pure limitatamente a talune ipotesi – mediante la modifica dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, apportata dal d.lgs. n. 5 del 2007, in attuazione della Direttiva europea n. 86 del 2003.

4.3. La nuova disposizione esclude l’automatismo nel caso in cui lo straniero, come è avvenuto per l’odierno appellante, sia stato parte attiva o passiva di un procedimento di ricongiungimento familiare (istituto, questo, disciplinato a sua volta dall’art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1990, pur esso modificato in attuazione della Direttiva n. 86 del 2003).

4.4. La giurisprudenza di questo Consiglio, tuttavia, si è ben presto orientata nel senso di interpretare estensivamente il beneficio, riconoscendolo anche in presenza di un nucleo familiare avente le stesse caratteristiche che, occorrendo, legittimerebbero una procedura di ricongiungimento, ancorché di quest’ultima nella fattispecie non vi sia stata necessità, trovandosi i familiari già riuniti.

4.5. Questa interpretazione estensiva è stata poi legittimata e anzi resa vincolante dalla sentenza n. 202/2013 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato incostituzionale la nuova disposizione nella parte in cui non estende la disciplina più favorevole a tutti gli stranieri aventi “legami familiari” in Italia, a prescindere dalla circostanza che vi sia stata o meno una formale procedura di ricongiungimento.

4.6. Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, questa Sezione, con varie decisioni (v. ex plurimis, sul punto, anche Cons. St., sez. III, 29 aprile 2014, n. 2205; Cons. St., sez. III, 27 agosto 2014, n. 4393), ha affermato che la valutazione della pericolosità in concreto, da parte dell’autorità amministrativa, deve essere compiuta solo per quanti abbiano in Italia i legami familiari previsti dall’art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998, con esclusione di ogni altro vincolo di consanguineità, poiché, come ha chiarito la Corte costituzionale nella citata sentenza n. 202 del 2013, il superamento dell’automatismo espulsivo e la conseguente necessità di valutare tale pericolosità, che l’art. 5, comma 5, citato riconosce in favore di chi abbia ottenuto un formale provvedimento di ricongiungimento familiare, può estendersi, pena l’irragionevole disparità di trattamento, solo “a chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso”.

4.7. Se lo straniero non ha alcuno dei legami familiari, previsti dall’art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998, che lo pongano nelle medesime condizioni sostanziali di chi avrebbe titolo ad ottenere formalmente il ricongiungimento, egli non può invocare l’applicazione dell’art. 5, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998, anche dopo la pronuncia n. 202 del 2013 della Corte costituzionale, né lamentarne la violazione da parte dell’autorità amministrativa che abbia fatto applicazione, in ipotesi di condanna penale, dell’automatismo espulsivo.

5. Tale automatismo è stato invece erroneamente riaffermato, nel caso di specie, dal T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, nella sentenza impugnata pure a fronte degli elementi dallo straniero rappresentati e, in particolare, dei solidi legami familiari che egli ha in Italia, convivendo egli fin dal 2001 con il padre, la madre e la sorella a Piacenza, tutti titolari di permesso per lungosoggiornanti, in seguito alla procedura di ricongiungimento; la sua lunga permanenza nel Paese, dove ha conseguito il diploma di geometra; il contributo dato dalla famiglia alla sua istruzione al suo suo sostentamento; la sua collaborazione all’attività imprenditoriale edile svolta dal padre, lo svolgimento di attività lavorativa, per quanto non stabile, con vari contratti a tempo determinato.

6. Il complesso di tali elementi, a cominciare, anzitutto, dall’esistenza di legami familiari in ragione dei quali lo straniero aveva beneficiato della procedura di ricongiungimento con il padre, non consentiva di potere affermare, come invece ha fatto il primo giudice, l’esistenza di un qualsivoglia automatismo espulsivo in conseguenza della condanna riportata per la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, per fatti risalenti al 2008, peraltro con pena condizionalmente sospesa.

7. Anche la valutazione della pericolosità in concreto svolta comunque dal primo giudice sulla scorta del provvedimento questorile (che contiene una pur embrionale e, come si dirà, insufficiente valutazione di tale pericolosità), ad una attenta analisi, non convince e merita riforma.

7.1. La recessività dei rapporti familiari rispetto all’esistenza di fatti penalmente rilevanti, peraltro risalenti nel tempo, non può essere legittimamente affermata sulla base della motivazione stereotipa, astrattamente – e perciò potenzialmente e indifferentemente – acconcia ad ogni genere di situazione familiare e ogni specie di condotta delittuosa, alla stregua della quale i legami familiari sarebbero irrilevanti ai fini dell’integrazione positiva nel contesto socio-economico e il nucleo familiare “si è caratterizzato materialmente incapace ad impedire lo svolgimento di attività illecite per le quali lo straniero è stato condannato”, come si legge nel provvedimento del Questore.

7.2. Una simile argomentazione, che ritorce in danno dello straniero l’esistenza di tali rapporti in contrasto con le indicazioni provenienti dal diritto europeo e dalla Corte costituzionale nella sua giurisprudenza, finisce per introdurre surrettiziamente, ancora una volta, una forma di automatismo espulsivo nella misura in cui si sottrae all’obbligo motivazionale di soppesare, da un lato, la gravità della condotta delittuosa, la sua attualità, la sua effettiva sintomaticità di pericolo per l’ordine costituito, e dall’altro l’esistenza di una radicata rete di rapporti, di legami, di interessi intrattenuta dallo straniero, tale da dimostrare l’assoluta unicità e/o marginalità del fatto penalmente rilevante quale singolo e irripetibile (o anche non più ripetuto) fenomeno di devianza non grave dalle fondamentali regole che presiedono all’ordinato vivere civile.

7.3. Nel caso di specie tale obbligo motivazionale non è stato compiutamente assolto perché né il riferimento alla condanna ad una modesta ammenda per il porto d’armi né quello alla condanna per la detenzione illecita a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, per fatti risalenti nel tempo, sono stati posti in effettiva comparazione con l’insieme degli elementi asseritamente indicativi di inserimento sociale rappresentati dallo straniero, risultando apodittica la motivazione, contenuta nel decreto del Questore, per la quale “le esigenze di mantenimento dell’ordine e sicurezza pubblica debbono considerarsi prevalenti rispetto a qualsivoglia vantato inserimento nel tessuto lavorativo e sociale in Italia”.

7.4. La prevalenza di tali esigenze, certo irrinunciabili per il moderno Stato di diritto anche a fronte della sempre più inquietante minaccia di associazioni criminali o di attacchi terroristici di origine extranazionale, deve fondarsi su un motivato e non meramente apparente raffronto con gli elementi favorevoli, rappresentati dallo straniero, e presuppone un’effettiva ponderazione comparativa tra l’interesse pubblico al mantenimento dell’ordine e della sicurezza e l’interesse dello straniero ad integrarsi nel tessuto sociale sulla base di indici quali l’esistenza di legami familiari solidi, di un lavoro stabile, di un conseguente adeguato reddito, di una dimora fissa, e di tutte le numerose situazioni che comprovino un effettivo e pacifico radicamento sul territorio italiano in conformità alle regole fondamentali del nostro ordinamento.

7.5. Solo all’esito di tale raffronto, adeguatamente motivato, si può pervenire ad una ponderata e sindacabile valutazione di pericolosità sociale dello straniero, quale espressione del potere discrezionale attribuito dalla legge all’Amministrazione in questa delicata materia, che comporta un difficile bilanciamento tra le irrinunciabili esigenze di ordine pubblico e la garanzia dei diritti fondamentali dello straniero medesimo.

7.6. Tanto impone per l’accertata violazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, in accoglimento dell’appello, la riforma della sentenza impugnata e l’annullamento del decreto del Questore di Piacenza, che rivaluterà motivatamente la situazione dello straniero, anche tenendo conto, peraltro, degli elementi sopravvenuti – pur sempre necessariamente rilevanti ai sensi dello stesso art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, nel riesame conseguente all’annullamento in via giurisdizionale – e rappresentati nel presente giudizio (la formazione di un nucleo familiare autonomo, la nascita della figlia nell’ottobre del 2016, l’assunzione con contratto a tempo determinato, seppure con scadenza al 31 luglio 2017, di cui al doc. 29 depositato il 6 maggio 2017), alla luce dei principî sopra affermati.

8. Le spese del doppio grado del giudizio, attesa la novità dei principî affermati, possono essere interamente compensate tra le parti.

8.1. Il Ministero dell’Interno, soccombente sul piano sostanziale, deve essere comunque condannato a rimborsare in favore di -OMISSIS-il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto da-OMISSIS-, lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento del Questore di Piacenza n. 15 Div. Imm. Categoria A/12 del 17 giugno 2016, notificato il successivo 5 luglio 2016.

Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Condanna il Ministero dell’Interno a rimborsare in favore di -OMISSIS-il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2017, con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari – Presidente

Giulio Veltri – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Stefania Santoleri – Consigliere

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *