Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 22 luglio 2014, n. 3909

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2236 del 2011, proposto da:

Kh.Am., rappresentato e difeso dall’avv. El.Za., con domicilio eletto presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio Di Stato in Roma, piazza (…);

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA – sez. staccata di BRESCIA: sezione I n. 4537/2010, resa tra le parti, concernente il diniego dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 1586/2011;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 luglio 2014 il Cons. Hadrian Simonetti, presente ai preliminari l’Avvocato dello Stato Va.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Nell’interesse dell’odierno ricorrente, di nazionalità marocchina, venne presentata domanda di emersione dal lavoro irregolare, ai sensi dell’art. 1 ter della l. 102/2009, domanda respinta sul rilievo che l’interessato fosse stato condannato per il reato di cui all’art. 14, co. 5 ter, del D.Lgs. 286/1998, per essersi trattenuto nel territorio italiano in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del co. 5 bis.

2. Proposto ricorso avverso tale diniego, denunciando la violazione dell’art. 1 ter co. 13 della l. 102/2009 in quanto il reato in questione non rientrerebbe né tra quelli ostativi all’emersione, il Tar lo respingeva ritenendo che il reato fosse da ricomprendere tra quelli previsti dall’art. 381 c.p.p. e che la disposizione fosse esente da rilievi di illegittimità costituzionale.

3. Con il presente appello è impugnata la sentenza, riproponendo e sviluppando le originarie censure, in particolare sottolineando la specificità della fattispecie di reato di cui all’art. 14, co. 5 ter.

Nella camera di consiglio dell’8.4.2011 è stata accolta la domanda cautelare e all’udienza del 10.7.2014 la causa è passata in decisione.

4. L’appello è fondato e va accolto, sulla scorta della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 28 aprile 2011, in causa C/61/11, emessa su domanda pregiudiziale proposta ai sensi dell’art. 267 TFUE dalla Corte di Appello di Torino, nell’ambito di un procedimento penale a carico di un cittadino extracomunitario condannato in primo grado alla pena di un anno di reclusione proprio per il reato di permanenza irregolare sul territorio italiano, senza giustificato motivo, in violazione di un ordine di allontanamento emesso nei suoi confronti dal questore di Udine.

4.1. Con essa, la Corte di Giustizia ha dichiarato che la direttiva 2008/115 (immediatamente applicativa in alcune sue parti), in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella italiana in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo.

4.2. Ciò posto, sul noto rilievo secondo cui il principio di diritto affermato nelle sentenze interpretative della Corte di giustizia si impone con effetti erga omnes (Corte cost. 23 aprile 1985, n. 113; 11 luglio 1989, n. 289; Cass. 3 ottobre 1997, n. 9653), la vicenda conseguente all’emanazione della sentenza della Corte di giustizia 28 aprile 2011 deve essere sostanzialmente inquadrata in un’ipotesi di abolitio criminis, così ricadendo nella sfera di applicazione dell’art. 2 comma 2 c.p. anche per quanto concerne gli effetti retroattivi (v. , per un precedente in termini, Cass. pen. VI, 19 ottobre 2010, n. 41683).

4.3. Il che comporta, quale ulteriore e decisiva conseguenza, che la condanna penale riportata a suo tempo dall’odierno appellante per il reato di cui all’art. 14 comma 5 ter del D.Lgs. 286/1998 non può (più) essere considerata in alcun modo ostativa alla sua domanda di regolarizzazione che, quindi, dovrà essere nuovamente esaminata dall’Amministrazione competente (v. Ad. Plen. n. 8/2011).

5. Vi sono giustificati motivi per compensare le spese di lite, alla luce dei differenti orientamenti esistenti alla data del provvedimento impugnato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza –

definitivamente pronunciando sull’appello, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnato, annulla l’atto impugnato con il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Vittorio Stelo – Consigliere

Angelica Dell’Utri – Consigliere

Hadrian Simonetti – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 22 luglio 2014.

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