Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  11 luglio 2014, n. 15883

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26/5/2010 la Corte d’Appello di Bologna, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Assicurazioni Generali s.p.a. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Rimini 26/10/2004, dichiarava la solidale responsabilità dell’anestesista dr. A.S. e della casa di cura “Villa Assunta” di Rimini per il decesso della sig. Co.Ka. all’esito di intervento chirurgico di rinoplastica effettuato presso quest’ultima il (OMISSIS), e per l’effetto – per quanto ancora d’interesse in questa sede-condannava la società Assicurazioni Generali s.p.a. a tenere l’A. e la casa di cura indenni dal pagamento in favore degli eredi della defunta sigg. R.O. ed altri a titolo di risarcimento dei danni dai medesimi conseguentemente sofferti, che rideterminava nel complessivo ammontare di L. 775.541.978, oltre a rivalutazione ed interessi.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. R.O. ed altri propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società Assicurazioni Generali s.p.a..
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.; nonché “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c..
Si dolgono che la corte di merito abbia definito “corretta la metodologia di calcolo” da essi “usata per calcolare il danno patrimoniale” e poi contraddittoriamente e immotivatamente ridotto il liquidato ammontare di L. 64 milioni.
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, i criteri di valutazione equitativa, la cui scelta e adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, debbono essere idonei a consentire di addivenirsi ad una liquidazione congrua, sia sul piano dell’effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (v., da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1361).
In tema di liquidazione del danno l’equità si è infatti in giurisprudenza intesa nel significato di “adeguatezza” e di “proporzione”, assolvendo alla fondamentale funzione di “garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale”, con eliminazione delle “disparità di trattamento” e delle “ingiustizie” (così Cass., 7/6/2011, n. 12408: “equità non vuoi dire arbitrio, perché quest’ultimo, non scaturendo da un processo logico-deduttivo, non potrebbe mai essere sorretto da adeguata motivazione. Alla nozione di equità è consustanziale l’idea di adeguatezza e di proporzione. Ma anche di parità di trattamento”).
I criteri da adottarsi al riguardo debbono consentire pertanto una valutazione che sia equa, e cioè adeguata e proporzionata (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408), in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, in ossequio al principio per il quale il danneggiante e il debitore sono tenuti al ristoro solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l’inadempimento ad essi causalmente ascrivibile (v., da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1361).
Essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è altresì da escludersi che l’attività di quantificazione del danno sia di per sé soggetta a controllo in sede di legittimità, se non sotto l’esclusivo profilo del vizio di motivazione, in presenza di totale mancanza di giustificazione sorreggente la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (cfr., da ultimo, Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 19/5/2010, n. 12918; Cass., 26/1/2010, n. 1529), giacché il giudice è tenuto a dare conto dell’esercizio dei propri poteri discrezionali e, perché la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che fornisca l’indicazione, anche se sommariamente, delle ragioni del processo logico sul quale essa è fondata (cfr. Cass., 30/5/2002, n. 7896; Cass., 30/5/1995, n. 6061; Cass., 4/5/1989, n. 2074; Cass., 13/5/1983, n. 3273).
Orbene, là dove, dopo avere ritenuto “corretta” la “metodologia di calcolo” prospettata dagli eredi della defunta Co. , è pervenuta a stimare “equo” determinare il quantum a tale titolo ai medesimi spettante nella somma di L. 220 milioni, con lamentata riduzione di L. 64 milioni rispetto ai 284 milioni dai medesimi a tale stregua stimati e domandati, argomentando dall’apodittico e non meglio evidenziato rilievo assegnato alle “osservazioni mosse dalla appellante” e alle “produzioni documentali attestanti la entità delle retribuzioni che percepiva la defunta”, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi.
Con il 2 motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2947 c.c., in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.; nonché “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c..
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto il risarcimento dovuto con decorrenza dall’anno 1990 anziché dal “giorno del fatto illecito”, e pertanto “dal (OMISSIS)”.
Con il 3 motivo i ricorrenti denunziano “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.; nonché “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c..
Con il 4 motivo i ricorrenti denunziano “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.; nonché “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c..
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto dovuta la corresponsione di rivalutazione ed interessi a decorrere dal 1990 sulla somma, da detrarre dalla somma liquidata a titolo di risarcimento loro spettante, versata a titolo di acconto ricevuto, “maggiorato di rivalutazione ed interessi” dalla “data del versamento”.
I suindicati motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.
Diversamente da quanto sostenuto dagli odierni ricorrenti, l’ammontare del danno non risulta essere stato dalla corte di merito stimato con decorrenza dal 1990, anziché dalla precedente data del fatto illecito.
Emerge per converso come, facendo incontestatamente applicazione delle tabelle in uso presso quell’Ufficio giudiziario relative all’anno 1990, tale giudice abbia proceduto ad attualizzare a tale epoca l’ammontare complessivo del risarcimento ravvisato dovuto, come risulta confermato anche dal riferimento a tale momento ai fini della decorrenza di interessi e rivalutazione.
Né può riconoscersi pregio alla doglianza circa la statuizione in tema di rivalutazione dalla corte di merito assunta con riferimento all’acconto versato dalla compagnia assicuratrice, giacché dopo aver determinato l’ammontare complessivo del danno attualizzandolo come detto all’anno 1990, correttamente tale giudice, al fine di rendere omogenee le due entità, ne ha previsto la rivalutazione per analogo periodo, a partire dal momento della relativa corresponsione (“data del versamento”) e fino (e non già a partire dal 1990, come dai ricorrenti sostenuto nei propri scritti difensivi) al 1990 (cfr. Cass., 23/2/2005, n. 3747; e, conformemente Cass., 21/03/2011, n. 6357,e, da ultimo, Cass., 03/04/2013, n. 8104).
Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione al motivo accolto, rigettati gli altri ed assorbita ogni ulteriore e diversa questione, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione.

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