La Corte di Cassazione, con la Sentenza civile n. 15346 del 9 giugno 2025, ha definito il criterio distintivo tra gli atti di ordinaria amministrazione e quelli di straordinaria amministrazione nell’ambito del condominio.
La Corte ha stabilito che la discriminante risiede nella “normalità” dell’atto di gestione rispetto all’obiettivo di utilizzo e godimento dei beni comuni. Gli atti di ordinaria amministrazione rientrano nelle funzioni dell’amministratore (art. 1133 c.c.) e sono vincolanti per tutti i condomini. Al contrario, gli atti di straordinaria amministrazione necessitano dell’autorizzazione dell’assemblea per produrre effetti vincolanti, fatte salve le eccezioni urgenti previste dall’art. 1135, comma 2, c.c.
In particolare, gli atti che comportano spese rilevanti per la loro particolarità e consistenza economica – anche se finalizzati a una migliore utilizzazione delle parti comuni o imposti da nuove normative – devono essere qualificati come straordinari e richiedono pertanto una specifica delibera assembleare.
In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto valida una delibera riguardante la “manutenzione generale dei due corpi di fabbrica” condominiali, in quanto era stata adottata senza la maggioranza qualificata richiesta per gli interventi straordinari (nella formulazione del vecchio art. 1136, comma 2, c.c.).
Corte di Cassazione, civile, Sentenza|9 giugno 2025| n. 15346.
Condominio Ordinaria e straordinaria amministrazione
Massima: In tema di condominio negli edifici, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all’iniziativa dell’amministratore nell’esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condomini ex art. 1133 c.c., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall’art. 1135, comma 2, c.c., riposa sulla “normalità” dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell’assemblea condominiale.(In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva ritenuto valida la delibera avente ad oggetto la “manutenzione generale dei due corpi di fabbrica” condominiali adottata senza la maggioranza qualificata richiesta dall’art. 1136, comma 2, c.c., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla l. n. 220 del 2012).
Sentenza|9 giugno 2025| n. 15346. Condominio Ordinaria e straordinaria amministrazione
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REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta da:
Dott. FALASCHI Milena – Presidente
Dott. SCARPA Antonio – Relatore
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12570/2019 R.G. proposto da:
Li.Ca., Ia.Gi., Ia.El., eredi di Ia.Fe., elettivamente domiciliati in ROMA P.ZA DE.PR., presso lo studio dell’avvocato SA.AL., rappresentati e difesi dall’avvocata IE.ST.
– ricorrenti –
CONDOMINIO DI VIA (Omissis) A, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GI.BE., presso lo studio dell’avvocato ZU.MA., rappresentato e difeso dall’avvocata GA.AN.
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1505/2019 depositata il 18/03/2019.
Udita la relazione svolta nella udienza pubblica del 06/02/2025 dal Consigliere Antonio Scarpa.
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Troncone, il quale ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
Udita l’Avvocata St.Ie..
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FATTI DI CAUSA
Li.Ca., Ia.Gi., Ia.El., eredi di Ia.Fe., hanno proposto ricorso articolato in quattordici motivi avverso la sentenza n. 1505/2019 della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 18 marzo 2019.
Resiste con controricorso il Condominio di via (Omissis) di A.
La causa ha ad oggetto l’impugnazione ex art. 1137 c.c. proposta da Ia.Fe., in proprio e quale liquidatore della Ia.Al. Co. Snc, contro la deliberazione approvata il 4 novembre 2010 dall’assemblea del Condominio di via (Omissis) di A. Tale domanda è stata respinta dal Tribunale di Avellino con la sentenza n. 1240/2014 e, a conferma della pronuncia di primo grado, dalla Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 1505/2019.
Ha depositato memoria il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Troncone, il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque rigettare il ricorso.
Anche la ricorrente ha depositato memoria.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti premettono di aver accettato con beneficio di inventario l’eredità di Ia.Fe. ai fini della limitazione delle obbligazioni ereditarie.
Il controricorrente Condominio di via (Omissis) contesta tale eccezione, deducendo che gli attuali ricorrenti sono al contrario proprietari degli immobili compresi nel medesimo Condominio in forza di atto di donazione del 15 aprile 2009.
In realtà, con il ricorso per cassazione Li.Ca., Ia.Gi. e Ia.El. si sono dichiarati eredi di Ia.Fe., morto il 17 aprile 2015, ovvero successori a titolo universale della parte costituita, per proseguire il procedimento ai sensi dell’art. 110 c.p.c., operante anche nel processo di legittimità (Cass. Sez. Un. n. 9692 del 2013).
I ricorrenti, dunque, quali successori universali nel processo ex art. 110 c.p.c., hanno dichiarato la qualità di eredi accettanti con il beneficio d’inventario affinché, per ogni debito di cui si possano far carico come tali nel giudizio in cui era parte il de cuius, essi non siano tenuti oltre il valore dei beni a loro pervenuti (come può desumersi dall’art 94 c.p.c.) (Cass. n. 3713 del 1977). Quanto in particolare alle spese processuali, la condanna personale degli eredi beneficiati al pagamento è, peraltro, prevista dall’art. 94 c.p.c. nella ricorrenza di “gravi motivi” (Cass. n. 29825 del 2024; n. 1712 del 1981).
La deduzione del controricorrente secondo cui Ia.Fe. aveva donato gli immobili compresi nel Condominio di via (Omissis) sin dalla donazione del 15 aprile 2009 avrebbe piuttosto significato per rilevare che Ia.Fe., in proprio e quale liquidatore della Ia.Al. Co. Snc, già quando promosse questo giudizio con la citazione notificata il 18 marzo 2011, era privo di legittimazione all’azione di annullamento della deliberazione assembleare del 4 novembre 2010. L’azione disciplinata dall’art. 1137 c.c., presuppone infatti, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di condomino dell’attore sia al momento della proposizione della domanda sia al momento della decisione della controversia, in quanto la perdita di tale status determina, di regola, il venir meno dell’interesse dell’istante alla caducazione o alla modifica della portata organizzativa della deliberazione impugnata, salvo che questi vanti un diritto correlato alla sua passata partecipazione al condominio e tale diritto dipenda dall’accertamento della legittimità della deliberazione, ovvero che la medesima continui ad incidere, in via derivata, sul suo patrimonio (Cass. n. 16654 del 2024). A tal fine, occorrerebbe tuttavia procedere a necessari accertamenti di fatto per rilevare d’ufficio la questione, che non è invero specificamente sollevata nemmeno dal controricorrente.
Sono, poi, inammissibili i documenti prodotti dalla ricorrente in data 16 gennaio 2025, all’atto del deposito della memoria di cui all’art. 378 c.p.c., in quanto non rientranti tra quelli consentiti dall’art. 372 c.p.c. A ciò si aggiunga che, trattandosi di causa rientrante tra le attribuzioni dell’amministratore (art. 1130 n. 1 c.c.), lo stesso amministratore non necessita di alcuna autorizzazione o ratifica assembleare per costituirsi in giudizio e conferire procura al difensore a tal fine.
Il documento prodotto sempre dalla ricorrente in data 30 gennaio 2025 (“delibera di assemblea del 13 gennaio 2025”) è inammissibile per mancato rispetto del termine di quindici giorni di cui all’art. 372, comma 2, c.p.c.
1.- Il ricorso si sviluppa in quattordici motivi. La particolare ampiezza di tale atto – pur eccedente alla complessità giuridica o all’importanza economica delle fattispecie affrontate – induce a fare sintetica esposizione delle singole censure con rinvio per relazione.
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2. – Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 112 e 132 per omissione di pronuncia. Si dice che la Corte d’Appello di Napoli non ha statuito “su tutta la domanda” e non ha “valutato fatti e circostanze”.
Questo motivo è inammissibile perché non contiene né la chiara esposizione delle ragioni per le quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata, né la specifica indicazione e l’illustrazione del contenuto rilevante degli atti processuali sui quali esso si fonda. Si ipotizzano difetti di attività del giudice di secondo grado smentiti dalla contemporanea allegazione nelle successive censure della violazione di molteplici norme di diritto, il che presuppone che la Corte d’Appello abbia preso in esame le domande e vi abbia dato risposta, semmai, in modo giuridicamente non corretto.
3. – Il secondo motivo di ricorso deduce l’omessa motivazione, la falsa applicazione dell’art. 112, la contraddittorietà e la carenza di valutazione del “fatto” della violazione dell’art. 1136 c.c., per la mancata indicazione dei condomini favorevoli e contrari nel verbale dell’assemblea.
Tale censura è inammissibile ove riconducibile al vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operando la previsione di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile ratione temporis).
Il secondo motivo è altresì inammissibile perché, come eccepisce il controricorrente, introduce una questione “nuova”, implicante un accertamento di fatto, che non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, e i ricorrenti non adempiono all’onere di indicare, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale atto dei pregressi gradi di merito tale questione fosse stata tempestivamente dedotta e sopposta alla discussione in contradditorio.
4.- Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 183, comma 6, c.p.c., dell’art. 66 disp. att. c.c. e dell’art. 1136 c.c. Si tratta del vizio della delibera per omessa convocazione della Ia.Al. Co. Snc, che si assume allegato nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. depositata il 20 novembre 2011.
La Corte d’Appello ha dichiarato tale questione inammissibile perché “nuova”; ha comunque evidenziato che il Condominio convenuto aveva depositato la ricevuta di spedizione e di recapito delle convocazioni assembleari inviate a Ia.Fe. e alla Ia.Al. Co. Snc, ritirate da Iannacone.
Il terzo motivo di ricorso è così inammissibile perché non contrasta la autonoma ratio decidendi, con cui la Corte di Napoli ha acclarato che l’avviso di convocazione rivolto alla Ia.Al. Co. Snc era pervenuto all’indirizzo del destinatario, come previsto dall’art. 1335 c.c.
Il terzo motivo è comunque infondato nella sostanza, giacché, proposta la domanda di declaratoria dell’invalidità di una delibera dell’assemblea dei condomini per un determinato motivo (l’omessa convocazione di uno dei condomini attori), la domanda successivamente proposta dall’attore per la declaratoria di invalidità della stessa delibera per un distinto vizio (l’omessa convocazione di altro dei condomini attori) non opera, nella specie ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c. ratione temporis applicabile, come ammissibile precisazione e modificazione dell’originaria domanda, in quanto domanda, piuttosto, “ulteriore” o “aggiuntiva”, che si somma alla pretesa iniziale e non si pone, rispetto a questa, in un rapporto di alternatività (Cass. n. 12310 del 2015).
5. – Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione del D.Lgs. n. 58 del 2011 e della legge 20 novembre 1982 n. 890, l’omessa motivazione e la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., avendo la Corte d’Appello del pari ritenuta nuova e perciò inammissibile l’allegazione compiuta in appello della invalidità delle convocazioni eseguite mediante posta privata.
Il quarto motivo è inammissibile perché, come già detto per le precedenti censure, non adempie all’onere di indicare, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale atto dei pregressi gradi di merito tale questione, dichiarata nuova in appello, fosse stata tempestivamente dedotta e sopposta alla discussione in contradditorio.
Il motivo è inammissibile anche perché, a fronte della dichiarazione di inammissibilità per novità resa dal giudice d’appello, la parte non supera la relativa statuizione in rito, deducendo nel merito la fondatezza della propria allegazione.
Il motivo è infondato nella sostanza perché, trovando qui applicazione ratione temporis l’art. 66 disp. att. c.c. nella formulazione vigente prima delle modifiche operate dalla legge n. 220 del 2012 (è impugnata una deliberazione assembleare approvata il 4 novembre 2010), tale norma, al fine di assicurare la convocazione di tutti i condomini, quale presupposto indispensabile per la validità della delibera, non prescriveva particolari modalità di notifica, sicché l’esigenza che tutti i condomini fossero stati preventivamente informati della convocazione dell’assemblea poteva ritenersi soddisfatta quando risultasse che, in qualunque modo, i condomini ne avessero avuto notizia.
Si aggiunga, peraltro, che la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, pur nelle forme di cui al vigente art. 66, terzo comma, disp. att. c.c., è regolata dalla presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., sicché, in caso di inoltro a mezzo di posta raccomandata, si applicano le norme concernenti il servizio postale per la consegna dei plichi e non quelle relative alle notificazioni degli atti giudiziari ex artt. 138 e ss. c.p.c. (si veda anche Corte cost. n. 52 del 2014).
Vige, inoltre, un principio di equivalenza del ricorso al gestore del “servizio postale universale” o ad un operatore postale privato, agli effetti dell’uso della posta raccomandata per la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea, in forza della disciplina legislativa succedutasi a far tempo dal D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261 con riguardo alla liberalizzazione dei servizi postali.
6. – Il quinto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1136 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo.
La questione posta è che la delibera impugnata aveva approvato lavori straordinari senza le necessarie maggioranze. La Corte d’Appello ha considerato che la delibera aveva ad oggetto la “manutenzione generale dei due corpi di fabbrica” ed era stata approvata in seconda convocazione col voto favorevole di 14 condomini su 35, pari a “più di 800 sui duemila millesimi” stabilite dalle tabelle vigenti, mille per ciascun fabbricato.
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Il controricorrente Condominio deduce, invece, che la delibera ebbe il voto favorevole di “14 condomini su un totale di 34, rappresentanti 1369 duemillesimi”.
Il quinto motivo di ricorso risulta fondato nei sensi di seguito indicati.
Trova applicazione ratione temporis l’art. 1136 c.c. nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, essendo impugnata deliberazione del 4 novembre 2010.
L’art. 1136 disponeva:
“L’assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell’intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio.
Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
Se l’assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l’assemblea di seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima; la deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio.
Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell’amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore medesimo, nonché le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere sempre prese con la maggioranza stabilita dal secondo comma…”.
La Corte d’Appello ha dunque implicitamente ritenuto che la delibera avente ad oggetto la “manutenzione generale dei due corpi di fabbrica” non concernesse “la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità”, perché in tal caso essa doveva essere altrimenti presa con un numero di voti che rappresentasse la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
La sentenza impugnata non ha tuttavia fatto applicazione del principio enunciato da questa Corte, secondo cui, in tema di condominio negli edifici, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all’iniziativa dell’amministratore nell’esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condomini ex art. 1133 c.c., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall’art. 1135, comma 2, c.c., riposa sulla “normalità” dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell’assemblea condominiale (Cass. n. 10865 del 2016).
7. – Il sesto motivo di ricorso (sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1136, comma 5, c.c., circa la “mancata ratifica dell’operato dell’amministratore”), il settimo motivo (sulla “violazione e falsa applicazione dell’art. 1136, comma 4, c.c.”, l’omessa motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo, quanto all’esatta indicazione dei lavori da farsi che doveva essere contenuto nella delibera), l’ottavo motivo (sulla violazione dell’art. 1135, n. 4, c.c., facendosi riferimento dai ricorrenti alla formulazione della norma applicabile solo dopo l’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, sull’omessa motivazione e sulla mancata istituzione del fondo speciale obbligatorio per i lavori straordinari), il nono motivo (sulla violazione dell’art. 1136, comma 4, c.c., quanto al compenso e alla portata dell’incarico “all’ing. Te.”) e il decimo motivo (sulla violazione dell’art. 1136, comma 4, c.c., quanto alle condizioni tecniche dei lavori) sono tutti inammissibili, perché attengono a questioni “nuove”, senza adempiere all’onere di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
8. L’undicesimo motivo di ricorso, sulla violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver risposto la Corte d’Appello alla questione delle mancate approvazioni dei bilanci, è inammissibile per difetto di soccombenza, non avendo l’attore interesse a lamentare il rigetto di una domanda che assuma di non aver proposto.
9. – Il dodicesimo motivo di ricorso, sulla violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., quanto al rigetto della domanda di risarcimento dei danni, che la Corte d’Appello ha ritenuto non provati, è inammissibile, giacché la sentenza impugnata non ha negato l’astratta risarcibilità del danno alla proprietà, ma ne ha ritenuto mancata la dimostrazione, il che involge un apprezzamento di merito sulla fondatezza della pretesa che non può sindacarsi in sede di legittimità. D’altro canto, neppure è tuttora provato alcun comportamento illecito del Condominio che possa individuarsi quale fatto generatore del preteso danno risarcibile.
10. – Il tredicesimo motivo di ricorso, sull’errata applicazione dell’art. 187 c.p.c. per il rigetto delle deduzioni istruttorie, è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non specificando il ricorrente quale contenuto avessero le sue richieste di prova, onde consentire a questa Corte di valutarne la decisività.
11. – Il quattordicesimo motivo di ricorso sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. e dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, attenendo alla condanna alle spese processuali, rimane assorbito dall’accoglimento del quinto motivo, che comporta la comunque cassazione della sentenza impugnata.
12. – Conseguono, nei sensi di cui in motivazione, l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, l’assorbimento del quattordicesimo motivo, l’inammissibilità o il rigetto di tutti i restanti motivi e la cassazione della sentenza impugnata nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame della causa, uniformandosi all’enunciato principio, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Condominio Ordinaria e straordinaria amministrazione
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, dichiara assorbito il quattordicesimo motivo, dichiara inammissibili o rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della cesura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 6 febbraio 2025.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2025.
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