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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 12 aprile 2016, n. 7125

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28732-2014 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che le rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1815/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 03/12/2013 r.g.n. 1484/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/01/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato BIONDO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Messina, (OMISSIS) premesso di aver lavorato alle dipendenze della societa’ (OMISSIS) s.p.a., poi, (OMISSIS) s.p.a., dal 2.5.1969 fino al 27.4.2000, da ultimo con la qualifica di Capo Motorista, esponeva di aver contratto, a causa delle mansioni espletate (all’interno della sala macchine e, pertanto, costretto a respirare gas di scarico ed esposto a rumori di rilevante entita’), una grave ipoacusia bilaterale e broncopatia cronica ostruttiva unitamente a cervicoartrosi e poliartrosi diffusa. Invocava la responsabilita’ datoriale ex articolo 2087 c.c. per non aver la societa’ ottemperato ai propri obblighi volti alla salvaguardia e tutela della salute dei lavoratori, con condanna della stessa a risarcirgli il danno biologico patito in conseguenza delle contratte infermita’.

Si costituiva la societa’ contestando la fondatezza della domanda di cui chiedeva il rigetto.

La causa, istruita con l’audizione dei testi addotti dalle parti, veniva decisa il 4.2.2004 con il rigetto della domanda.

Ritenne il primo giudice non provata da parte del lavoratore l’esistenza di un rapporto di causalita’ tra la mancata adozione di determinate misure di sicurezza in relazione al lavoro svolto ed il danno all’integrita’ psico-fisica di cui il (OMISSIS) aveva lamentato la lesione.

Sottolineava il Tribunale che gia’ nel novembre del 1981 al ricorrente era stata fornita la cuffia antirumore e che nel 1992 esso era stato imbarcato sulla nave “(OMISSIS)” dotata di “control room”, ossia di una zona comandi insonorizzata; e che, peraltro, i locali delle macchine risultavano adeguatamente ventilate e prive di fumi di scarico.

Avverso la detta sentenza interponeva appello (OMISSIS) deducendone l’erroneita’.

Si costituiva la societa’ (OMISSIS), deducendo l’infondatezza del gravame di cui chiedeva il rigetto.

La Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata il 3 dicembre 2013, disposte due c.t.u., in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la (OMISSIS) s.p.a. a corrispondere al (OMISSIS), per i titoli azionati, la somma di Euro 151.256,00, oltre interessi dalla data di proposizione della domanda giudiziale.

Riteneva la Corte fondato l’appello promosso dal (OMISSIS) limitatamente alla sussistenza del nesso eziologico tra la denunciata ipoacusia e l’attivita’ lavorativa da esso espletata, e provato l’inadempimento datoriale relativo al cd. obbligo di sicurezza, rilevando che non tutte le motonavi su cui fu imbarcato il (OMISSIS) erano munite di misure protettive e che non era poi sufficiente l’adozione di misure e dispositivi protettivi senza la vigilanza che le prime venissero osservate e che i secondi venissero effettivamente utilizzati dai lavoratori.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la societa’, affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste il (OMISSIS) con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione alle conclusioni della c.t.u. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Lamenta che la sentenza impugnata non valuto’ adeguatamente le conclusioni del c.t.u. laddove aveva affermato che le ipoacusie professionali “sono figlie della collocazione temporale del lavoro stesso, in un contesto tecnologico superato dai tempi” e che dunque la fornitura o meno dei dispositivi di protezione individuali (d.p.i.), sia per la loro continua evoluzione ed obsolescenza, sia in quanto il personale di macchina non poteva farne un uso costante (per la necessita’, ad esempio, di sentire l’efficienza del motore) era irrilevante.

Il motivo, che peraltro denuncia la nullita’ della sentenza impugnata per una pretesa erronea valutazione della c.t.u., e’ inammissibile per due ordini di ragioni.

In primo luogo in quanto non e’ stata prodotta la c.t.u. in questione, in contrasto con l’articolo 369 c.p.c.; in secondo luogo poiche’ finisce per censurare, nel vigore del novellato n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla valutazione della consulenza, secondo il motivato avviso della sentenza impugnata confermativo della riconducibilita’ della ipoacusia in questione all’ambiente di lavoro. Su tali questioni non puo’ poi che rinviarsi alle considerazioni che seguono.

2.- Con il secondo motivo la societa’ denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2727 c.c.; articoli 115, 116 e 195 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Lamenta che la sentenza impugnata, in contrasto con l’onere probatorio gravante sul lavoratore, ritenne di poter evincere dalla (pretesa) mancata fornitura delle cuffie antirumore la violazione dell’obbligo di sicurezza, laddove risultava che il (OMISSIS) sin dal 1981 aveva in dotazione tali dispositivi ed inoltre, negli anni 90, egli era imbarcato su motonavi dotate di control room che consentiva il controllo a distanza dei motori; parimenti illogiche e solo congetturali erano le affermazioni dei giudici di appello secondo cui la societa’ non avrebbe vigilato sull’effettivo utilizzo dei d.p.i. (ritenuti immotivatamente insufficienti) e sulla loro efficienza.

Anche tale motivo risulta inammissibile per censurare, nel vigore del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la motivazione della sentenza impugnata sui punti in questione.

A cio’ deve aggiungersi che la Corte di merito ha accertato che per un lungo lasso di tempo (1985-1992) il (OMISSIS) svolse le sue mansioni di motorista su motonavi non dotate di control room e che dalle testimonianze raccolte era emerso che sino al 1988 gli addetti alla sala motori non erano dotati di cuffie antirumore.

Deve in ogni caso evidenziarsi che l’ipotetica obsolescenza dei d.p.i., ovvero l’utilizzo di altri sistemi (es. control room) non elimina certamente l’obbligo di sicurezza di cui all’articolo 2087 c.c., che per il suo carattere di norma di chiusura del sistema protettivo (cfr., ex aliis, Cass. n. 4840/2006, Cass. n. 12138/2003), impone comunque all’imprenditore di adottare tutte le misure che secondo l’esperienza e la tecnica siano in grado di tutelare e garantire l’integrita’ psico fisica del lavoratore, restandone quindi esclusi solo gli atti e comportamenti abnormi ed imprevedibili del lavoratore, idonei ad elidere il nesso causale tra le misure di sicurezza adottate e l’eventuale danno realizzatosi (e plurimis, Cass. n. 27127/2013).

3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2087 c.c., in relazione al nesso di causalita’ tra la presunta condotta colpevole e la malattia del lavoratore (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente di addossare sulla datrice di lavoro l’onere di provare l'(in)esistenza del nesso causale tra l’ambiente di lavoro e la patologia denunciata dal lavoratore.

Il motivo e’ infondato, posto che la Corte di merito ha ritenuto provato, dalle testimonianze escusse e dalle altre circostanze di causa, ivi compresi gli accertamenti peritali, la morbigenita’ dell’ambiente di lavoro denunciata dal lavoratore, ed il nesso causale tra esso e la patologia lamentata dal (OMISSIS).

4.- Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in E.100,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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