Il commercialista può concorrere con il contribuente nel delitto di dichiarazione fraudolenta

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 27 giugno 2019, n. 28158.

La massima estrapolata:

Il commercialista può concorrere con il contribuente nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti anche con il mero dolo eventuale, ossia con la mera accettazione del rischio della realizzazione della fattispecie illecita. Il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che la presentazione della dichiarazione comprensiva delle fatture false, possa comportare l’evasione delle imposte.

Sentenza 27 giugno 2019, n. 28158

Data udienza 29 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 05/07/2017 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi;
uditi, per i ricorrenti, l’avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), l’avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS), e l’avvocato Raffaele Bizzarro, difensore di fiducia di (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 5 luglio 2017, la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata, all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In particolare, la Corte d’appello: 1) ha confermato la dichiarazione di penale responsabilita’ dei quattro imputati per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, con riferimento alle dichiarazioni presentate ai fini IVA nel 2009 per l’anno 2008, nel 2010 per l’anno 2009 e nel 2011 per l’anno 2010; 2) ha assolto i quattro imputati dal reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati concernenti l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti; 3) ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei quattro imputati per essere estinti per prescrizione i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, con riferimento alle dichiarazioni presentate ai fini IVA nel 2007 per l’anno 2006 e nel 2008 per l’anno 2007; 4) ha limitato la confisca per equivalente fino alla concorrenza tra l’ammontare dell’IVA indebitamente detratta, pari a 21.199.621,88 Euro, ed il controvalore dei beni indicati al punto b) del dispositivo del decreto di sequestro preventivo del G.i.p. del Tribunale di Torre Annunziata il 21 maggio 2012; 5) ha confermato la confisca dei beni indicati al punto b) del dispositivo del decreto di sequestro appena indicato. Le pene sono state rideterminate nella misura giudicata di giustizia, ritenuta la continuazione tra i reati, piu’ grave quello costituito dalla presentazione della dichiarazione del 2010, e con conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Gli imputati sono stati condannati in relazione all’utilizzazione di fatture false nelle dichiarazioni della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”, e precisamente in ordine: 1) alla dichiarazione presentata nel 2009 per l’anno fiscale 2008, concernente elementi passivi fittizi pari a 23.659.677,00 Euro, e IVA indebitamente detratta pari a 4.731.935,40 Euro; 2) alla dichiarazione presentata nel 2010 per l’anno fiscale 2009, concernente elementi passivi fittizi pari a 45.736.608,50 Euro, e IVA indebitamente detratta pari a 9.147.321,70 Euro; 3) alla dichiarazione presentata nel 2011 per l’anno fiscale 2010, concernente elementi passivi fittizi pari a 36.601.823,91 Euro, e IVA indebitamente detratta pari a 7.320.364,78 Euro. Le fatture false erano emesse da societa’ con sede nella zona vesuviana, e riferite a ditte quasi tutte recanti nomi di soggetti cinesi. La sentenza ha precisato che, della ” (OMISSIS) s.r.l.”, (OMISSIS) era il reale gestore, (OMISSIS) era l’amministratore legale, nonche’ stretto collaboratore di (OMISSIS), (OMISSIS) era il responsabile del settore amministrativo e contabile, e (OMISSIS) il consulente contabile e fiscale.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), quali difensori di fiducia dell’imputato (OMISSIS), gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), con due distinti atti, quali difensori di fiducia dell’imputato (OMISSIS), l’avvocato (OMISSIS), con due distinti atti, quale difensore di fiducia degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
Hanno presentato motivo nuovo l’avvocato (OMISSIS) per l’imputato (OMISSIS) e memoria e motivi nuovi l’avvocato (OMISSIS) per gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
3. Il ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS) e’ articolato in tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 81 e 133 c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla determinazione della pena ittogata a titolo di aumento.
Si deduce che l’aumento per la continuazione – calcolato in sei mesi per ciascuna delle due annualita’ satellite e su una pena base pari a due anni e quattro mesi, e prima dell’applicazione della diminuente per il rito – e’ determinato in misura illogica, sproporzionata e sostanzialmente immotivata.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 62-bis c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che il diniego delle circostanze attenuanti generiche e’ fondato su una motivazione di mero stile, che si limita a rappresentare la gravita’ delle condotte, la protrazione nel tempo delle stesse e l’entita’ dell’imposta evasa, senza considerare che le precisate circostanze possono essere concesse anche in relazione a fatti molto gravi, e che il ricorrente ha reso piena confessione in ordine agli addebiti.
3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 322-ter c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla confisca.
Si deduce che la misura ablatoria e’ stata disposta senza alcuna indicazione delle ragioni giustificative, in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza.
4. Il motivo nuovo presentato nell’interesse di (OMISSIS) segnala il decorso del termine di prescrizione con riferimento al reato commesso mediante la presentazione nel 2009 e nel 2010 delle dichiarazioni relative agli anni d’imposta 2008 e 2009, con conseguente necessita’ di annullamento con rinvio per la rideterminazione della pena.
5. Il primo ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS), a firma dell’avvocato (OMISSIS), e’ articolato in due motivi.
5.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 40 e 110 c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla affermazione della responsabilita’ penale del ricorrente nella parte relativa all’elemento psicologico.
Si deduce che, con l’atto di appello, si era evidenziato che (OMISSIS) era “una testa di legno”, il quale non aveva consapevolezza della situazione della societa’, ne’ dell’obbligo giuridico di tenere una specifica condotta, e che, pero’, la sentenza impugnata si e’ limitata, in relazione ai capi in cui e’ contestato il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, ad evocare la categoria del dolo eventuale, e a confermare per relationem le argomentazioni della sentenza di primo grado. Si aggiunge che la ritenuta sussistenza del dolo eventuale e’ in contrasto con il riconoscimento della condizione, appunto, di “testa di legno” del ricorrente, e che non sono indicati elementi dai quali desumere che lo stesso avesse la “netta percezione” della commissione di reati dolosi da parte di (OMISSIS).
5.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 62-bis e 133 c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio.
Si deduce che la sentenza impugnata, in relazione a tali punti, si e’ limitata a richiamare quanto gia’ osservato dal giudice di primo grado in ordine alla gravita’ delle condotte, alla protrazione nel tempo delle stesse ed all’entita’ dell’imposta evasa, senza analizzare le diffuse censure contenute nel gravame.
6. Il secondo ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS), a firma dell’avvocato (OMISSIS), e’ articolato in tre motivi.
6.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 178 e 125 c.p.p. e articolo 438 c.p.p., comma 5, nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), avendo riguardo alla mancata celebrazione del giudizio nelle forme del rito abbreviato condizionato.
Si deduce che, nonostante la richiesta di trattazione del processo nelle forme del rito abbreviato condizionato e, solo in via gradata, nelle forme del rito abbreviato cd. secco, il processo e’ stato definito nella seconda modalita’, senza alcuna specificazione o motivazione, pure necessaria secondo la giurisprudenza costituzionale e delle Sezioni Unite (si citano Corte Cost., sent. n. 169 del 2003, e Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib). Si aggiunge che erronea e’ la risposta della Corte d’appello, la quale ha respinto il pertinente motivo di gravame osservando che non erano stati indicati gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla definizione del processo nelle forme del rito abbreviato cd. secco.
6.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla affermazione della responsabilita’ penale del ricorrente nella parte relativa all’elemento psicologico.
Si deduce che non sono indicati elementi univoci da cui desumere il dolo eventuale: tali non sono ne’ l’esistenza di rapporti del ricorrente con gli istituti di credito, ne’ la provenienza delle fatture utilizzate da ditte cd. “fasioniste”, ne’ il contenuto delle conversazioni intercettate, dal quale emerge solo l’interessamento dell’imputato alla contabilita’ delle societa’ dei cinesi fornitori. Si aggiunge che l’attivazione del ricorrente in materia di rapporti bancari e di contabilita’ delle ditte fornitrici elide ogni significato indiziante all’accettazione, da parte dello stesso, del ruolo di mero prestanome di (OMISSIS) nell’amministrazione della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”.
6.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 322-ter c.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla confisca.
Si deduce che i beni confiscati sono intestati a terzi e non e’ stata fornita alcuna verifica in ordine alla completa disponibilita’ degli stessi da parte del ricorrente: di conseguenza, l’ablazione non poteva essere disposta per le quote dei beni in comproprieta’ con la moglie, in regime di separazione dei beni, e con a sorella. Si osserva, inoltre, che il rapporto di coniugio ed il regime di comunione dei beni, inesattamente affermato, non costituiscono certo indizi di disponibilita’ dei beni in capo al ricorrente.
7. Il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) dall’avvocato (OMISSIS) e’ articolato in cinque motivi.
7.1. Con il primi tre motivi, sviluppati congiuntamente, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., comma 1, articolo 192 c.p.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 e articolo 110 c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), avendo riguardo alla affermazione della responsabilita’ penale del ricorrente nella parte relativa al contributo concorsuale ed all’elemento psicologico.
Si deduce che la sentenza afferma la responsabilita’ dell’imputato senza indicare perche’ lo stesso fosse consapevole degli illeciti e in che modo abbia concorso negli stessi. Si rappresenta che le conversazioni intercettate non contengono riferimenti a false fatture, perche’ le preoccupazioni per la verifica, l’impegno per redazione dei verbali assembleari e lo sforzo di correggere le risultanze relative al contante di cassa e di renderle congrue con le fatture sono situazioni ed attivita’ fisiologicamente connesse all’attivita’ professionale svolta. Si aggiunge che anche gli incarichi in altre societa’ del gruppo sono stati la conseguenza della posizione di lavoratore dipendente del ricorrente e che l’unica volta in cui lo stesso, dalle conversazioni intercettate, risulta aver chiesto conto di un documento mendace, una fattura per 120.000,00 Euro, e’ stato immediatamente messo a tacere da (OMISSIS). Si osserva, ancora, che la richiesta di chiarimenti appena citata smentisce l’ipotesi della consapevolezza della frode.
7.2. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 62-bis e 133 c.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio.
Si deduce che la sentenza impugnata fornisce una motivazione “evasiva” rispetto alle censure formulate con l’atto di gravame, trascurando elementi come l’incensuratezza ed il comportamento processuale.
7.3. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 322-ter c.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla confisca.
Si deduce che non e’ ammissibile far subire una confisca per equivalente ad un imputato per un profitto mai conseguito, sottoponendo ad ablazione una moto ed una Fiat 500; cio’ tanto piu’ se si considera il modestissimo reddito percepito, pari a 750,00 Euro mensili.
8. Il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) dall’avvocato (OMISSIS) e’ articolato in cinque motivi.
8.1. Con il primi tre motivi, sviluppati congiuntamente, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., comma 1, articolo 192 c.p.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 e articolo 110 c.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), avendo riguardo alla affermazione della responsabilita’ penale del ricorrente nella parte relativa al contributo concorsuale ed all’elemento psicologico.
Si deduce che la sentenza afferma la responsabilita’ dell’imputato a titolo di dolo eventuale, pur asserendo contraddittoriamente l’esistenza di una condotta “di concerto con il contribuente-reo”, ed indicando, quale contributo causale, lo svolgimento di attivita’ tipiche di un professionista, quali la tenuta della contabilita’, la partecipazione ad assemblee, la somministrazione di consigli leciti. Si aggiunge che la Corte d’appello, nell’affermare la consapevolezza di (OMISSIS) in ordine alle operazioni illecite, trascura di considerare: a) le dimensioni multinazionali della societa’, avente fatturato milionario, sede e piattaforma in Cina; b) la provenienza da questo paese della maggior parte dei materiali e dei prodotti finiti; c) la mancata disponibilita’ delle fatture da parte del ricorrente, sistemate in un luogo ben diverso dal suo studio professionale; d) l’assenza di qualunque contatto tra il medesimo e le societa’ emittenti le false fatture. Si rappresenta, ancora, che non possono costituire elementi a carico la tenuta della contabilita’ aziendale dal 2005, l’irregolarita’ di questa e la precedente sottoposizione ad indagini, anche perche’ (OMISSIS) ha redatto il ricorso contro gli accertamenti nel 2010, perche’ (OMISSIS) ha assunto su di se’ la responsabilita’ per quanto concerneva la fatturazione e perche’ le irregolarita’ sono emerse solo nel 2011. Si osserva, infine, che le conversazioni intercettate non hanno alcun valore indiziante.
8.2. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli articoli 62-bis e 133 c.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio.
Si deduce che la sentenza impugnata fornisce una motivazione “evasiva” rispetto alle censure formulate con l’atto di gravame, trascurando elementi come l’incensuratezza ed il comportamento processuale.
8.3. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 322-ter c.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla confisca.
Si deduce che non e’ ammissibile far subire una confisca per equivalente ad un imputato per un profitto mai conseguito, sottoponendo ad ablazione un immobile ereditato ed in comproprieta’ con un fratello; cio’ tanto piu’ se si considera la modestia degli introiti professionali percepiti.
9. I motivi nuovi presentati nell’interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS) denunciano violazione di legge in riferimento all’articolo 110 c.p. e articolo 125 c.p.p., nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla affermazione della responsabilita’ penale dei due ricorrenti nella parte relativa al contributo concorsuale ed all’elemento psicologico.
Si ribadisce che la sentenza impugnata non indica gli elementi dai quali desumere il contributo concorsuale dei due ricorrenti o il dolo dei medesimi, e che certamente non puo’ avere funzione indiziante l’attivita’ di redazione delle dichiarazioni ritenute mendaci, in quanto computa nello svolgimento dell’ordinaria attivita’ professionale. Si sottolinea che e’ stata del tutto trascurata la dichiarazione di (OMISSIS) di assunzione piena ed esclusiva delle responsabilita’ per la scelta di utilizzare le false fatture.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito precisate.
2. Prive di specificita’ e comunque manifestamente infondate sono le censure formulate nel ricorso e nel motivo nuovo di (OMISSIS).
2.1. Le critiche dedotte nel secondo motivo, il cui esame appare logicamente preliminare, contestano che, nel negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata espone una motivazione sostanzialmente apodittica, la quale valorizza eccessivamente la gravita’ dei fatti e trascura la confessione resa.
Occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione delle stesse (cfr., tra le tantissime, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01, e Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899-01). Inoltre, diverse decisioni hanno anche affermato che e’ legittimo il diniego delle circostanze attenuanti generiche anche se motivato con la valorizzazione negativa dell’ammissione di colpevolezza, in quanto dettata da intenti utilitaristici e non da effettiva resipiscenza (v., tra le tante, Sez. 1, n. 35703 del 05/04/2017, Lucaioli, Rv. 271454-01, e Sez. 6, n. 11732 del 27/01/2012, Di Lauro, Rv. 252229-01).
La sentenza impugnata ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ad (OMISSIS) osservando che non e’ emerso alcun elemento favorevole dall’istruttoria dibattimentale, e che, invece, occorre tener conto della gravita’ della condotta in contestazione, caratterizzata da plurime violazioni della legge tributaria, prolungate nel tempo e per importi di considerevole rilievo patrimoniale. E, in concreto, il ricorrente e’ stato condannato, quale reale gestore della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”, in relazione all’utilizzazione di fatture false nelle dichiarazioni presentata per tale societa’: 1) nel 2009 per l’anno fiscale 2008, con riferimento ad elementi passivi fittizi pari a 23.659.677,00 Euro, e ad IVA indebitamente detratta pari a 4.731.935,40 Euro; 2) nel 2010 per l’anno fiscale 2009, con riferimento ad elementi passivi fittizi pari a 45.736.608,50 Euro, e ad IVA indebitamente detratta pari a 9.147.321,70 Euro; 3) nel 2011 per l’anno fiscale 2010, con riferimento ad elementi passivi fittizi pari a 36.601.823,91 Euro, e ad IVA indebitamente detratta pari a 7.320.364,78 Euro. Inoltre, il medesimo ricorrente ha riportato sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, dopo condanna in primo grado, relativamente: 1) alla dichiarazione presentata nel 2007 per l’anno fiscale 2006, concernente elementi passivi fittizi pari a 9.854.758,66 Euro, e IVA indebitamente detratta pari a 1.970.951,73 Euro; 2) alla dichiarazione presentata nel 2008 per l’anno fiscale 2007, concernente elementi passivi fittizi pari a 15.974.291,00 Euro, e IVA indebitamente detratta pari a 3.194.858,20 Euro. Si puo’ aggiungere che la sentenza indicata ha anche precisato che l’apporto di (OMISSIS) alla commissione dei reati deve ritenersi “massimo”, e “sorretto da un dolo di eccezionale intensita’”.
Sulla base dei principi indicati e degli elementi addotti dalla Corte d’appello, deve concludersi che la sentenza impugnata, nella parte in cui nega la concessione del beneficio al ricorrente, e’ del tutto immune da vizi logici o giuridici. In particolare, non puo’ ritenersi illegittima la scelta di non attribuire specifico valore positivo e dirimente alla confessione resa; ne’ il ricorrente indica specifici elementi da cui inferire che la confessione, nella specie, sia stata decisiva ai fini dell’accertamento dei fatti o comunque preciso segno di resipiscenza.
2.2. Le critiche dedotte nel primo motivo contestano che gli aumenti per la continuazione sono stati determinati in misura illogica, sproporzionata e sostanzialmente immotivata.
La sentenza impugnata ha applicato ad (OMISSIS) la pena finale di due anni e quattro mesi di reclusione, cosi’ determinandola: la pena base e’ stata fissata in due anni e sei mesi di reclusione per il reato commesso nel 2010, in quanto piu’ grave; la medesima pena base e’ stata poi aumentata di sei mesi di reclusione per ciascuna delle altre due annualita’, e, infine, diminuita di un terzo per il rito abbreviato. La misura della pena, anche con riferimento agli aumenti, e’ stata espressamente commisurata alla gravita’ dei fatti in contestazione, al contributo fornito dal ricorrente alla commissione degli illeciti ed alla intensita’ del dolo.
Le argomentazioni addotte nella motivazione della sentenza impugnata sono sicuramente esaustive, specie in considerazione della lunga ed ininterrotta protrazione temporale delle condotte illecite e della gravita’ dei singoli reati.
2.3. Le critiche dedotte nel terzo motivo contestano che la sentenza impugnata non ha offerto alcuna indicazione delle ragioni giustificative dell’imposizione della confisca.
Come gia’ puntualizzato in giurisprudenza, con riferimento ai reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, l’onere motivazionale del giudice che dispone la confisca di valore di beni dell’imputato, prevista dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 12-bis, attesa la natura obbligatoria di detto provvedimento, e’ limitato alla indicazione della sussistenza dei presupposti legali della sua applicazione, consistenti nella impossibilita’ di disporre la confisca diretta del profitto o del prezzo del reato nel patrimonio della persona giuridica, nella disponibilita’ del bene oggetto di confisca per equivalente da parte dell’autore materiale del reato e nella corrispondenza del valore del bene al profitto o al prezzo del reato (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Papini, Rv. 274816-06). Del resto, si e’ anche osservato che e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale sollevata in relazione al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 12-bis, comma 1, per contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost., nella parte in cui consente la confisca e, quindi, il sequestro di valore nei confronti del legale rappresentante di una persona giuridica per il solo fatto che non sia possibile eseguire quello, diretto, del profitto del reato nei confronti dell’ente, in quanto la confisca, per la sua natura sanzionatoria, trova fondamento nella mera realizzazione del fatto di reato in cui si sostanzia la condotta della persona fisica realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente (Sez. 3, n. 46973 del 10/05/2018, B., Rv. 274074-02). Resta solo da aggiungere, per completezza, che questi principi, sebbene espressamente riferiti al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis, sono predicabili anche alla L. 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143, applicato alla vicenda in esame per ragioni temporali, stante la continuita’ tra le due disposizioni (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Lombardo, Rv. 268386-01, e Sez. 3, n. 35226 del 16/06/2016, D’Agapito, Rv. 267764-01).
Muovendo da questi principi, e’ agevole osservare che, nella vicenda in esame, occorreva semplicemente accertare l’entita’ dell’imposta evasa, e precisamente dell’IVA indebitamente detratta, per gli anni per i quali e’ stata confermata la sentenza di condanna, e decurtare tale importo del valore dei beni sottoposti a sequestro. Tali operazioni sono state puntualmente compiute dalla Corte d’appello, come risulta dalla motivazione e dal dispositivo.
2.4. L’inammissibilita’ delle censure formulate con l’originario ricorso determina automaticamente anche l’inammissibilita’ del motivo nuovo.
Invero, come si osserva in giurisprudenza, l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione non puo’ essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, in quanto si trasmette a questi ultimi il vizio radicale da cui sono inficiati i motivi originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi (Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, Montante, Rv. 275158-01, ma anche, tra le altre, Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, Cennamo, Rv. 260851-01).
Peraltro, nella specie, il motivo nuovo e’ anche intrinsecamente inammissibile perche’ manifestamente infondato. Lo stesso, infatti, muove dalla premessa secondo cui i reati commessi mediante la presentazione delle dichiarazioni del 2009 e del 2010 sarebbero prescritti, senza tuttavia addurre elementi circa errori di computo nella sentenza di appello. Se pero’ questo computo non e’ specificamente contestato, la maturazione della prescrizione per il decorso del tempo in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata, anche in disparte da ogni considerazione relativa all’amplissima durata dei periodi di sospensione da considerare, e’ esclusa dalla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso (cfr., per tutte, Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818-01, e Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 21726601).
3. Non sorrette da interesse giuridicamente apprezzabile, manifestamente infondate o diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ sono le censure formulate nei due atti di ricorso di (OMISSIS).
3.1. Non sorrette da interesse giuridicamente apprezzabile sono le doglianze esposte nel primo motivo del ricorso a firma dell’avvocato (OMISSIS), e che contestano la decisione di definire il processo nelle forme del giudizio abbreviato “secco”, invece che in quelle del giudizio abbreviato “condizionato”, pur richiesto in via principale, in difetto di specifica motivazione.
Puo’ essere utile premettere che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, e’ preclusa all’imputato il quale, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato “condizionato”, abbia optato per il rito abbreviato “secco”, la possibilita’ di contestazione successiva della legittimita’ del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria e’ equiparata al mancato rinnovo in limine litis, ai sensi dell’articolo 438 c.p.p., comma 6, della richiesta di accesso al rito subordinata all’assunzione di prove integrative (Sez. 1, 37244 del 13/11/2003, dep. 2014, Altamuta, Rv. 260532-01, ma anche Sez. 3, n. 27183 del 05/06/2009, Fabbricini, Rv. 248477-01).
Occorre poi rilevare, che, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale, ordinanza n. 273 del 2003, citata anche da Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib, Rv. 229174-01, “la possibilita’ di proporre in via gradata, contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato “condizionato”, richiesta di giudizio abbreviato “semplice”, cosi’ da garantirsi comunque l’ammissione al rito speciale, non esclude la facolta’ dell’imputato, che ritenga imprescindibile l’integrazione probatoria richiesta, di operare la diversa scelta, riconosciuta dalla sentenza n. 169 del 2003, di rinnovare al giudice del dibattimento la richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria”.
Anche muovendo dalla indicata elaborazione giurisprudenziale, e, in particolare, dall’indicazione offerta dalla Corte costituzionale, deve ritenersi, ad avviso del Collegio, che, quando l’imputato propone in via subordinata, contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato “condizionato”, richiesta di giudizio abbreviato “semplice”, la decisione del giudice di definire il procedimento senza procedere ad integrazione istruttoria e’ sindacabile solo per denunciare che la mancata assunzione degli elementi richiesti ha avuto concrete conseguenze sul merito della decisione.
Invero, l’imputato, se il procedimento e’ stato definito assicurandogli tutti i benefici previsti per il giudizio abbreviato, e in adesione alla sua scelta, sia pure subordinata, puo’ vantare un concreto interesse a dolersi del mancato accoglimento della richiesta formulata in via prioritaria esclusivamente se contesta che l’omessa assunzione degli elementi istruttori indicati ha determinato per lui un effettivo pregiudizio in relazione a profili diversi da quelli concernenti l’impiego di prove non formate in contraddittorio, la sanatoria di nullita’ non assolute, o la concessione della diminuente per il rito. Ed infatti, come osservato anche dalle Sezioni Unite, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare va individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalita’ negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilita’, ossia di una decisione piu’ vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (cosi’ Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693, nonche’ Sez. 1, n. 8763 del 25/11/2016, dep. 2017, Attanasio, Rv. 269199-01).
Deve aggiungersi, inoltre, che la censura concernente il mancato accoglimento dell’istanza di giudizio abbreviato “condizionato”, siccome proposta mediante atto di impugnazione, deve fornire l’indicazione, a norma dell’articolo 581 c.p.p., tanto delle prove di cui si deduce l’omessa assunzione, quanto delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta, quindi anche avendo riguardo al pregiudizio subito.
Nella specie, la sentenza impugnata gia’ ha evidenziato che l’atto di appello ha lamentato la nullita’ della sentenza impugnata per la mancata ammissione al giudizio abbreviato condizionato senza neppure indicare i potenziali effetti pregiudizievoli scaturiti per la difesa dell’imputato da tale decisione. Le censure formulate nel ricorso per cassazione ripropongono la questione nuovamente senza offrire alcuna indicazione del pregiudizio subito dall’imputato.
Puo’ quindi concludersi che la censura concernente la decisione di definire il processo nelle forme del giudizio abbreviato “secco”, invece che in quelle del giudizio abbreviato “condizionato”, pur richiesto in via principale, in difetto di specifica motivazione, non e’ sorretta da interesse giuridicamente rilevante a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera a).
3.2. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ sono le censure formulate nel secondo motivo del ricorso a firma dell’avvocato (OMISSIS) e nel primo motivo del ricorso a firma dell’avvocato (OMISSIS), e che contestano l’affermazione della responsabilita’ penale nella parte relativa all’elemento psicologico, deducendo che non sono stati acquisiti elementi univoci in ordine alla consapevolezza, nel ricorrente, della natura delle condotte realizzate dall’effettivo gestore della societa’ ” (OMISSIS)”, (OMISSIS).
La sentenza impugnata premette che (OMISSIS) era l’amministratore di diritto della ” (OMISSIS) s.r.l.”, di cui era effettivo gestore (OMISSIS), con il quale egli aveva iniziato a lavorare sin dal 1988, si occupava dell’aspetto finanziario-bancario della societa’, ed ha sottoscritto le dichiarazioni fiscali dell’impresa predisposte mediante il supporto delle false fatture. Rileva, poi, che: a) il ricorrente, nello svolgimento della sua attivita’, e, in particolare, relazionandosi con gli istituti di credito, con (OMISSIS) e con gli impiegati, aveva una visione precisa dell’anomalia delle movimentazioni della societa’; b) le false fatture avevano ad oggetto acquisiti di prodotti finiti provenienti da aziende locali le quali, pero’, da un lato, erano ormai inattive o formalmente gestite da soggetti di nazionalita’ cinese non piu’ reperibili da tempo, e, dall’altro, in precedenza, avevano svolto solo la diversa attivita’ di assemblaggio di stoffe ed accessori forniti proprio dalla ” (OMISSIS) s.r.l.”; c) le forniture di prodotti finiti alla ” (OMISSIS) s.r.l.” provenivano, nei fatti, da grandi societa’, soprattutto estere; d) numerose conversazioni intercettate evidenziano come il ricorrente si occupasse dei “conteggi” a fare con i “cinesi” nonche’ della redazione delle relative fatture formalmente emesse da questi ultimi e manifestasse, anche con toni alterati nei confronti di (OMISSIS), una certa riluttanza a procedere allo svolgimento di tale attivita’. Conclude che (OMISSIS), “accettando il ruolo di prestanome – nella piena consapevolezza delle anomale modalita’ di gestione della contabilita’ e della predisposizione, ad opera dell’azienda, di falsa documentazione a sostegno della fiscalita’ aziendale – ha consapevolmente accettato il rischio di sottoscrivere dichiarazioni reddituali fraudolente, omettendo qualunque forma di controllo sull’attivita’ svolta dall’amministratore di fatto”.
Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi logici e giuridici. In particolare, le stesse si fondano su di una corretta motivazione che evidenzia elementi specifici, e sostanzialmente non contestati nella loro ontologica verificazione, da cui e’ desunta, in applicazione di accettabili criteri di inferenza, la piena consapevolezza del ricorrente in ordine alla inesistenza delle operazioni documentate nelle fatture utilizzate per predisporre le dichiarazioni fiscali da lui medesimo materialmente sottoscritte. Si puo’ anzi aggiungere che la congruenza degli elementi esposti dalla motivazione trova ulteriore risalto se si considerano sia la pluralita’ degli anni interessati dalle pratiche illecite, sia, e soprattutto, gli impressionanti importi documentati in maniera mendace.
3.3. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ o comunque manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo del ricorso a firma dell’avvocato (OMISSIS), e che contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione del trattamento sanzionatorio.
Si e’ gia’ evidenziato, in precedenza al § 2.1., quali sono i principi giuridici condivisi in giurisprudenza per il diniego delle circostanze attenuanti generiche. Si puo’ aggiungere che, secondo l’orientamento ampiamente consolidato, in nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo e’ desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo (cosi’ tra le tantissime, Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949-01, e Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01).
La sentenza impugnata ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche a (OMISSIS) osservando che non e’ emerso alcun elemento favorevole dall’istruttoria dibattimentale, e che invece, occorre tener conto della gravita’ della condotta in contestazione, caratterizzata da plurime violazioni della legge tributaria, prolungate nel tempo e per importi di considerevole rilievo patrimoniale. Ha poi applicato al ricorrente la pena finale di un anno e dieci mesi di reclusione, cosi’ determinandola: la pena base e’ stata fissata in un anno e undici mesi di reclusione per il reato commesso nel 2010, in quanto piu’ grave; la medesima pena base e’ stata poi aumentata di cinque mesi di reclusione per ciascuna delle altre due annualita’, e, infine, diminuita di un terzo per il rito abbreviato. La misura della pena, anche con riferimento agli aumenti, e’ stata espressamente commisurata alla gravita’ dei fatti in contestazione, al contributo fornito dal ricorrente alla commissione degli illeciti ed alla intensita’ del dolo.
Le argomentazioni addotte nella motivazione della sentenza impugnata sono sicuramente esaustive, specie in considerazione della lunga ed ininterrotta protrazione temporale delle condotte illecite e della gravita’ dei singoli reati. Non va trascurato, inoltre, che la pena base e’ stata calcolata in misura molto inferiore alla media edittale, anzi molto prossima al minimo edittale, quest’ultimo essendo pari ad un anno e sei mesi di reclusione, e che gli aumenti per la continuazione, anche complessivamente considerati, sono nettamente inferiori alla meta’ della pena base.
3.4. Non sorrette da interesse giuridicamente apprezzabile sono le censure esposte nel terzo motivo del ricorso a firma dell’avvocato (OMISSIS), e che contestano l’applicazione della confisca, disposta in relazione alla proprieta’ per l’intero di un immobile sito in (OMISSIS) e alla nuda proprieta’ per l’intero di due immobili siti in Pagani, il cui valore complessivo e’ pari 223.728,00 Euro, deducendo, esclusivamente, l’illegittimita’ dell’affermazione della sentenza impugnata in ordine alla disponibilita’, per l’intero, da parte del ricorrente, dei beni a lui confiscati, in quanto parzialmente cointestati anche alla moglie ed alla sorella.
Invero, in giurisprudenza si e’ condivisibilmente osservato che e’ inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso proposto avverso la confisca di un bene da parte dell’imputato del reato in riferimento al quale la confisca viene disposta, che non sia titolare o gestore del bene stesso (Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Fulco, Rv. 270209-01, nonche’ Sez. 6, n. 11496 del 21/10/2013, dep. 2014, Castellaccio, Rv. 262612-01). Questo principio, del resto, e’ pienamente coerente con quello applicato in materia di confisca di prevenzione, secondo cui il proposto ha interesse a negare l’interposizione fittizia e a dimostrare l’esclusiva appartenenza dei beni ai terzi presunti intestatari, solo la’ dove l’esclusione dei beni intestati ai terzi dalla sua sfera patrimoniale incida sul giudizio di sproporzione tra gli acquisti ed i redditi (cfr. tra le tantissime, Sez. 1, n. 50463 dl 15/06/2017, Mangione, Rv. 271822-01, e Sez. 2, n. 40008 del 12/05/2016, Pomilio, Rv. 268232-01).
Stante il difetto di interesse all’impugnazione di questa parte della sentenza, diventa superfluo l’esame della correttezza della motivazione circa la disponibilita’, da parte del ricorrente, delle quote dei beni immobili intestati alla moglie ed alla sorella. Saranno eventualmente queste ultime a far valere le loro ragioni mediante incidente di esecuzione.
4. Manifestamente infondate o diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ sono le censure formulate nel ricorso di (OMISSIS).
4.1. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ sono le censure formulate nei primi tre motivi di ricorso, nonche’ nei motivi nuovi, e che contestano l’affermazione della responsabilita’ penale nella parte relativa al contributo concorsuale ed all’elemento psicologico, deducendo, in particolare, che gli elementi addotti in ordine alla consapevolezza, nel ricorrente, della falsita’ delle fatture, sono in realta’ indicativi della partecipazione del medesimo allo svolgimento dell’ordinaria attivita’ aziendale e del totale affidamento alle decisioni di (OMISSIS).
4.1.1. Nella sentenza impugnata, si premette che (OMISSIS) era il responsabile amministrativo e contabile della ” (OMISSIS) s.r.l.”, ed era strettamente legato sia ad (OMISSIS), tanto da essere amministratore di altre due aziende di questo, la ” (OMISSIS)” e la ” (OMISSIS)”, sia a (OMISSIS), il commercialista autore materiale delle fraudolente dichiarazioni fiscali oggetto di contestazione.
Si osserva, poi, che il “contributo logistico e fattuale garantito dall’imputato nella predisposizione della documentazione contraffatta destinata a supportare le fittizie appostazioni contabili nelle relative dichiarazioni” fiscali e la consapevolezza del medesimo del significato delle sue condotte emerge, oltre che dalla sua specifica posizione funzionale, dal contenuto di plurime conversazioni intercettate. In particolare, si richiamano: a) le conversazioni n. 4 e 211, intercorse tra il ricorrente ed il coimputato (OMISSIS), nel corso delle quali i due ammettono la necessita’ di “giustificare che la merce sta qua nel capannone, (…) che ci stanno tutti questi movimenti e tutto il resto”, e parlano di contratti da sottoscrivere e “far passare”; b) la conversazione n. 288, intercorsa tra il ricorrente ed il presidente del collegio sindacale della ” (OMISSIS) s.r.l.”, nel corso della quale il primo manifesta preoccupazione per i possibili risvolti, anche di natura “penale”, degli accertamenti della Guardia di Finanza, e concorda le modalita’ di redazione dei verbali assembleari, ferma restando la necessita’ di acquisire indicazioni da (OMISSIS); c) la conversazione n. 396, intercorsa tra il ricorrente ed un’impiegata, la quale riferisce delle preoccupazioni insorte nello studio del presidente del collegio sindacale della (OMISSIS) dopo la richiesta di atti da parte della Guardia di Finanza; d) la conversazione n. 647, intercorsa tra il ricorrente ed un’impiegata della ” (OMISSIS) s.r.l.”, nel corso della quale il primo invita la seconda ad effettuare “aggiustamenti” di cassa per far risultare il saldo “coerente”.
Si rappresenta, ancora, che la conversazione n. 1192, segnalata dalla difesa, nel corso della quale il ricorrente discute con (OMISSIS) di una fattura recante l’importo di 120.000,00 Euro, non e’ indicativa della buona fede del primo in ordine al mendace contenuto delle fatture: la richiesta di chiarimenti si spiega perche’ il documento contabile oggetto di discussione e’ emesso da un soggetto diverso dalle “solite” ditte “cinesi” con sede in Italia, ed ha ad oggetto un’operazione fisicamente realizzata all’estero, dichiaratamente diretta a simulare l’acquisto di capi di abbigliamento in luogo di “tessuti”.
Si conclude, sulla base di questi elementi, che (OMISSIS), nell’esercizio delle funzioni di responsabile amministrativo e contabile della ” (OMISSIS) s.r.l.”, ha contribuito alla realizzazione del disegno criminoso, operando in stretta collaborazione con (OMISSIS), autore materiale delle dichiarazioni fiscali mendaci, in diretta interlocuzione con i componenti del collegio sindacale per la “sistemazione” della documentazione societaria, ed impartendo “istruzioni (…) al personale per i necessari aggiustamenti contabili”.
4.1.2. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi logici e giuridici.
In particolare, le stesse si fondano su di una motivazione che evidenzia elementi specifici, e sostanzialmente non contestati nella loro ontologica verificazione, dai quali inferisce, in forza di criteri di inferenza accettabili, la piena consapevolezza del ricorrente in ordine alla inesistenza delle operazioni documentate nelle fatture utilizzate per predisporre le dichiarazioni fiscali da lui medesimo materialmente sottoscritte. Ne’ puo’ dirsi che risulta trascurato l’elemento segnalato dalla difesa come indicativo della buona fede del ricorrente: di tale elemento, la sentenza fornisce motivata spiegazione per escluderne ogni valenza favorevole all’imputato.
Si puo’ aggiungere, poi, anche in riferimento al sindacato sulla responsabilita’ di (OMISSIS), che la correttezza della motivazione della Corte d’appello puo’ essere ulteriormente apprezzata in considerazione del contesto complessivo delle condotte illecite, caratterizzato dal lunghissimo periodo di tempo interessato dalle pratiche delittuose, e dalla impressionante entita’ degli importi coperti da documentazione mendace nonche’ riportati nelle dichiarazioni.
4.2. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ o comunque manifestamente infondate sono le censure formulate nel quarto motivo del ricorso, e che contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione del trattamento sanzionatorio.
Si e’ gia’ evidenziato, in precedenza, al § 2.1. e al § 3.3., quali sono i principi giuridici condivisi in giurisprudenza per il diniego delle circostanze attenuanti generiche e per la determinazione della pena.
La sentenza impugnata ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche a (OMISSIS) osservando che non e’ emerso alcun elemento favorevole dall’istruttoria dibattimentale, e che, invece, occorre tener conto della gravita’ della condotta in contestazione, caratterizzata da plurime violazioni della legge tributaria, prolungate nel tempo e per importi di considerevole rilievo patrimoniale. Ha poi applicato al ricorrente la pena finale di un anno e quattro mesi di reclusione, cosi’ determinandola: la pena base e’ stata fissata in un anno e due mesi di reclusione per il reato commesso nel 2010, in quanto piu’ grave; la medesima pena base e’ stata poi aumentata di cinque mesi di reclusione per ciascuna delle altre due annualita’, e, infine, diminuita di un terzo per il rito abbreviato. La misura della pena, anche con riferimento agli aumenti, e’ stata espressamente commisurata alla gravita’ dei fatti in contestazione, al contributo fornito dal ricorrente alla commissione degli illeciti ed alla intensita’ del dolo.
Le argomentazioni addotte nella motivazione della sentenza impugnata sono sicuramente esaustive, specie in considerazione della lunga ed ininterrotta protrazione temporale delle condotte illecite e della gravita’ dei singoli reati. Non va trascurato, inoltre, che la pena base e’ stata calcolata in misura addirittura inferiore al minimo edittale, quest’ultimo essendo pari ad un anno e sei mesi di reclusione, e che gli aumenti per la continuazione, pur se complessivamente considerati, sono nettamente inferiori alla pena base.
4.3. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel quinto motivo di ricorso che contestano l’applicazione della confisca, disposta con riferimento ad un motociclo del valore di 2.000 Euro, e ad una vettura del valore di 5.800 Euro, in ragione del mancato conseguimento di qualunque profitto da parte del ricorrente.
Invero, si puo’ rinviare, sul punto, a quanto gia’ evidenziato in precedenza, al § 2.3., e, quindi, all’elaborazione della giurisprudenza, secondo la quale: -) la confisca di valore nei confronti del legale rappresentante di una persona giuridica deve essere disposta per il solo fatto che non sia possibile eseguire quella, diretta, del profitto di reato nei confronti dell’ente, in quanto l’ablazione, per la sua natura sanzionatoria, trova fondamento nella mera realizzazione del fatto di reato in cui si sostanzia la condotta della persona fisica realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente; -) e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale di tale disciplina, in riferimento agli articoli 3 e 27 Cost..
5. Manifestamente infondate o diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ sono le censure formulate nel ricorso di (OMISSIS).
5.1. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ o comunque manifestamente infondate sono le censure esposte nei primi tre motivi di ricorso, nonche’ nei motivi nuovi, e che contestano l’affermazione della responsabilita’ penale nella parte relativa al contributo concorsuale ed all’elemento psicologico, deducendo, in particolare, che i dati richiamati come indicativi della consapevolezza, nel ricorrente, della falsita’ delle fatture attengono all’ordinario esercizio dell’attivita’ professionale, che sono stati trascurati importanti elementi favorevoli al medesimo, come il profilo dimensionale ed internazionale delle operazioni e l’estraneita’ di (OMISSIS) alle stesse, che le irregolarita’ contabili e fiscali sono emerse solo nel 2011, e che conversazioni intercettate non hanno alcun valore indiziante.
5.1.1. Ai fini dell’esame delle censure proposte, e’ utile premettere che il commercialista di una societa’ puo’ concorrere nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, agendo a titolo di dolo eventuale.
Innanzitutto, non risulta, almeno in giurisprudenza, alcuna controversia circa la configurabilita’ del concorso del commercialista con il contribuente ne’, in generale, nei reati previsti dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ne’, piu’ in particolare, nei reati connessi a dichiarazioni. Invero, sin dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, si e’ affermato che il commercialista puo’ concorrere, ex articolo 110 c.p., nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, con l’emittente di queste ultime (Sez. 3, n. 28341 del 01/06/2001, Torturo, Rv. 219679-01). Lo stesso principio, inoltre, e’ stato affermato di recente in relazione al reato di indebita compensazione di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-quater (Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017, dep. 2018, Addonizio, Rv. 272713-01). Piu’ volte, inoltre, sono stati dichiarati inammissibili o rigettati ricorsi avverso decisioni di condanna del commercialista di una societa’ per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, quale concorrente con il legale rappresentante dell’ente (cfr., ad esempio, Sez. 3, n. 39873 del 16/04/2013, Proserpi, non massimata, citata dalla sentenza impugnata, nonche’, di recente, Sez. 3, n. 7384 del 27/02/2018, dep. 2019, Di Carlo ed altri, non massimata).
Per quanto concerne l’individuazione delle modalita’ di partecipazione concorsuale rilevanti ex articolo 110 c.p., poi, e’ sufficiente rilevare che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il contributo causale del concorrente puo’ manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale, fermo restando l’obbligo del giudice di merito di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalita’ efficiente con le attivita’ poste in essere dagli altri concorrenti (cfr., per un precedente in tema di concorso materiale, Sez. 4, n. 1236 del 16/11/2017, dep. 2018, Raduano, Rv. 271755-01, nonche’, per precedenti in tema di concorso morale, Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101-01, e Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro, Rv. 262310-01).
Relativamente al profilo della colpevolezza, e’ incontestato, e condivisibile, l’indirizzo secondo cui il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 2, e’ compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’IVA (cosi’, in particolare, Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, B., Rv. 274104-01, e Sez. 3, n. 30492 del 23/06/2015, Damiani, Rv. 264395-01).
5.1.2. La sentenza impugnata afferma l’attribuibilita’ a (OMISSIS) dei fatti di reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, commessi tra il 2005 ed il 2011, con riferimento alle dichiarazioni presentate per gli anni 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010, sulla base di una pluralita’ di elementi.
Si rappresenta, in primo luogo, che il ricorrente: a) era il consulente fiscale della ” (OMISSIS) s.r.l.” e di tutte le societa’ facenti capo alla famiglia di (OMISSIS), alcune delle quali avevano anche sede presso il suo studio; b) era preposto alla cura dei rapporti dei componenti della famiglia (OMISSIS) con le societa’ fiduciarie (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a.; c) ha rappresentato le due societa’ in alcune assemblee della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”; d) curava, unitamente a (OMISSIS), la predisposizione dei bilanci di esercizio della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”; e) disponeva di un “accesso diretto in remoto al sistema informatico della societa’” per “ottenere dei report contabili periodici”.
Si segnala, poi, che il ricorrente era a conoscenza di plurime anomalie concernenti la contabilita’ della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.” sin dal 2005, in quanto evidenziate da accertamenti della Guardia di Finanza. Si precisa, in particolare, che: -) gli indicati accertamenti erano culminati in un sequestro, effettuato il 14 dicembre 2005, concernente n. 71 fatture di acquisto della ” (OMISSIS) s.r.l.” proprio per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, ipotizzato per gli anni dal 2003 al 2005 in relazione ad operazioni inesistenti per un valore complessivo superiore a 17.000.000,00 di Euro; -) le fatture in questione erano state emesse da societa’ – come la ” (OMISSIS) sas di (OMISSIS)”, la ” (OMISSIS) s.r.l.”, la ” (OMISSIS) s.a.s.”, e la ” (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS)” – le quali poi risultano emittenti di ulteriori false fatture, per svariati milioni di Euro, utilizzate nelle dichiarazioni presentate tra il 2007 ed il 2011 dall’impresa gestita da (OMISSIS) e contestate nel processo in esame; -) (OMISSIS) gia’ nel 2005 era consulente fiscale della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”, ha utilizzato, nella dichiarazione presentata nel 2006, le fatture sequestrate e relative all’anno 2005, ed ha dichiarato di aver seguito il successivo contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, ricevendo la materiale disponibilita’ delle copie di tali documenti contabili e degli assegni di pagamento.
Si osserva, quindi, che il ricorrente era da ritenersi perfettamente a conoscenza sia dell’omessa istituzione e tenuta della contabilita’ di magazzino, sia dell’irregolare tenuta del registro degli inventari, anche perche’ queste gravi violazioni erano periodicamente segnalate dal collegio sindacale, con il quale egli era in continuo contatto ed al quale forniva documentazione.
Si rileva, ancora, che numerose conversazioni telefoniche intercettate confermano la consapevolezza ed il coinvolgimento del ricorrente in ordine alla pratiche illecite. Si richiamano: a) le conversazioni n. 4 e 211, intercorse tra il ricorrente ed il coimputato (OMISSIS), nel corso delle quali i due ammettono la necessita’ di “giustificare che la merce sta qua nel capannone, (…) che ci stanno tutti questi movimenti e tutto il resto”, e parlano di contratti da sottoscrivere e “far passare”; b) la conversazione n. 288, intercorsa tra (OMISSIS) ed il presidente del collegio sindacale della ” (OMISSIS) s.r.l.”, nel corso della quale il primo manifesta preoccupazione per i possibili risvolti, anche di natura “penale”, degli accertamenti della Guardia di Finanza, e concorda le modalita’ di redazione dei verbali assembleari, ferma restando la necessita’ di acquisire indicazioni in proposito da (OMISSIS); c) la conversazione n. 396, intercorsa tra (OMISSIS) ed un’impiegata, la quale riferisce delle preoccupazioni insorte nello studio del presidente del collegio sindacale della (OMISSIS) dopo la richiesta di atti da parte della Guardia di Finanza, e della necessita’ di acquisire documentazione presso lo studio di (OMISSIS).
Si aggiunge, infine, che il ricorrente, come da lui stesso ammesso, ha predisposto ed inoltrato la dichiarazione fiscale relativa all’anno 2010 utilizzando fatture per operazioni inesistenti concernenti elementi passivi fittizi pari a 36.601.823,91 Euro (con IVA indebitamente detratta pari a 7.320.364,78 Euro) ancora nell’ottobre 2011, sebbene “le conclamate modalita’ truffaldine di gestione contabile della societa’ erano state acclarate, certificate e comunicate dalla Guardia di Finanza attraverso la verifica fiscale del luglio 2011”.
5.1.3. Le conclusioni della sentenza impugnata, anche in ordine alla sussistenza del contributo concorsuale e della colpevolezza, sono immuni da vizi logici e giuridici.
Tenendo conto dei principi precedentemente richiamati, e dell’incontestata sussistenza dei fatti ritenuti accertati dalla Corte d’appello, puo’ rilevarsi, in primo luogo, che, sotto il profilo materiale, il contributo causale del ricorrente alla commissione dei reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 e’ correttamente individuato gia’ nelle azioni costituite dalla predisposizione e dall’inoltro delle dichiarazioni fiscali contenenti l’indicazione di elementi passivi fittizi supportati da fatture per operazioni inesistenti, trattandosi di condotte di sicura agevolazione materiale. Inoltre, un’ulteriore forma di contributo causale, rilevante se non altro come rafforzamento dell’altrui proposito criminoso, e’ correttamente individuata nella complessiva attivita’ di supporto per la “sistemazione” documentale di gravi violazioni contabili: la preoccupazione di “giustificare che la merce sta qua nel capannone, (…) che ci stanno tutti questi movimenti e tutto il resto”, o l’attivazione nel predisporre e “far passare” contratti, risultanti dalle conversazioni n. 4 e n. 211 intercorse con il coimputato (OMISSIS), risultano obiettivamente funzionali a supportare e rendere attendibili le fatture mendaci registrate in contabilita’ ed utilizzate per le dichiarazioni.
Per quanto riguarda la colpevolezza, molteplici sono gli indizi correttamente valorizzati per evidenziare la sussistenza del dolo, quanto meno eventuale. In particolare, di notevolissima forza logica sono gli indizi desumibili, in riferimento a tutte le dichiarazioni fiscali, dalla consapevolezza, da parte del ricorrente, quale consulente contabile della ” (OMISSIS) s.r.l.”, degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza nel 2005 in ordine alle fatture emesse negli anni tra il 2003 ed il 2005 da quelle stesse ditte a cui sono riferibili plurime fatture, e per cospicui importi, negli anni dal 2007 al 2011, e, poi, con specifico riferimento alla dichiarazione presentata nel settembre/ottobre 2011, dalla consapevolezza, del medesimo ricorrente, anche degli ulteriori accertamenti compiuti, sempre dalla Guardia di Finanza, nel luglio del 2011. Non va trascurato, inoltre, che gli indizi evidenziati dalla Corte d’appello oltre ad essere molteplici e pienamente convergenti, sono desumibili da differenti fonti di prova. Ancora, le circostanze addotte nel ricorso per contestare la correttezza delle conclusioni della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza del dolo non si confrontano compiutamente con gli elementi da questa richiamati e, piuttosto che evidenziare vizi logici o giuridici, si pongono, al piu’, come argomenti propedeutici ad una richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimita’.
5.2. Diverse da quelle consentite in sede di legittimita’ o comunque manifestamente infondate sono le censure formulate nel quarto motivo del ricorso, e che contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione del trattamento sanzionatorio.
Si e’ gia’ evidenziato, in precedenza, al § 2.1. e al § 3.3., quali sono i principi giuridici condivisi in giurisprudenza per il diniego delle circostanze attenuanti generiche e per la determinazione della pena.
La sentenza impugnata ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche a (OMISSIS) osservando che non e’ emerso alcun elemento favorevole dall’istruttoria dibattimentale, e che invece, occorre tener conto della gravita’ della condotta in contestazione, caratterizzata da plurime violazioni della legge tributaria, prolungate nel tempo e per importi di considerevole rilievo patrimoniale. Ha poi applicato al ricorrente la pena finale di un anno e dieci mesi di reclusione, cosi’ determinandola: la pena base e’ stata fissata in un anno e undici mesi di reclusione per il reato commesso nel 2010, in quanto piu’ grave; la medesima pena base e’ stata poi aumentata di cinque mesi di reclusione per ciascuna delle altre due annualita’, e, infine, diminuita di un terzo per il rito abbreviato. La misura della pena, anche con riferimento agli aumenti, e’ stata espressamente commisurata alla gravita’ dei fatti in contestazione, al contributo fornito dal ricorrente alla commissione degli illeciti ed alla intensita’ del dolo.
Le argomentazioni addotte nella motivazione della sentenza impugnata sono sicuramente esaustive, specie in considerazione della lunga ed ininterrotta protrazione temporale delle condotte illecite e della gravita’ dei singoli reati. Non va trascurato, inoltre, che la pena base e’ stata calcolata in misura nettamente inferiore alla media edittale, anzi molto prossima al minimo edittale, quest’ultimo essendo pari ad un anno e sei mesi di reclusione, e che gli aumenti per la continuazione, anche complessivamente considerati, sono nettamente inferiori alla meta’ della pena base.
5.3. In parte manifestamente infondate e in parte non sorrette da un interesse giuridicamente apprezzabile sono le censure esposte nel quinto motivo di ricorso, e che contestano l’applicazione della confisca, disposta con riferimento a due immobili siti in (OMISSIS), per l’intero, e ad altri due immobili, anch’essi ubicati in (OMISSIS), per la quota del 50 %, in ragione del mancato conseguimento di qualunque profitto da parte del ricorrente e della comproprieta’ di alcuni beni con il fratello.
Invero, per quanto attiene al profilo dell’asserito mancato conseguimento di profitti da parte del ricorrente, e’ sufficiente rinviare a quanto gia’ evidenziato in precedenza, al § 2.3., e, quindi, all’elaborazione della giurisprudenza, secondo la quale: -) la confisca di valore nei confronti del legale rappresentante di una persona giuridica deve essere disposta per il solo fatto che non sia possibile eseguire quella, diretta, del profitto di reato nei confronti dell’ente, in quanto l’ablazione, per la sua natura sanzionatoria, trova fondamento nella mera realizzazione del fatto di reato in cui si sostanzia la condotta della persona fisica realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente; -) e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale di tale disciplina, in riferimento agli articoli 3 e 27 Cost..
Per quanto concerne, poi, l’asserita non riferibilita’ di parte dei diritti confiscati al ricorrente, si e’ rilevato in precedenza, al § 3.4., che e’ inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso proposto avverso la confisca di un bene da parte dell’imputato del reato in riferimento al quale la confisca viene disposta, che non sia, ne’ assuma di essere titolare o gestore del bene stesso.
6. Alla dichiarazione di inammissibilita’ dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche’ di ciascuno di essi singolarmente – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro duemila, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.

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