Circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p.

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 15 gennaio 2019, n. 1680.

La massima estrapolata:

Ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p. e dunque del riconoscimento dell’importanza, non solo minore rispetto a quella degli altri, ma addirittura minima, dell’opera di taluno dei concorrenti nel reato, non è sufficiente una valutazione comparativa delle condotte ascritte ai vari agenti ma è necessario, tenendo conto della tipologia del fatto criminoso con le sue componenti soggettive, oggettive ed ambientali, accertare il grado di efficienza causale, sia materiale che psicologico, delle singole condotte rispetto alla produzione dell’evento.

Sentenza 15 gennaio 2019, n. 1680

Data udienza 13 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domeni – Presidente

Dott. VERGA Giovan – Consigliere

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. SGADARI Giusep – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1544/2017 CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA, del 13/12/2017;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/09/2018 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi;
Udito il difensori Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS) quale sost. process. dell’Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) che si riporta ai motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorrono per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria che il 13.12.2017 ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Palmi che il 31.10.2016, all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato di rapina aggravata di cui al capo A) e ai delitti di simulazione di reato e appropriazione indebita di cui ai capi C) e D); (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alle rapine aggravate di cui ai capi H) e I); (OMISSIS) anche per i tentati furti di cui ai capi F) e G), quest’ultimo riqualificato nel reato di cui all’articolo 635 c.p., comma 2; (OMISSIS) anche per il furto di cui al capo E).
(OMISSIS) e (OMISSIS) con un unico ricorso deducono:
1. vizio di motivazione rilevando che la sentenza di condanna emessa a loro carico dalla Corte di Appello di Reggio Calabria appare assolutamente illogica e contraddittoria, oltre che fondata su una valutazione delle prove frazionata, insufficiente ed erronea.
Lamentano che sono stati ritenuti responsabili sulla base di argomentazioni che tengono conto delle sole prove a carico, oltretutto lette in chiave non unitaria, ovvero non nella loro globalita’, ma in modo parcellizzato e teleologicamente preordinato a rinvenire elementi di responsabilita’, senza in alcun modo tener conto degli elementi a discarico.
Assolutamente erronee ed infondate, in fatto e diritto, sono le argomentazioni svolte dal Giudice del gravame in riferimento al reato di cui al capo A) della rubrica, nei confronti di (OMISSIS).
Sostengono che la Corte reggina, attraverso una motivazione meramente apparente, e’ finita con il recepire acriticamente le conclusioni del Giudice di primo grado, senza affrontare in alcun modo il problema della verifica delle contraddizioni logiche che si opponevano alla ricostruzione dei fatti per cui e’ intervenuta condanna, che pur emergevano dal contenuto delle dichiarazioni rilasciate dallo (OMISSIS) in sede di interrogatorio reso al PM il 29 maggio 2015, nonche’ dalle risultanze delle intercettazioni. Lo (OMISSIS) nell’interrogatorio reso al PM, aveva manifestato tutto il proprio pentimento per le condotte poste in essere e, ammesso le proprie responsabilita’ in relazione ai reati di cui ai capi A), F), G), H) della rubrica, escludendo qualsiasi coinvolgimento e responsabilita’ della moglie. Dichiarazioni che sono state ritenute credibili parzialmente con evidente uso distorto e parziale dei criteri di valutazione delle prove ex articolo 192 c.p.p..
Lamentano inoltre che la Corte di Appello non si e’ posta il problema della verifica degli elementi costitutivi del reato, limitandosi a ravvisarne la sussistenza sulla scorta di un automatismo logico secondo il quale la (OMISSIS) sarebbe responsabile del reato perche’, in qualita’ di moglie dello (OMISSIS), non poteva non conoscere e condividere le scelte e le condotte del marito.
Inoltre la Corte di Appello ha dimostrato di non avere fatto buon uso degli elementi di valutazione della prova (in particolare del colloquio con (OMISSIS) del settembre 2014).
Anche con riferimento ai delitti di cui alle lettere C) e D) dell’imputazione sostengono che la Corte di Appello ha fornito una motivazione meramente apparente nonche’ illogica senza fornire adeguata motivazione a tutte le obiezioni e censure mosse dalla difesa in punto di fatto e di diritto, ma soprattutto valutando in maniera globale e non frazionata gli elementi probatori in atti e ignorando elementi processuali a favore, scegliendo le prove da utilizzare e non dando conto delle ragioni per le quali le altre non fossero meritevoli, nemmeno, di valutazione.
Le indicate censure – relative al travisamento della prova e alla mancata valutazione di prove decisive a discarico – vengono riferite a tutte le contestazioni mosse a carico degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). In particolare con riguardo alla posizione di (OMISSIS) si dolgono del fatto che la Corte d’appello lo considera responsabile della rapina del (OMISSIS) semplicemente sulla base di un automatismo logico secondo il quale le modalita’ di esecuzione della rapina erano simili a quella del (OMISSIS). Rilevano che, come contestato nei motivi d’appello, i fatti di cui al capo H) dovevano essere meglio qualificati come violazione dell’articolo 414 c.p., doglianza che non ha avuto risposta nella sentenza censurata.
Sottolineano come ricorra, secondo la giurisprudenza di legittimita’, il vizio della mancanza, della contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza quando, come nel caso in esame, la stessa risulti inadeguata nel senso di non consentire l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a cio’ che e’ stato oggetto di prova ovvero di impedire, per la sua intrinseca oscurita’ ed incongruenza, il controllo sull’affidabilita’ dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Cass. Sez. 4, 14 gennaio 2010, n. 7651/2010).
2. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e all’entita’ della pena e con riguardo alla (OMISSIS) anche al diniego dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6.
3. Violazione di legge e mancanza di motivazione con riguardo alla condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile.
(OMISSIS) deduce:
1. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al giudizio di responsabilita’. Sostiene che la sentenza impugnata solo apparentemente offre una risposta alle doglianze difensive circa la corretta identificazione dell’imputato nel “(OMISSIS)” di cui alle conversazioni intercettate. Rileva che il numero telefonico (OMISSIS) risulta intestato a (OMISSIS) e non a (OMISSIS). Contesta la valutazione data all’interrogatorio di (OMISSIS) e l’interpretazione data alle conversazioni intercettate.
2. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego dell’attenuante di cui all’articolo 114 c.p. e alle attenuanti generiche.
I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili.
Merita ricordare in primo luogo che “il giudice di merito non e’ tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso, devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata”. In secondo luogo, scartato anche per ragioni semplicemente obiettive e grafiche, che nel caso di specie si versi in una ipotesi di motivazione assente o solo apparente, e’ chiaro che i ricorrenti confutano solo le risposte ed i contenuti della motivazione impugnata che pero’ deve essere valutata nell’ottica di verificare che il giudice abbia indicato con puntualita’, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto sui quali ha fondato la propria decisione e se, quindi, la motivazione presenti vizi logici.
Alla stregua di tali principi deve rilevarsi che la decisione in esame risulta ineccepibile. Essa, infatti, fonda il proprio giudizio di responsabilita’ nei confronti di entrambi gli imputati non solo sul rapporto di coniugio, bensi’ – come percepibile anche in modo palmare fra i ff. 17 e 19 della sentenza impugnata – su molteplici ragioni che portano ad escludere che lo (OMISSIS) possa avere utilizzato informazioni ricevute dalla moglie nella inconsapevolezza della stessa in quanto le circostanze del fatto, cosi’ come riferite dalla (OMISSIS), nonche’ il successivo episodio di simulazione della rapina del dicembre 2014, posto in essere con denunzia della (OMISSIS) e smentito dalle captazioni sull’autovettura della stessa, portavano univocamente nella direzione del coinvolgimento di entrambi i coniugi. Cosi’ come con riguardo ai reati di cui ai capi H) e I) addebitati allo (OMISSIS) in concorso con il (OMISSIS) il ricorrente, reiterando doglianze gia’ espresse in appello, si e’ limitato a censurare profili di carattere meramente valutativo del compendio probatorio, rinnovando contestazioni in punto di ricostruzione del fatto del tutto sovrapponibili a quelle ampiamente scandagliate dai giudici dell’appello e senza considerare le argomentazioni dei giudici di merito che richiamando le conversazioni intercettate hanno dato conto del coinvolgimento del ricorrente nelle rapine in argomento sul presupposto che le captazioni avevano fornito la prova della sua conoscenza della tempistica e delle dinamiche delle rapine commesse con analoghe modalita’ a seguito di coincidente programmazione (fg. 21 sentenza impugnata).
Per un verso, dunque, i ricorsi mirano a sollecitare un non consentito riesame del merito, mentre, sotto altro profilo, non proponendosi una effettiva ed autonoma critica impugnatoria rispetto alla motivazione esibita dai giudici a quibus, finiscono per risultare del tutto aspecifici.
La motivazione offerta dai giudici a quibus in tema di diniego delle attenuanti generiche e di valutazione della congruita’ del trattamento sanzionatorio applicato in prime cure si rivela, poi, del tutto coerente e congrua, a fronte delle doglianze, ancora una volta aspecifiche, dedotte sul punto in sede di ricorso. Cosi’ come corretto e’ il diniego dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6 richiesta dalla (OMISSIS) considerato che la stessa si e’ solo mostrata disponibile al risarcimento del danno attraverso una comunicazione via fax.
I ricorrenti lamentano anche omessa motivazione in ordine alla doglianza avanzata in sede di appello con riguardo alla condanna generica al risarcimento del danno conseguente dal reato. Sul punto deve rilevarsi che non e’ annullabile per difetto di motivazione la sentenza in argomento per il fatto che ha omesso di prendere in esame un motivo di impugnazione che avrebbero dovuto essere dichiarato inammissibile. Sussiste, infatti, un effettivo interesse dell’imputato a dolersi della violazione solo quando l’assunto difensivo posto a fondamento del motivo sia in astratto suscettibile di accoglimento. Nel caso in esame la condanna generica, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacita’ lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilita’ – di un nesso di causalita’ tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando percio’ impregiudicato l’accertamento riservato al giudice civile sulla liquidazione e l’entita’ del danno, ivi compresa la possibilita’ di escludere l’esistenza stessa di un danno eziologicamente collegato all’evento illecito.
Il ricorso di (OMISSIS) e’ palesemente inammissibile in quanto il ricorrente ha proposto doglianze che si riflettono esclusivamente sui criteri di valutazione del materiale indiziario, puntualmente delibato dei giudici del gravame i quali hanno offerto – su tutti i punti della vicenda, ora nuovamente rievocati dal ricorrente – una motivazione del tutto esauriente, contestabile solo proponendo una non consentita lettura alternativa dei fatti. I motivi proposti risultano, pertanto, solo formalmente evocativi dei prospettati vizi di legittimita’, ma in concreto sono articolati esclusivamente sulla base di rilievi in punto di ricostruzione del fatto e delle responsabilita’, tendenti ad una rivalutazione delle relative statuizioni adottate dai giudici di merito. Statuizioni, per di piu’, sviluppate sulla base di un esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti (identificazione del ricorrente, valutazione dell’interrogatorio di (OMISSIS), interpretazione delle risultanze investigative offerte anche dalle intercettazioni) in relazione ai quali il ricorrente ha svolto censure, evidentemente tese ad un improprio riesame del fatto, estraneo al perimetro entro il quale puo’ svolgersi il sindacato riservato a questa Corte. D’altra parte, il (OMISSIS) ha finito per reiterare le stesse questioni di fatto gia’ agitate in sede di appello e motivatamente disattese dai giudici di quel grado, senza che il relativo apporto motivazionale abbia poi formato oggetto di una autonoma ed argomentata critica impugnatoria concentrata su vizi di legittimita’. Il che rende i motivi inammissibili perche’ nella sostanza generici.
Quanto, infine, alla doglianza relativa alla mancata applicazione della attenuante di cui all’articolo 114 c.p., va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente avuto modo di sottolineare come per affermare che l’opera di taluno dei concorrenti nel reato ha avuto una importanza, non solo minore, rispetto a quella degli altri, ma addirittura minima, non basta procedere ad un esame comparativo delle condotte dei vari agenti, ma, attraverso una valutazione della tipologia del fatto criminoso concretizzatosi con le sue componenti soggettive, oggettive ed ambientali, occorre accertare il grado di efficienza causale tanto materiale che psicologico delle singole condotte rispetto alla produzione dell’evento. Infatti, l’attenuante puo’ essere concessa soltanto se la condotta di un partecipe abbia avuto una efficacia eziologica del tutto marginale, tale da poter essere avulsa dalla concatenazione causale senza apprezzabili conseguenze sul risultato conclusivo. Il che evidentemente non ricorre proprio con riferimento alle ipotesi in cui, come nella specie, il contributo causale si sia realizzato attraverso l’apporto di un contributo morale e materiale per la realizzazione e la riuscita del comune programma criminoso.
Cosi’ come la motivazione offerta dai giudici a quibus in tema di diniego delle attenuanti generiche e di valutazione della congruita’ del trattamento sanzionatorio applicato in prime cure si rivela del tutto coerente e congrua, a fronte delle doglianze, ancora una volta aspecifiche, dedotte sul punto in sede di ricorso.
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di 2.000,00 Euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di 2.000,00 Euro in favore della Cassa delle ammende

Avv. Renato D’Isa

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