Chi interviene volontariamente in un processo

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 6 dicembre 2019, n. 31939.

La massima estrapolata:

Chi interviene volontariamente in un processo ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand’anche sia spirato il termine di cui all’art. 183 c.p.c. per la fissazione del “thema decidendum”; né tale interpretazione dell’art. 268 c.p.c. viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio, poiché l’interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre, ove sia già intervenuta la relativa preclusione, nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell’istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare.

Ordinanza 6 dicembre 2019, n. 31939

Data udienza 17 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 24095/2015 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), nella qualita’ di titolare della ” (OMISSIS)”, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1160/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 24/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/10/2019 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

che:
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la prima decisione resa in controversia concernente l’azione risarcitoria e inibitoria per atti di concorrenza sleale proposta da (OMISSIS), quale rivenditore in esclusiva dei prodotti (OMISSIS) per la Regione Calabria, nei confronti di (OMISSIS) SPA, poi incorporata nella (OMISSIS) SPA (di seguito IVM) e la domanda riconvenzionale proposta dalla societa’ per pagamento somme.
Nel corso del giudizio di primo grado era intervenuta la moglie (OMISSIS), nella qualita’ di donataria del ramo di azienda concernente la controversia, che aveva fatto proprie le domande di (OMISSIS). Il Tribunale, ritenuto ammissibile l’intervento, aveva accolto in parte le domande attrici e condannato la IVM al risarcimento dei danni in favore di (OMISSIS), liquidati in via equitativa in Euro 50.000,00 all’attualita’, oltre interessi; aveva altresi’ ordinato alla IVM di praticare a (OMISSIS) prezzi concorrenziali nella fornitura dei prodotti; aveva infine accolto la domanda riconvenzionale e condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle somme richieste dalla societa’, oltre interessi.
L’appello principale proposto da IVM e l’appello incidentale proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano entrambi disattesi.
(OMISSIS) propone ricorso per cassazione con quattro mezzi; replica con controricorso (OMISSIS); e’ rimasto intimato (OMISSIS).

CONSIDERATO

che:
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli articoli 105, 267, 268, 166, 167, 183, 184 e 115 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c., anche sotto il profilo del vizio motivazionale.
La societa’, dopo avere ricordato che la Corte territoriale aveva accolto l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del (OMISSIS) – con pronuncia non impugnata da alcuno – sulla considerazione che la donazione del ramo di azienda alla moglie era avvenuta in epoca anteriore all’introduzione del giudizio di primo grado, si e’ doluta che a suo dire contraddittoriamente – la Corte catanzarese avesse ritenuto ammissibile l’intervento della (OMISSIS), qualificandolo come “intervento adesivo autonomo”.
A parere della ricorrente, innanzi tutto l’intervento in questione non integrava un intervento ad adiuvandum, avendo fatto valere la (OMISSIS) una pretesa giuridica autonoma quale successore a titolo particolare del (OMISSIS) ed effettiva titolare del rapporto dedotto in giudizio, di guisa che non risultavano applicabili ne’ l’articolo 105 c.p.c. – non trattandosi di un terzo -, ne’ l’articolo 111 c.p.c. – essendosi verificata la successione a titolo particolare prima dell’inizio del giudizio.
Quindi, ha sostenuto che, pur volendo qualificare l’intervento come principale, cio’ avrebbe dovuto comportare l’accettazione del processo in status et terminis da parte dell’interventore, non potendo esercitare poteri oramai preclusi, e ne ha tratto la conseguenza che l’intervento principale o litisconsortile – caratterizzati dal fatto che l’interventore propone una domanda nuova – avrebbe potuto essere effettuato utilmente soltanto entro il termine di costituzione del convenuto previsto dall’articolo 166 c.p.c., di guisa che l’intervento della (OMISSIS) doveva essere dichiarato inammissibile perche’ spiegato successivamente allo spirare dei termini di cui agli articoli 183 e 184 c.p.c..
Ancora ha affermato che, anche a voler ritenere condivisibile l’applicazione dei termini fissati dall’articolo 268 c.p.c., comma 2, come fatto dalla Corte territoriale, in nessun caso il terzo interventore avrebbe potuto evitare di incorrere nelle preclusioni istruttorie gia’ maturate in capo alle parti originarie, dovendosi ritenere consentito solo lo svolgimento di attivita’ meramente assertive, con la conseguenza che le domande della (OMISSIS) avrebbero dovuto essere rigettate perche’ non supportate da alcun fondamento probatorio, per esserle preclusa ogni attivita’ istruttoria.
1.2. Il motivo e’ infondato.
1.3. L’articolo 105 c.p.c., che disciplina l’intervento volontario prevede:
“Ciascuno puo’ intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo.
Puo’ altresi’ intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse.”.
Nel caso di specie effettivamente la Corte di appello ha qualificato erroneamente l’intervento della (OMISSIS) come adesivo, giacche’ la stessa aveva agito per far valere un proprio diritto, conseguente alla donazione ricevuta ante causam, e non un interesse: cio’, tuttavia, ferma l’inapplicabilita’ dell’articolo 111 c.p.c., che regola i casi di successione particolare nel diritto verificatisi in corsa di causa – non esclude l’ammissibilita’ dell’intervento volontario ai sensi dell’articolo 105 c.p.c., comma 1.
Invero la legittimazione ad intervenire volontariamente nel processo, ai sensi dell’articolo 105 c.p.c., presuppone la terzieta’ dell’interventore rispetto alle parti, formali e sostanziali, dello stesso (Cass. n. 16665 del 6/7/2017) e tale terzieta’ ricorre nel caso in esame in quanto la (OMISSIS) ha acquisito l’azienda prima dell’instaurazione del giudizio, cosi’ vantando un diritto autonomo sia nei confronti della societa’ che del donante (OMISSIS), parti in causa. Ne consegue che la erronea qualificazione dell’intervento come adesivo non inficia la decisione, che puo’ essere corretta in questi sensi ex articolo 384 c.p.c., u.c..
Pertanto la Corte territoriale ha ben applicato il principio secondo il quale “Chi interviene volontariamente in un processo gia’ pendente ha sempre la facolta’ di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand’anche sia ormai spirato il termine di cui all’articolo 183 c.p.c., per la fissazione del “thema decidendum”; ne’ tale interpretazione dell’articolo 268 c.p.c., viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio: infatti l’interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non puo’ dedurre – ove sia gia’ intervenuta la relativa preclusione -nuove prove e, di conseguenza non vi e’ ne’ il rischio di riapertura dell’istruzione, ne’ quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare.” (Cass. n. 25264 del 16/10/2008).
Cio’ posto in merito alla legittimita’ dell’intervento ed ai limiti conseguenti alla maturazione delle preclusioni istruttorie, che risultano essere stati rispettati nelle fasi di merito alla stregua della sentenza d’appello non impugnata sul punto, se ne deve dedurre indubitabilmente che non ricorre affatto la non corretta applicazione dei principi stabiliti in tema di ripartizione dell’onere probatorio, posto che la causa risulta essere stata decisa sulla base delle fonti di prova che le parti originarie (e quindi la societa’ ricorrente) avevano potuto debitamente contrastare.
2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del principio di “non contestazione” e dei criteri di valutazione delle prove, in relazione agli articoli 115, 116 c.p.c., ed all’articolo 2697 c.c., anche sotto il profilo del vizio motivazionale.
Secondo la ricorrente la Corte di appello, pur avendo dato atto che ne’ l’attore, ne’ l’interventrice avevano provato la sussistenza tra le parti di un contratto di concessione di vendita in esclusiva per il territorio della Regione calabra, avrebbe ritenuto appurata l’esistenza di tale contratto in considerazione del solo fatto che la societa’ non aveva mai specificamente contestato in primo grado la sussistenza di detto rapporto, ma solo in secondo grado.
La ricorrente, nel criticare tale statuizione sostiene di avere affermato ben altro nella comparsa di costituzione in primo grado e di avere articolato prove istruttorie volte a contrastare tale prospettazione e si duole dell’interpretazione della Corte territoriale.
La doglianza e’ proposta anche con riferimento alla statuizione della Corte d’appello secondo la quale anche la contestazione circa il carattere fisiologico dell’aumento dei prezzi (addebitato quale comportamento integrante concorrenza sleale) era stata dedotta per la prima volta in appello e, quindi, non tempestivamente.
Denuncia, quindi, l’inapplicabilita’ al giudizio, introdotto con atto di citazione notificato il 28/6/2002, dell’articolo 115 c.p.c., nella sua attuale formulazione e si duole che il giudice del gravame non abbia comunque sottoposto ad un attento controllo probatorio il fatto ritenuto non contestato.
2.2. Il motivo e’ infondato.
2.3. Innanzi va osservato che trova applicazione nel caso di specie il principio di non contestazione, gia’ elaborato dalla giurisprudenza di legittimita’ a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 761 del 23/2/2002, secondo il quale “Il convenuto, ai sensi dell’articolo 167 c.p.c., e’ tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’articolo 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessita’ di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la “sussistenza dei presupposti di legge” per l’accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica” (Cass. n. 19896 del 6/10/2015; cfr. anche Cass. n. 27596 del 20/11/2008; Cass. n. 26624 del 22/10/2018).
Va quindi rimarcato che la decisione in esame ha ravvisato la sussistenza del contratto di concessione di vendita in esclusiva non tanto perche’ non e’ stato specificamente e tempestivamente contestato dalla societa’ che il (OMISSIS), in costanza del rapporto di agenzia, avesse svolto anche l’attivita’ di vendita dei prodotti (OMISSIS) con diritto di esclusiva su tutto il territorio calabro, ma perche’ ha valorizzato sul piano logico la circostanza emersa dalla circolare con cui la (OMISSIS) aveva comunicato alla sua clientela che il (OMISSIS), una volta cessato il rapporto di agenzia, “avrebbe continuato la sua collaborazione “in forma piu’ limitata in qualita’ di rivenditore per la citta’ di Lamezia Terme e paesi confinanti”” (fol. 5 della sent. imp.), desumendone a contrario la pregressa piu’ ampia collaborazione nei termini prospettati dal (OMISSIS) stesso, sia pure con un’interpretazione che la ricorrente non condivide e di cui, sostanzialmente ed inammissibilmente, sollecita il riesame in sede di legittimita’ senza tuttavia indicare alcun fatto decisivo di cui sia stato omesso l’esame.
Infine, contrariamente a quanto assume la ricorrente (fol. 20/21 del ricorso), il passo della comparsa di costituzione trascritto conferma, e non smentisce, le conclusioni della Corte territoriale, atteso che verte unicamente sulla cessazione del contratto di agenzia e sulla presunto accordo raggiunto con il (OMISSIS) in ordine alla futura attivita’ da svolgere come rivenditore in (OMISSIS), cosi’ come a quest’ultima fanno riferimento i capi di prova articolati e trascritti, senza che sia riscontrabile alcuna contestazione esplicita e capi di prova specifici in merito alla pregressa sussistenza o meno del contratto di concessione di vendita in esclusiva per l’intera Regione, pur posto dal (OMISSIS), e poi dalla (OMISSIS), a fondamento della domanda.
Con riferimento all’esistenza di un comportamento illecito di concorrenza sleale, riferito ai prezzi praticati dalla societa’ al (OMISSIS) (fol. 25 e ss. del ricorso), quanto dedotto nel motivo non supporta la tesi sostenta dalla ricorrente e dimostra di non cogliere la ratio decidendi: dalla trascrizione della comparsa di costituzione si evince che la societa’ sostenne di avere “ridimensionato” i prezzi di vendita “riallineandoli ai propri costi e ricavi secondo razionalita’” (fol. 26 del ricorso) e non per ragioni di tipo fisiologico e per libera scelta imprenditoriale, come prospettato in sede di gravame, e che le prove testimoniali articolate in merito concernevano solo la circostanza dell’indiscusso aumento dei prezzi praticati al (OMISSIS).
A cio’ va aggiunto che la Corte di appello, prescindendo dalla novita’ del motivo relativo al carattere fisiologico dell’aumento, ha comunque valutato nel merito le deduzioni difensive della societa’ e si e’ soffermata sul fatto che in primo grado erano state ritenute pretestuose le giustificazioni addotte all’aumento dei prezzi di listino per il (OMISSIS) valorizzando il fatto che l’incremento era stato attuato in stretta connessione temporale con la cessazione del contratto di agenzia e che le condotte unitariamente considerate erano volte a ridurre l’area di intervento del (OMISSIS) e a creare un terreno piu’ favorevole al nuovo agente, senza che su tale giudizio fosse stata mossa alcune censura, e tale ratio che non viene attaccata.
3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli articoli 1453 e 2598 c.c., anche sotto il profilo del vizio motivazionale.
La ricorrente sostiene che la Corte territoriale, pur avendo ravvisto l’esistenza di un rapporto contrattuale tra le parti, abbia poi individuato nei comportamenti sub a), b) e c) violazioni di natura extracontrattuale e li abbia ricondotti nell’ambito dell’articolo 2598 c.c., invece di inquadrarli nell’ambito della responsabilita’ contrattuale, quali fattispecie di inadempimento del preteso contratto di concessione di vendita in essere tra le parti.
3.2. Il motivo e’ inammissibile.
3.3. Fermo il principio secondo il quale, qualora siano prospettate nel ricorso per cassazione questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilita’ della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtu’ del principio di specificita’, anche indicare con puntualita’ in quale atto del giudizio precedente cio’ sia avvenuto e con quali specifiche ragioni ivi poste a sostegno, giacche’ i motivi di ricorso devono investire questioni gia’ comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimita’, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito ne’ rilevabili di ufficio (Cass. n. 15430 del 13/06/2018; Cass. n. 20694 del 09/08/2018), va osservato che le questioni qui introdotte appaiono nuove alla stregua della sentenza, ove il motivo di appello relativo alle accertate condotte di concorrenza sleale risulta respinto perche’ formulato in termini generici ed apodittici – senza che tale statuizione sia stata impugnata con il ricorso per cassazione -, nonche’ alla stregua del ricorso che non illustra quando ed in che termini la questione sia stata tempestivamente posta nelle fasi di merito del giudizio.
4.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2043, 2056, 2600 e 2697 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c., anche sotto il profilo del vizio motivazionale, in merito alla liquidazione del danno.
La ricorrente sostiene che la Corte catanzarese si era limitata a confermare la prima decisione con motivazione apodittica e sostiene che nel caso in esame i due presupposti richiesti affinche’ il giudice potesse procedere alla liquidazione equitativa del danno, e cioe’ la certezza sull’esistenza del danno (an) e l’incertezza non eliminabile sul quantum, non ricorrevano.
4.2. Il motivo e’ inammissibile.
4.3. L’inammissibilita’ consegue anche al fatto che la censura non coglie la ratio decidendi fondata sull’inammissibilita’ del relativo motivo di appello (il terzo) perche’ generico.
5. In conclusione il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo e secondo ed inammissibili i motivi terzo e quarto.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo a favore della parte costituita.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, infondati i motivi primo e secondo ed inammissibili gli altri;
– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ in favore di (OMISSIS) che liquida in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00, per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
– Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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