Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 gennaio 2025| n. 1479.
Cessione azienda unitarietà funzionale non forma contratto
Massima: La qualificazione di un atto come cessione d’azienda prescinde dal “nomen juris” utilizzato nel negozio e dalla stessa strutturazione del contratto nella veste formale di cessione parcellizzata di beni, attività e passività d’impresa, dovendosi valutare, invece, in senso funzionale, se nel suo insieme quanto trasferito abbia o meno carattere unitario, avendo ad oggetto il complesso di beni potenzialmente utilizzabili per l’attività produttiva, ossia se l’atto abbia natura di cessione d’azienda in senso sostanziale. Con la conseguenza che assume un peso decisivo l’unitarietà del complesso aziendale oggetto di trasferimento, quale dato immanente, di carattere oggettivo, che attiene ai beni stessi per come strumentalmente organizzati in funzione dell’esercizio dell’attività d’impresa, e senza che abbia rilievo, a tale scopo, il fatto che alcuni “beni” siano esclusi dalla cessione.
Ordinanza|21 gennaio 2025| n. 1479. Cessione azienda unitarietà funzionale non forma contratto
Integrale
Tag/parola chiave: Azienda – Cessione – Qualificazione atto relativo – Accertamento – Criteri – Unitarietà del complesso aziendale oggetto del trasferimento – Rilevanza
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere
Dott. AMATO Cristina – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22452/2019) proposto da:
Ri.Ro. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dall’Avv. (Omissis), con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
– ricorrente –
contro
RI. Srl (P.IVA: (Omissis)), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti En.Fo. e Ma.Ba., nel cui studio in Roma, Vi.Pr., ha eletto domicilio;
– controricorrente –
e
SE. S.G. – So.Di. Spa (C.F.: (Omissis)), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 260/2019, pubblicata il 24 aprile 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.
Cessione azienda unitarietà funzionale non forma contratto
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione notificato il 27 ottobre 2015, Ri.Ro. conveniva, davanti al Tribunale di Trieste, la SE. S.G. Spa e la RI. Srl, al fine di sentire: a) dichiarare che, in difetto di consenso dell’attore promissario acquirente, quale contraente ceduto, l’atto di conferimento in data 28 luglio 2014 non aveva comportato la sostituzione di RI. a SE. nei rapporti derivanti dal contratto preliminare di vendita immobiliare stipulato tra quest’ultima e l’attore l’11 aprile 2011; b) pronunciare la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento imputabile alla promittente venditrice, con la condanna di quest’ultima alla restituzione, in favore del promissario acquirente, della somma corrisposta di Euro 28.800,00 nonché all’integrale risarcimento dei danni patiti e patiendi; c) in subordine, accertare che, a fronte delle inadempienze della promittente venditrice e/o comunque non essendosi verificate le condizioni di cui al verbale di sopralluogo del 13 dicembre 2014, non vi era alcun obbligo per il promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo.
Si costituivano in giudizio separatamente la SE. S.G. Spa e la RI. Srl, le quali contestavano, in fatto e in diritto, la fondatezza delle avversarie domande, di cui chiedevano il rigetto, e – in via riconvenzionale – instavano perché fosse disposta l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di stipulazione del definitivo di vendita assunto con il preliminare, con il pagamento del residuo prezzo dovuto.
In specie, precisavano che le tempistiche di consegna dell’unità immobiliare promessa in vendita erano state perfettamente rispettate, come desumibile dall’invito ad eseguire il sopralluogo di verifica inviato al promissario acquirente il 10 febbraio 2014, rimasto inevaso, e dal successivo esito del sopralluogo effettuato il 13 dicembre 2014, senza che avesse alcun rilievo, nel quadro degli accordi negoziali intercorsi, la realizzazione della Spa, peraltro anch’essa in fase di completamento, trattandosi di elemento estraneo all’oggetto del compromesso.
Deducevano, poi, che – con l’atto di conferimento – non si era realizzata una cessione del contratto, ma una successione nel contratto medesimo per effetto di trasferimento d’azienda.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 871/2017, depositata il 22 dicembre 2017, pronunciava la risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare per inadempimento della promittente venditrice, condannando la stessa alla restituzione, in favore del promissario acquirente, dell’importo di Euro 26.840,00, oltre interessi dalla domanda al saldo, e rigettando ogni altra domanda.
2.- Con separati atti di citazione notificati il 17 marzo 2018 e il 19 marzo 2018, proponevano appello avverso la pronuncia di primo grado la SE. S.G. Spa e la RI. Srl, lamentando: 1) l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione di difetto di legittimazione sostanziale passiva della SE. S.G., avendo la stessa stipulato il preliminare in nome e per conto del Fondo comune d’investimento, il quale avrebbe costituito un patrimonio separato rispetto a quello della società di gestione e un autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici; 2) l’erronea esclusione della riconduzione della promessa di trasferimento dell’immobile nell’ambito di una cessione aziendale dell’intero complesso immobiliare e mobiliare, effettuata da S.G. in favore di RI., a liberazione della quota di aumento del capitale di quest’ultima, e non già ad una cessione parcellizzata di beni e posizioni soggettive, come da perizia di stima redatta a supporto del suddetto conferimento, con la conseguente successione di RI. nei contratti preliminari di vendita in precedenza stipulati da S.G., ai sensi dell’art. 2558 c.c.; 3) l’erroneità del rilievo secondo cui l’atto di conferimento dei beni e diritti in favore di RI. avesse in sé implicato la cessione del contratto preliminare di vendita stipulato con il Ri.Ro. e il conseguente grave inadempimento di S.G.; 4) l’omessa considerazione del fatto che il promissario acquirente si fosse in malafede sottratto agli obblighi assunti con il preliminare di acquisto, rifiutando pretestuosamente l’adempimento legittimamente offertogli da RI., ai sensi dell’art. 1180 c.c., la cui veste di cessionaria dell’immobile sarebbe stata ben conosciuta dal promissario acquirente già al tempo del sopralluogo effettuato per la verifica di eventuali vizi del 13 dicembre 2014, senza che, in base ai predetti accordi, occorresse, al suddetto fine, anche l’ultimazione della Spa condominiale.
Si costituiva nei giudizi di impugnazione Ri.Ro., il quale instava per il rigetto degli appelli e, in via incidentale, chiedeva che la decisione impugnata fosse riformata, nella parte in cui aveva disatteso la domanda risarcitoria proposta, in dipendenza delle inadempienze imputate alla promittente alienante, nella misura di Euro 12.700,57 o in quella diversa ritenuta di giustizia, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Cessione azienda unitarietà funzionale non forma contratto
Previa riunione dei giudizi, decidendo sui gravami interposti, la Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento per quanto di ragione delle impugnazioni principali spiegate e in riforma della pronuncia appellata, rigettava le domande proposte da Ri.Ro. e dichiarava assorbito l’appello incidentale.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, in ordine alla qualificazione giuridica dell’atto di disposizione patrimoniale avvenuto attraverso la stipula dell’atto pubblico del 28 luglio 2014, anche alla stregua dell’univoco significato letterale delle espressioni utilizzate nella perizia di stima redatta ai sensi dell’art. 2465 c.c. e richiamata nello stesso atto pubblico, doveva ritenersi che esso fosse una vera e propria cessione d’azienda, benché nel contratto mancasse l’espresso riferimento al termine “azienda” e non vi fosse una sia pur minima regolamentazione delle minusvalenze o sopravvenienze passive eventualmente derivanti, dopo la stipula, alla conferitaria, stante che il testuale riferimento nel contratto all’insieme dei beni e dei diritti descritti nella perizia di stima era sufficientemente esplicativo della volontà delle parti di procedere al conferimento di beni e diritti nella loro unitarietà e che la regolamentazione suddetta non avrebbe costituito un elemento (legale) necessario ed indispensabile perché si potesse avere una cessione d’azienda; b) che cionondimeno, proprio alla luce della precisa e analitica elencazione dei beni e posizioni soggettive oggetto del conferimento, come contenuta nella perizia di stima, tutti i contratti preliminari di vendita già sottoscritti alla data della stessa perizia, tra cui appunto quello concluso con il Ri.Ro., erano esclusi dal conferimento e, dunque, dal novero dei diritti oggetto di cessione d’azienda, con la conseguenza che nessuna successione si era avuta nella posizione della cedente S.G. da parte della cessionaria RI., a norma dell’art. 2558 c.c.; c) che, per l’effetto, entrambe le domande di esecuzione specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c., non potevano trovare accoglimento, giacché – per un verso – S.G. non era più proprietaria dell’immobile e, pertanto, non avrebbe potuto valersi del preliminare di vendita a suo tempo stipulato con il Ri.Ro. per realizzare gli effetti di un trasferimento non più attuabile e – per altro verso – nessun trasferimento coattivo poteva essere invocato da RI., che era estranea al preliminare di vendita del quale intendeva ottenere l’esecuzione specifica; d) che nessuna cessione del contratto preliminare si era perfezionata dalla S.G. al Fondo, quanto semmai la vendita a quest’ultimo del cespite immobiliare che ne era stato l’oggetto; e) che niente autorizzava il Ri.Ro. a rifiutare il trasferimento spontaneamente offerto da RI., potendo al massimo chiedere che la S.G., comparendo davanti al notaio, intervenisse personalmente nell’atto di vendita per assumere su di sé e garantire il Ri.Ro. da ogni rischio connesso all’intervenuto mutamento della figura del venditore, richiesta, questa, che lo stesso Ri.Ro. non aveva neppure dedotto di avere invano formulato dopo aver saputo che il venditore sarebbe stato la RI.; f) che, infatti, il promissario acquirente avrebbe potuto ricevere l’adempimento da parte di un terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., del quale il primo giudice, in base alle allegazioni espresse in causa, avrebbe potuto fare applicazione anche d’ufficio, in base al principio consacrato nel brocardo iura novit curia, non avendo il Ri.Ro. dedotto alcun preciso interesse a che l’originario debitore eseguisse personalmente la prestazione, se non evocando il rischio nascente da supposte generiche difficoltà finanziarie di RI., che, in ogni caso, avrebbero potuto essere efficacemente superate attraverso l’intervento nell’atto e la garanzia prestata nei termini innanzi espressi da parte di S.G., a meno che tale garanzia non gli fosse stata rifiutata, il che non aveva formato oggetto di alcuna allegazione da parte del Ri.Ro.; g) che il promissario acquirente non poteva utilmente frapporre all’attuazione dei propri obblighi neppure il mancato funzionamento della Spa, trattandosi di una parte condominiale, il cui mancato completamento, secondo gli accordi trasfusi nel contratto preliminare (art. 6, punto 4), non impediva la stipula del contratto definitivo; h) che, d’altra parte, condizionare la stipula del contratto definitivo all’ultimazione della Spa, come pretendeva il Ri.Ro. in base al contenuto del verbale di verifica redatto in contraddittorio con Be.Fl. e Ba.Sa. – i quali lo avevano sottoscritto nell’interesse della stessa S.G. -, significava mutare l’indicata clausola del contratto preliminare, senza però che risultasse provato, da parte dello stesso Ri.Ro., che i suddetti Be.Fl. e Ba.Sa. ne avessero i necessari poteri conferiti per iscritto; i) che, in conseguenza, le domande proposte dal Ri.Ro. dovevano essere respinte, con il conseguente assorbimento dell’appello incidentale in ordine alla liquidazione dei danni pretesi.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, Ri.Ro.
Ha resistito, con controricorso, la RI. Srl
È rimasta intimata la SE. S.G. – So.Di. Spa
4.- Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2558 c.c., in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che l’atto pubblico di conferimento del 28 luglio 2014 racchiudesse una cessione d’azienda e non già una cessione parcellizzata di singoli beni e posizioni soggettive, come aveva invece ritenuto il Tribunale.
Obietta l’istante che proprio la relazione di stima, contenente la valutazione dei beni oggetto di conferimento, avrebbe confermato che oggetto della stima e dunque del conferimento era stata solo ed esclusivamente una (nutritissima) serie di beni immobili costituenti il complesso denominato “(Omissis)” e non già aziende di sorta.
1.1.- Il motivo è infondato.
Nella fattispecie la cessione del 28 luglio 2014 è avvenuta nel contesto di un aumento di capitale mediante offerta in sottoscrizione al socio SE. S.G. delle relative quote, da liberarsi mediante conferimento di beni in natura, conferimento avvenuto a cura di SE. attraverso i beni di cui alla perizia di stima redatta ai sensi dell’art. 2465 c.c., allegata all’atto di conferimento.
Ora, la qualificazione di un atto come cessione d’azienda prescinde dal nomen juris utilizzato nel negozio e dalla stessa strutturazione del contratto nella veste formale di cessione parcellizzata di beni, attività e passività d’impresa, dovendosi valutare, invece, in senso funzionale, se nel suo insieme quanto trasferito abbia o meno carattere unitario, avendo ad oggetto il complesso di beni potenzialmente utilizzabili per l’attività produttiva, ossia se l’atto abbia natura di cessione d’azienda in senso sostanziale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 33486 del 27/12/2018; Sez. 5, Sentenza n. 32085 del 12/12/2018; Sez. 5, Sentenza n. 27290 del 17/11/2017; Sez. 5, Sentenza n. 19752 del 28/08/2013).
Con la conseguenza che assume un peso decisivo l’unitarietà del complesso aziendale oggetto di trasferimento, quale dato immanente, di carattere oggettivo, che attiene ai beni stessi per come strumentalmente organizzati in funzione dell’esercizio dell’attività d’impresa.
E senza che abbia rilievo, a tale scopo, il fatto che alcuni “beni” fossero esclusi dalla cessione (vedi il riferimento ai preliminari di vendita già stipulati).
In adesione a tali precetti, la sentenza impugnata ha accertato che SE. ha trasferito, in qualità di società di gestione del Fondo, la pressoché totalità degli assets aziendali riconducibili a quest’ultimo in favore di una società veicolo, ossia la RI., all’uopo costituita e totalmente partecipata dalla S.G.; e ciò nell’ottica della liquidazione del Fondo stesso, già deliberata dall’assemblea dei quotisti, allo scopo di assicurare la continuità dell’attività d’impresa connessa al complesso di beni ceduti alla conferitaria, che ha, nel prosieguo, seguitato a svolgere tale attività.
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Sicché correttamente la Corte di merito ha qualificato l’atto del 28 luglio 2014 come cessione d’azienda, sulla scorta del riferimento alla richiamata perizia di stima, da cui emergeva che il conferimento si fosse inserito esattamente nella predetta prospettiva liquidatoria del Fondo ed, in connessione a ciò, fosse preordinato ad attuare il trasferimento del patrimonio aziendale complessivo del Fondo stesso.
D’altronde, deve essere altresì confermato l’assunto secondo cui, ai fini della qualificazione giuridica dell’atto, non avesse rilievo la prestazione di una garanzia complessiva per ogni minusvalenza o sopravvenienza passiva, quale dato meramente eventuale delle cessioni d’azienda, anche in ragione della finalità della cessione di specie, volta appunto a consentire il conferimento nella prospettiva della liquidazione e successiva estinzione del Fondo, con la correlata inutilità di tale ipotetica garanzia.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1453 e 1455 c.c., per avere la Corte territoriale escluso che la promittente venditrice dovesse ritenersi definitivamente e gravemente inadempiente, benché, dopo aver stipulato il preliminare di vendita (non trascritto e senza che fosse stata trascritta eventuale domanda ex art. 2932 c.c.), avesse alienato il bene oggetto del preliminare ad un soggetto diverso, che aveva trascritto il proprio acquisto.
Espone l’istante che il riconoscimento, a cura della stessa Corte d’Appello, del venir meno della possibilità di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre – come rivendicata dalle appellanti – avrebbe suffragato la circostanza che la condotta delle odierne intimate – e segnatamente di SE. S.G. – avesse finito per determinare una situazione di paralisi del rapporto, con la conseguente evidente violazione delle obbligazioni assunte con la sottoscrizione dell’accordo preliminare e, dunque, il conclamato inadempimento.
2.1.- Il motivo è infondato.
Nel caso in disputa la sentenza impugnata ha escluso che l’inadempimento della promittente venditrice, consistito nell’alienazione a RI. – nel quadro della richiamata liquidazione del Fondo e della continuità dell’attività d’impresa connessa al complesso di beni ceduti alla conferitaria -, tra gli altri, del cespite oggetto della promessa (sulla natura di inadempimento al preliminare della condotta del promittente alienante che, dopo aver promesso il bene in vendita al promissario compratore, lo venda successivamente ad un terzo, poiché nella volontà espressa dal promittente venditore di trasferire al compratore, tramite il successivo contratto definitivo, la piena ed esclusiva disponibilità della cosa è implicito l’obbligo di non trasferire la stessa cosa ad altri, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7066 del 14/04/2004; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8047 del 21/03/2023; Sez. 2, Sentenza n. 4142 del 10/02/2023), costituisse inadempimento grave ai sensi dell’art. 1455 c.c., idoneo a dar luogo alla risoluzione del preliminare, in ragione dell’offerta del terzo acquirente conferitario di adempiere al preliminare direttamente o, se del caso, retrocedendo il bene a SE. (analogamente Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 236 del 07/01/2025).
Tanto più che il trasferimento del cespite promesso in vendita al Ri.Ro. si è perfezionato nell’ambito di una più complessa operazione negoziale di cessione d’azienda, volta a realizzare il programma di liquidazione del Fondo costituito, con l’attribuzione a società appositamente costituita della proprietà dei cespiti, sempre nella prospettiva di portare a compimento il programma di definitiva alienazione delle unità immobiliari del complesso “(Omissis)” in favore dei promissari acquirenti (e non già per eluderne gli impegni assunti).
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In tal senso nella perizia di stima allegata al conferimento è stato previsto che i preliminari di vendita già stipulati da SE. non si trasferissero alla conferitaria RI..
Ora, in tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene (fattispecie a cui deve essere equiparata quella di specie in cui, pur appartenendo la cosa al promittente venditore, all’epoca della stipula del preliminare, essa sia stata alienata a terzi prima della stipula del definitivo, con la successiva offerta del terzo di adempiere), anche nel caso di buona fede dell’altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l’acquisto del promissario direttamente dall’effettivo proprietario.
Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all’atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest’ultimo a trasferirgliela (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28856 del 19/10/2021; Sez. 2, Sentenza n. 787 del 16/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 4164 del 02/03/2015; Sez. 2, Sentenza n. 17923 del 23/08/2007; Sez. U, Sentenza n. 11624 del 18/05/2006).
E tale concreta disponibilità a trasferire il cespite, in favore del promissario acquirente, è stata direttamente manifestata dalla cessionaria d’azienda, con la correlata permanenza del diritto del Ri.Ro. a conseguire la proprietà del cespite.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., sotto il profilo dell’inammissibilità della mutatio libelli ravvisabile nella memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. di RI. Srl e dell’omessa pronuncia sulla relativa eccezione, per avere la Corte distrettuale reputato rilevabile d’ufficio, in presenza di eccezione di parte tardivamente proposta, la possibilità di dare esecuzione al contratto preliminare di vendita mediante adempimento del terzo ex art. 1180 c.c.
Osserva l’istante che, nel corpo della comparsa di risposta depositata da RI. nel giudizio di primo grado, sarebbero state formulate varie eccezioni e difese nonché una domanda riconvenzionale, nessuna delle quali però avrebbe riguardato, in alcun modo, un’eventuale ipotesi di adempimento del terzo, mentre solo con la prima memoria integrativa del thema decidendum la disponibilità di RI. ad adempiere al preliminare sarebbe stata ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 1180 c.c., ove si fosse ritenuto che il contratto preliminare dell’11 aprile 2011 fosse rimasto nella titolarità di SE. S.G., in quanto escluso dagli effetti del conferimento del 28 luglio 2014.
Sicché tale ipotizzato adempimento del terzo, quale atto libero, spontaneo e unilaterale, compiuto nella consapevolezza di adempiere un debito altrui, ma anche con la volontà di pervenire a questo risultato, vale a dire con l’animus solvendi, sarebbe stato dedotto tardivamente solo con la memoria integrativa, come prontamente eccepito dall’attore nella memoria successiva.
Il che avrebbe integrato un’ipotesi di domanda nuova tardivamente proposta, con la violazione delle preclusioni assertive soggetta a rilievo d’ufficio, poiché la successiva attribuzione ad un soggetto, inizialmente qualificatosi come parte contrattualmente obbligata all’adempimento, della figura di terzo adempiente, senza esservi tenuto, avrebbe comportato, attraverso la prospettazione di nuove circostanze, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, con l’alterazione dell’oggetto sostanziale dell’azione e dei termini della controversia.
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3.1.- Il motivo è infondato.
Non è stata, infatti, integrata alcuna mutatio libelli.
Sul punto si rileva che, sin dall’atto di costituzione nel giudizio di prime cure, la RI. – quale cessionaria d’azienda e, quindi, tra l’altro, dell’immobile oggetto della promessa – ha chiesto che, preso atto della sua volontà di adempiere al preliminare dell’11 aprile 2011 concluso tra la SE. S.G. e Ri.Ro., fosse pronunciata sentenza costitutiva degli effetti traslativi del contratto non concluso, come da conclusioni riprese dallo stesso ricorrente nel corpo dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità.
Con la memoria integrativa del thema decidendum tale domanda è rimasta invariata, essendo stato solo precisato che, ove si fosse accertato che l’atto di conferimento del 28 luglio 2014 non implicava la successione del cessionario nella posizione negoziale di promittente alienante, in forza dei preliminari conclusi dalla cedente, la disponibilità già manifestata ad adempiere a tale preliminare fosse inquadrata nell’ambito dell’adempimento del terzo ex art. 1180 c.c.
Rispetto alla richiesta invariata di ottenere l’adempimento coattivo è stata mutata la qualificazione giuridica della disponibilità manifestata da RI. a trasferire l’immobile in favore del promissario acquirente, non già quale successore nella posizione giuridica di promittente alienante, bensì quale terzo cui è stata trasferita la proprietà dell’immobile promesso (ma non il preliminare).
Si tratta, dunque, di una mera emendatio.
In proposito, si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo; si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20716 del 13/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 1585 del 28/01/2015; Sez. 5, Sentenza n. 12621 del 20/07/2012).
A fortiori, quand’anche si fosse trattato di autentica modificazione della domanda, vale comunque il principio a mente del quale la modificazione della domanda ammessa dall’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. vigente ratione temporis può riguardare uno o entrambi gli elementi oggettivi della medesima (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, o l’allungamento dei tempi processuali (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23975 del 06/09/2024; Sez. 3, Sentenza n. 30455 del 02/11/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 4031 del 16/02/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 3127 del 09/02/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 27620 del 03/12/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 20898 del 30/09/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 31078 del 28/11/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 4322 del 14/02/2019; Sez. U, Sentenza n. 22404 del 13/09/2018; Sez. 6-1, Ordinanza n. 13091 del 25/05/2018; Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015).
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4.- Con il quarto motivo (subordinato al mancato accoglimento del terzo) il ricorrente assume, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1180 c.c., anche in relazione agli artt. 1218, 1453 e 1455 c.c., per avere la Corte del gravame considerato realizzata l’ipotesi dell’adempimento del terzo in assenza di una prestazione, da parte di detto terzo, concreta, libera, spontanea, unilaterale e conforme e, in presenza, invece, di una mera, generica disponibilità ad adempiere.
Sostiene l’istante che la dichiarazione con cui un soggetto diverso dal debitore manifesti al creditore la disponibilità ad adempiere le prestazioni ineseguite non integrerebbe gli estremi dell’adempimento del terzo, che presupporrebbe, invece, che il soggetto diverso dal debitore effettui concretamente, in modo libero, spontaneo ed unilateralmente, il pagamento di quanto dovuto al creditore ovvero quella diversa prestazione dedotta in obbligazione, con la conseguenza che l’adempimento del terzo dovrebbe essere specifico e conforme all’obbligazione del debitore e non potrebbe consistere in una generica disponibilità ad adempiere, tanto più ove riguardante una non meglio specificata prestazione.
Pertanto, nella fattispecie, la specificità della disponibilità manifestata dalla RI. avrebbe postulato la convocazione davanti al notaio per la stipula del rogito definitivo mentre, di fatto, nessuno si era presentato davanti al notaio per la data indicata del 24 aprile 2015, alle ore 15:00, per il promittente alienante e, inoltre, all’epoca, il centro benessere non era stato ancora ultimato.
In ogni caso, ad avviso del ricorrente, la possibilità che l’obbligazione fosse adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, avrebbe fatto comunque salva la facoltà per quest’ultimo di far valere il proprio interesse a che il debitore eseguisse personalmente la prestazione, non solo in caso di mancata identità della prestazione offerta rispetto a quella da eseguire, ma anche in tutti i casi in cui il terzo non avesse presentato quei requisiti idonei ad influire sul risultato finale della prestazione e la cui mancanza si sarebbe tradotta in una minore sicurezza circa la realizzazione del risultato dovuto.
Con l’effetto che l’attore avrebbe dovuto accettare la sostituzione ad una società per azioni, con un capitale sociale consistente, di una società a responsabilità limitata, neocostituita, con un capitale sociale irrisorio, la quale oltretutto, per sua stessa ammissione, risultava versare in un evidente stato di difficoltà finanziaria, tanto più che la RI. appariva del tutto priva dei requisiti professionali e tecnici di cui era dotata l’originaria obbligata, ivi comprese le garanzie contrattuali e di legge connesse alla vendita di un immobile.
E d’altronde la prestazione offerta dal terzo avrebbe dovuto essere pienamente conforme alle originarie obbligazioni contrattuali assunte dalla parte, senza che potessero introdursi integrazioni, garanzie aggiuntive, interventi di terzi e simili, come prospettato dalla sentenza impugnata.
Cessione azienda unitarietà funzionale non forma contratto
4.1.- Il motivo è infondato.
Si premette che l’adempimento del terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., si realizza allorquando un soggetto diverso dal debitore effettua concretamente, in modo libero, spontaneo ed unilateralmente, il pagamento di quanto dovuto al creditore ovvero quella diversa prestazione dedotta in obbligazione. Ne consegue che l’adempimento del terzo deve avere carattere specifico e deve essere conforme all’obbligazione del debitore, non potendo, dunque, consistere in una generica disponibilità ad adempiere, tanto più se riguardi una non meglio specificata prestazione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25397 del 29/08/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 26596 del 30/09/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 25163 del 11/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 11492 del 03/06/2016; Sez. 2, Sentenza n. 23354 del 09/11/2011; Sez. 1, Sentenza n. 2139 del 17/07/1974).
Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che tali requisiti sussistessero nella puntuale dichiarazione di disponibilità al trasferimento immobiliare effettuata da RI. (e dunque ad una prestazione esattamente determinata), quale cessionaria dei beni aziendali prima intestati alla SE. S.G., non essendovi alcuna ragione affinché il promissario acquirente potesse rifiutare il trasferimento spontaneamente offertogli.
Senonché tale accertamento di fatto, debitamente argomentato, rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità, se non quale vizio di motivazione nei limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., vizio non dedotto nella fattispecie (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 35786 del 22/11/2021).
5.- Con il quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1387, 1392, 1393 e 1398 c.c., in relazione alla c.d. rappresentanza apparente, per avere la Corte d’Appello negato l’efficacia, appunto sotto il profilo della rappresentanza apparente, all’operato del falsus procurator nei confronti del rappresentato, pur avendo costui dato causa alla situazione di apparente legittimazione in cui il terzo aveva, senza colpa, confidato.
Afferma l’istante che, come da verbale di verifica del 13 dicembre 2014, Be.Fl. e Ba.Sa. avrebbero avuto i necessari poteri per impegnare la promittente venditrice, quantomeno sotto il profilo della rappresentanza apparente, avendo dichiarato di partecipare al sopralluogo per conto di SE..
5.1.- Il motivo è infondato.
Sul punto, la sentenza impugnata ha osservato che la subordinazione della stipula del definitivo all’attuazione del centro benessere (Spa), in base al contenuto del verbale di verifica del 13 dicembre 2014, redatto in contraddittorio con tali Be.Fl. e Ba.Sa., i quali avevano sottoscritto tale verbale “nell’interesse” della stessa S.G., avrebbe significato mutare il contenuto della clausola del contratto preliminare, secondo cui, rientrando la Spa tra i beni condominiali, il suo mancato completamento non avrebbe potuto impedire la stipula del definitivo (ai sensi dell’art. 6, punto 4, di tale preliminare).
Senonché, nella fattispecie, ha aggiunto la Corte territoriale, non risultava provato, a cura dello stesso Ri.Ro., che i suddetti Be.Fl. e Ba.Sa. avessero i necessari poteri conferiti per iscritto per modificare il contenuto del preliminare.
E ciò sul presupposto che essi si fossero limitati ad agire quali meri mandatari della S.G., ossia facendo valere il mero potere gestorio (connesso al loro agire nell’interesse o per conto della mandante), e non già come rappresentanti della stessa S.G., il che avrebbe implicato che essi avessero speso il nome della rappresentata (ossia la contemplatio domini).
Il che esclude, a monte, che possa ravvisarsi un’ipotesi di rappresentanza apparente.
In tema di rappresentanza, possono essere, infatti, invocati i principi dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole allorché vi sia, da un lato, la buona fede del terzo che ha stipulato con il falso rappresentante e, dall’altro, anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 27349 del 26/09/2023; Sez. 1, Sentenza n. 4113 del 02/03/2016; Sez. 1, Sentenza n. 1841 del 08/03/1990; Sez. 3, Sentenza n. 423 del 19/01/1987).
Ebbene, nel caso in esame, i soggetti indicati, nel partecipare al sopralluogo conclusosi con il verbale di verifica del 13 dicembre 2014, non hanno affatto partecipato in qualità di procuratori di S.G..
Pertanto, la modifica del contenuto del preliminare non avrebbe potuto determinarsi, in mancanza della rappresentanza apparente e del conferimento con atto scritto di alcun potere di incidere sul contenuto del preliminare “in nome e per conto” della promittente alienante.
6.- Con il sesto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., della violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1224 c.c., per avere la Corte di secondo grado mancato di riconoscere l’integrale liquidazione del danno da inadempimento contrattuale.
Evidenzia l’istante che la Corte d’Appello aveva dichiarato assorbita l’impugnazione incidentale per effetto del rigetto della domanda di risoluzione del preliminare, domanda, dunque, riproposta ad ogni effetto in sede di legittimità.
6.1.- Il motivo è inammissibile.
Infatti, la censura non è diretta contro una statuizione della sentenza di merito impugnata, bensì ha ad oggetto questioni sulle quali il giudice d’appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite.
E ciò con specifico riguardo all’appello incidentale proposto avverso il rigetto in primo grado della domanda risarcitoria, in conseguenza dell’accoglimento dell’appello principale, accoglimento che ha comportato il rigetto della domanda presupposta di risoluzione del preliminare di vendita dell’11 aprile 2011 per inadempimento della promittente alienante.
Sicché tali questioni, nel caso in cui il ricorso fosse stato accolto con riferimento agli altri motivi, avrebbero potuto essere riproposte davanti al giudice di rinvio, indipendentemente da qualsiasi doglianza espressa in sede di legittimità.
7.- In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
Cessione azienda unitarietà funzionale non forma contratto
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 9 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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