Condanna “per accesso abusivo e sostituzione di persona” di chi acceda al profilo Facebook di un terzo.

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 9 maggio 2018, n. 20485

La massima estrapolata

L’accertamento dell’indirizzo Ip del dispositivo è sufficiente – anche in assenza di ulteriori accertamenti tecnici, ma utilizzando diversi «elementi dimostrativi» – alla condanna “per accesso abusivo e sostituzione di persona” di chi acceda al profilo Facebook di un terzo.

Sentenza 9 maggio 2018, n. 20485

Data udienza 23 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Antoni – Presidente

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/01/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRINA TUDINO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CORASANITI GIUSEPPE che ha concluso per il rigetto
Udito il difensore l’avvocato (OMISSIS) si associa alle conclusioni del PG; deposita conclusioni e nota spese.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione del tribunale di Monza, con la quale Claudio (OMISSIS) e’ stato condannato, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di giustizia per il reato di accesso abusivo a sistema informatico e sostituzione di persona, cui all’articolo 615 ter c.p..
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, deducendo, con unico motivo, la mancata valutazione dei motivi di appello, finalizzati a censurare la sentenza di primo grado in punto di identificazione dell’autore della illecita condotta di abusiva introduzione nei profili Facebook delle persone offese mediante specifiche deduzioni tecniche, in assenza di elementi individualizzanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
2. Nel riportare i motivi d’appello, il ricorrente deduce il fraintendimento dell’atto di impugnazione, finalizzato a censurare l’attribuibilita’ soggettiva dell’accesso abusivo ai profili Facebook, tutelati da credenziali identificative, e la conseguente sostituzione d’identita’ digitale, avendo invece la corte territoriale ripercorso l’iter motivazionale della sentenza di primo grado in riferimento alla identificazione dell’indirizzo IP, omettendo di svolgere approfondimenti tecnici necessari per superare i limiti nell’associazione tra l’Internet Protocol rilevato e utente/proprietario del sistema.
2.1 Va, sul punto, rilevato come l’indirizzo IP sia costituito da un codice numerico che identifica univocamente un dispositivo – host – collegato a una rete informatica che utilizza l’Internet Protocol come protocollo di rete. Sifatto indirizzo viene assegnato a una interfaccia (ad esempio una scheda di rete) che identifica l’host di rete, che puo’ essere costituito da un personal computer, un palmare, uno smartphone, un router o altro dispositivo.
L’indirizzo IP identifica, dunque, oggettivamente il dispositivo elettronico associato, mentre l’identificazione dell’operatore richiede indagini ulteriori, di tipo tecnico o di tipo logico.
2.2 Nel quadro cosi’ sommariamente delineato, l’atto di impugnazione pone il tema della attribuibilita’ – oltre il ragionevole dubbio – delle condotte illecite consumate mediante accesso ed uso della rete attraverso una postazione informatica; tema che involge profili di definizione dell’identita’ digitale, secondo specifiche tecniche di riferimento.
Osserva, sul punto, il Collegio come sia ormai patrimonio acquisito che la prova dell’utilizzazione di un sistema telematico possa essere ricondotta, mediante specifici accertamenti tecnici, ad una sorta di “mappatura genetica digitale” che puo’ consentire l’identificazione certa dell’operatore che abbia effettuato connessioni attraverso un dispositivo connesso alla rete attraverso l’indirizzo IP.
Al medesimo risultato probatorio puo’, tuttavia, pervenirsi attraverso elementi dimostrativi diversi dall’accertamento tecnico, purche’ rispondenti allo standard declinato dall’articolo 192 c.p.p., comma 2.
3. Nella delineata prospettiva, le censure articolate nel ricorso non sono” nel caso in esame, fondate.
3.1 Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta come la corte territoriale abbia individuato lo specifico profilo di doglianza prospettato nel ricorso, superandolo argomentativamente attraverso il puntuale richiamo ai principi di valutazione della prova logica, correttamente applicati nel caso di specie.
La sentenza impugnata evidenzia da un lato come l’imputato, nel richiedere la definizione del procedimento nelle forme del giudizio abbreviato, non abbia condizionato l’istanza ad accertamenti finalizzati all’analisi dei reperti informatici, ammettendo comunque il giudice di primo grado – su richiesta del pubblico ministero a prova contraria sulle produzioni documentali della difesa l’esame del consulente tecnico; dall’altro, come gli elementi indiziari, complessivamente apprezzati, abbiano condotto alla attribuzione della illecita condotta all’imputato in quanto esclusivo usuario del personal computer collegato all’indirizzo IP, alla luce delle dichiarazioni dell’intestatario dell’utenza, congiunto convivente dell’imputato, e dello stesso (OMISSIS). Ne’ risulta – in un quadro di protezione debole dei sistemi violati evidenziato in sentenza – che l’imputato abbia, a sua volta, denunciato l’abusivo accesso all’indirizzo IP associato all’utenza domestica, o comprovato una potenza della banda router Wi-fi in suo uso tale da poter essere intercettata dall’esterno, nonostante la protezione della connessione attraverso apposita password.
Di guisa che la corte territoriale ha argomentativamente affrontato e risolto le critiche prospettate nell’atto di gravame, con motivazione completa e plausibile che si sottrae a censure in questa sede di legittimita’.
3.2 Secondo l’indirizzo pacifico della giurisprudenza di legittimita’, infatti, e’ preclusa in questa sede ogni rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa, dovendosi il giudice di legittimita’ limitare a verificare se la motivazione del giudice del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (Sez. 5, n. 1803 del 13/06/2016, Dragone, Rv. 38304; Sez. 2, n. 8076 del 21/11/2012, dep. 2013, Consolo, Rv. 254535).
Non possono, pertanto, assumere fondamento le censure volte a prospettare una portata dimostrativa alternativa delle medesime risultanze probatorie, adeguatamente valutate nel giudizio di merito.
Queste, nel caso in esame, sono state esaurientemente illustrate nel provvedimento impugnato, avendo il giudice di merito razionalmente ricostruito i plurimi elementi di natura logica che, pur in assenza di ulteriori accertamenti tecnici, hanno condotto al giudizio di responsabilita’.
Sicche’ a fronte di tale esaustivo ragionamento, che specificamente si fonda sulla convergenza degli elementi individualizzanti e sull’accertamento dell’indirizzo IP associato al computer o dispositivo mobile dal quale sono stati operati gli accessi, non appare decisivo l’argomento prospettato nel ricorso, che intende contestare il mancato accertamento delle ulteriori credenziali identificative.
4. Ne’ si illustra nel ricorso la decisivita’ della prova di cui si contesta la mancata assunzione, con conseguente genericita’ della doglianza.
Sul punto va evidenziato come la mancata assunzione di una prova decisiva nel giudizio abbreviato non condizionato non sia deducibile come motivo di ricorso per cassazione (Sez. 5, Sentenza n.27985 del 05/02/2013, Rv. 255566, N. 5931 del 2006 Rv. 233845, N. 15086 del 2011 Rv. 249910), in presenza di una mera sollecitazione dell’imputato all’esercizio dei poteri giudiziali officiosi in tema di prova (Sez. 6, Sentenza n.15086 del 08/03/2011Ud. (dep. 13/04/2011) Rv. 249910.).
5. Il ricorso e’, pertanto, manifestamente infondato.
6. Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed alla somma di Euro 2.000, in favore della Cassa delle ammende, oltre alla refusione delle spese di costituzione ed assistenza della Parte Civile, che si stima equo liquidare in Euro 1.800.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2000 in favore della Cassa delle ammende, oltre che alla refusione delle spese in favore della Parte Civile, che liquida in complessivi Euro 1.800,00.

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