Le parti private, e per esse i propri difensori, possano assumere, quanto all’utilizzo del sistema telematico, soltanto la posizione di soggetti destinatari delle comunicazioni, ma mai di soggetti agenti

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 7 giugno 2018, n. 25986.

La massima estrapolata:

Le parti private, e per esse i propri difensori, possano assumere, quanto all’utilizzo del sistema telematico, soltanto la posizione di soggetti destinatari delle comunicazioni, ma mai di soggetti agenti non essendo loro consentito, in difetto di un’esplicita norma in tal senso, effettuare comunicazioni o deposito di atti a mezzo PEC, le cui forme sono tassativamente disciplinate dal codice di procedura penale.

Sentenza 7 giugno 2018, n. 25986

Data udienza 17 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI G. – Presidente

Dott. DI PAOLA Sergi – Consigliere

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andre – Consigliere

Dott. PARDO Ignaz – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
nel procedimento a carico di quest’ultimo;
avverso l’ordinanza del 23/01/2018 del GIP TRIBUNALE di PATTI;
sentita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO;
lette le conclusioni del PG.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1.1 Il G.I.P. presso il Tribunale di PATTI, con ordinanza in data 23/01/2018, dichiarava inammissibile l’opposizione al decreto penale di condanna avanzata a mezzo P.E.C. da (OMISSIS) in relazione al decreto dell’8 settembre 2017.
1.2 Proponeva ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta assenza di ritualita’ della proposta opposizione a mezzo posta certificata poiche’, in virtu’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 68 del 2005, il valore legale della posta certificata e’ stato equiparato alla raccomandata postale.
2.1 Il ricorso e’ inammissibile perche’ manifestamente non fondato.
Ed infatti, secondo la giurisprudenza di questa corte e’ inammissibile l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di Posta Elettronica Certificata, trattandosi di modalita’ non consentita dalla legge, stante il principio di tassativita’ ed inderogabilita’ delle forme per la presentazione delle impugnazioni (Sez. 3, n. 50932 del 11/07/2017, Rv. 272095). E cio’ perche’ manca nelle disposizioni che regolamentano il processo penale, a differenza di quanto previsto per il procedimento civile, una norma che consenta l’inoltro in via telematica degli atti di parte.
Invero il decreto legge 179/2012, convertito nella L. n. 221 del 2012, che nella graduale trasformazione del sistema processuale tradizionale dei vari settori in giustizia digitale configura il testo cardine del processo telematico, ha introdotto con l’articolo 16, l’obbligatorieta’ delle comunicazioni e notificazioni a carico della Cancelleria in via telematica presso l’indirizzo di posta elettronica nei confronti di tutti i soggetti obbligati ex lege ad averlo e cio’ sia nel processo civile dove l‘obbligo concerne tutti gli atti indipendentemente dalla parte che ne sia destinataria, sia nel processo penale dove l’obbligo dell’inoltro in via telematica concerne tutte le parti diverse dall’imputato per il quale rimangono ferme le forme di comunicazione tradizionale.
Diversa e’ invece la situazione del deposito degli atti di parte atteso che mentre nel processo civile il procedimento di digitalizzazione, gradualmente introdotto, e’ sostanzialmente ormai concluso, in quello penale non e’ stato neppure avviato: l’articolo 16 bis, ha infatti disposto che il deposito degli atti afferenti al procedimento monitorio e a quelli cd. endoprocessuali del procedimento contenzioso civile, e cioe’ successivi a quelli di instaurazione della controversia, debba essere obbligatoriamente effettuato in via telematica, sia pure dopo una prima fase cd. transitoria in cui il deposito telematico era previsto solo in via facoltativa, ovverosia lasciando aperta l’opzione con il deposito tradizionale in forma cartacea. Non essendo stata dettata alcuna analoga disposizione per il procedimento penale, alla parte privata non e’ conseguentemente consentito nel suddetto processo l’uso di tale mezzo informatico per la trasmissione dei propri atti ad altre parti ne’ per il deposito presso gli uffici, restando l’utilizzo della posta elettronica certificata riservato, come si e’ visto, alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex articolo 151 c.p.p., e per le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorita’ giudiziaria, giudice o pubblico ministero che sia. D’altra parte l’inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, che costituisce il necessario approdo dell’architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti, rende l’atto depositato a mezzo PEC di fatto anch’esso inesistente, necessitando per essere visibile in concreto dell’attivita’ di stampa da parte della cancelleria che dovrebbe comunque inserire il documento nel fascicolo d’ufficio, di formazione e composizione esclusivamente cartacea. Allo stato degli atti deve quindi ritenersi che le parti private, e per esse i propri difensori, possano assumere, quanto all’utilizzo del sistema telematico, soltanto la posizione di soggetti destinatari delle comunicazioni, ma mai di soggetti agenti non essendo loro consentito, in difetto di un’esplicita norma in tal senso, effettuare comunicazioni o deposito di atti a mezzo PEC, le cui forme sono tassativamente disciplinate dal codice di procedura penale.
De resto, tale principio risulta affermato anche con riferimento ad altri casi; difatti si e’ ritenuto che e’ inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dal P.M. mediante l’uso della posta elettronica certificata (c.d. PEC), in quanto le modalita’ di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’articolo 583 c.p.p. – esplicitamente indicato dall’articolo 309, comma 4, a sua volta richiamato dall’articolo 310 c.p.p., comma 2, – e applicabili anche al pubblico ministero sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilita’ di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticita’ della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC (Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015, Rv. 263900).
In forza delle predette considerazioni, pertanto, l’impugnata ordinanza non merita censura alcuna.
Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.

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