La costituzione di servitu’ per destinazione del padre di famiglia si ha anche se la divisione del fondo sia stata disposta, non dal proprietario, ma dal giudice dell’esecuzione forzata con un decreto di trasferimento dei fondi

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 6 giugno 2018, n. 14481.

La massima estrapolata:

La costituzione di servitu’ per destinazione del padre di famiglia sorge ope legis per il solo fatto che, al momento della divisione del fondo posseduto dall’unico proprietario, tra i due immobili derivanti dal frazionamento risulti, per segni manifesti ed univoci, un rapporto di servizio e di subordinazione integrante il contenuto di una servitu’, indipendentemente da una volonta’ manifestata in proposito dall’unico proprietario originario. Questa costituzione, pero’, si ha anche se la divisione del fondo sia stata disposta, non dal proprietario, ma dal giudice dell’esecuzione forzata con un decreto di trasferimento dei fondi, salvo una sua manifestazione di volonta’ contraria espressa anche con l’ordine di rimozione delle opere o dei segni apparenti che avrebbero integrato il contenuto della servitu’ stessa.
In particolare, l’impedimento di tale costituzione deriva non in via automatica, ma da una fattispecie negoziale, consistente in una esternazione di volonta’ contraria alla costituzione della servitu’ contenuta nel negozio e, comunque, da una disposizione presente nell’atto, sia pure autoritativo, quale e’ il frazionamento eseguito dal giudice dell’esecuzione, con cui e’ separata la proprieta’ originariamente unica.
Infatti, qualora la divisione del fondo avvenga in sede di esecuzione forzata, al dominus-padre di famiglia si sostituisce il giudice delegato.
Ne consegue che, se, nella lottizzazione del fondo, egli lascia lo stato dei luoghi in quella situazione obiettiva di subordinazione o di servizio corrispondente al contenuto di una servitu’ prediale, si realizza la fattispecie prevista dall’articolo 1062 c.c., comma 1. Ove, invece, il magistrato dia disposizioni contrarie od ordini l’eliminazione delle opere e dei segni visibili che avrebbero potuto integrare il contenuto di una servitu’, ricorre l’ipotesi regolata dall’articolo 1062 c.c., comma 2.
Pertanto, non vi sono motivi per ritenere che il giudice dell’esecuzione od il giudice delegato non possano imporre obbligazioni a carico degli acquirenti idonee a rimuovere la situazione di fatto dalla quale, in assenza di prescrizioni, trarrebbe origine una servitu’ per destinazione del padre di famiglia.

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La servitù

Sentenza 6 giugno 2018, n. 14481

Data udienza 15 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 21988-2013 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS) SNC;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2002/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2018 dal Dott. DARIO CAVALLARI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi l’Avvocato (OMISSIS) per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, e l’Avvocato (OMISSIS), che ne ha domandato il rigetto;
letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 13 marzo 2007 (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Rovigo, (OMISSIS) e la (OMISSIS) & C.
Gli attori hanno esposto che:
erano diventati proprietari, come i convenuti, delle specifiche unita’ immobiliari delle quali erano attualmente titolari a seguito di acquisto all’asta senza incanto nell’ambito della procedura esecutiva fallimentare del Tribunale di Rovigo n. 4/99 Reg. Fall. concernente la Soc. (OMISSIS) nonche’ il socio illimitatamente responsabile (OMISSIS), e delle esecuzioni immobiliari riunite n. 125 e 135 del 1998, 74 del 2000 e 81 del 2001 a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS), fideiussore; i beni venduti nelle procedure in esame erano costituiti da tre immobili finitimi.
Gli attori hanno chiesto che fosse dichiarata l’estinzione delle servitu’ di passaggio esistenti a carico delle unita’ immobiliari da loro acquistate ed in favore di quelle di proprieta’ dei convenuti, con obbligo a carico di questi ultimi di eseguire i lavori necessari a realizzare tale estinzione come indicati nella perizia (OMISSIS) del 9 gennaio 2003 redatta nell’ambito delle menzionate procedure.
Si e’ costituito (OMISSIS), il quale ha domandato il rigetto della domanda degli attori.
Si e’ costituita la (OMISSIS), la quale ha aderito alle domande degli attori.
Il Tribunale di Rovigo, con sentenza n. 645 del 2009, ha accolto le domande degli attori.
(OMISSIS) ha proposto appello contro la summenzionata sentenza.
La Corte di Appello di Venezia, nella contumacia della sola (OMISSIS), con sentenza n. 12 del 2002, ha respinto l’appello.
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui hanno resistito con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
(OMISSIS) ha, in seguito, depositato copia autentica di atto di acquisto dei diritti spettanti alla (OMISSIS) e datato 28 ottobre 2014.
Il solo ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente contesta la violazione degli articoli 1054, 1062 e 2919 c.c.in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che i lotti in questione fossero rimasti interclusi in seguito al frazionamento e nel non considerare che la servitu’ da lui vantata era sorta automaticamente per destinazione del padre di famiglia a prescindere dalla volonta’ del giudice.
La doglianza e’ infondata.
In primo luogo, si osserva che l’articolo 2919 c.c., il quale stabilisce che la vendita forzata trasferisce all’acquirente tutti i diritti gia’ spettanti sulla cosa al debitore che ha subito l’espropriazione, non e’ incompatibile con l’articolo 1054 c.c. (come riconosce, peraltro, lo stesso ricorrente).
Tale ultima disposizione prescrive che, se il fondo e’ divenuto da ogni parte chiuso per effetto di alienazione a titolo oneroso o di divisione (ma la giurisprudenza ricomprende pure il caso dell’espropriazione per pubblica utilita’: Cass., Sez. 2, n. 23707 del 9 novembre 2009), il proprietario ha diritto di ottenere dall’altro contraente il passaggio senza alcuna indennita’.
L’articolo 1054 c.c. pone, dunque, un principio generale, per il quale gli eventuali frazionamenti immobiliari non possono tradursi in una interclusione del terreno e non sussistono ragioni logiche per negarne l’applicazione al caso della divisione di un cespite conseguente all’esito di una vendita forzata, stante la similarita’ delle situazioni.
Ne consegue che ben puo’ il giudice dell’esecuzione imporre agli acquirenti di realizzare le opere necessarie ad evitare detta interclusione, trattandosi di un obbligo che sarebbe venuto ad esistenza anche se il trasferimento fosse stato effettuato dal proprietario originario.
Cio’ posto, si osserva che la corte territoriale ha affermato lo stato di interclusione degli immobili interessati, motivando la sua valutazione in maniera logica e completa con riferimento alle perizie predisposte in sede fallimentare e contenziosa, e ha qualificato le relative opere come necessarie, in quanto, altrimenti, i beni non avrebbero mai potuto essere assegnati.
Tale valutazione non e’, quindi, piu’ sindacabile nella presente sede.
Deve, in secondo luogo, essere esaminata la parte della doglianza concernente l’applicazione dell’articolo 1062 c.c., il quale dispone che “La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitu’.
Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitu’, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”.
La costituzione di servitu’ per destinazione del padre di famiglia sorge, dunque, ope legis per il solo fatto che, al momento della divisione del fondo posseduto dall’unico proprietario, tra i due immobili derivanti dal frazionamento risulti, per segni manifesti ed univoci, un rapporto di servizio e di subordinazione integrante il contenuto di una servitu’, indipendentemente da una volonta’ manifestata in proposito dall’unico proprietario originario. Questa costituzione, pero’, si ha anche se la divisione del fondo sia stata disposta, non dal proprietario, ma dal giudice dell’esecuzione forzata con un decreto di trasferimento dei fondi, salvo una sua manifestazione di volonta’ contraria espressa anche con l’ordine di rimozione delle opere o dei segni apparenti che avrebbero integrato il contenuto della servitu’ stessa (Cass., Sez. 2, n. 5262 del 15 novembre 1978).
In particolare, l’impedimento di tale costituzione deriva non in via automatica, ma da una fattispecie negoziale, consistente in una esternazione di volonta’ contraria alla costituzione della servitu’ contenuta nel negozio e, comunque, da una disposizione presente nell’atto, sia pure autoritativo, quale e’ il frazionamento eseguito dal giudice dell’esecuzione, con cui e’ separata la proprieta’ originariamente unica.
Infatti, qualora la divisione del fondo avvenga in sede di esecuzione forzata, al dominus-padre di famiglia si sostituisce il giudice delegato.
Ne consegue che, se, nella lottizzazione del fondo, egli lascia lo stato dei luoghi in quella situazione obiettiva di subordinazione o di servizio corrispondente al contenuto di una servitu’ prediale, si realizza la fattispecie prevista dall’articolo 1062 c.c., comma 1. Ove, invece, il magistrato dia disposizioni contrarie od ordini l’eliminazione delle opere e dei segni visibili che avrebbero potuto integrare il contenuto di una servitu’, ricorre l’ipotesi regolata dall’articolo 1062 c.c., comma 2.
Pertanto, non vi sono motivi per ritenere che il giudice dell’esecuzione od il giudice delegato non possano imporre obbligazioni a carico degli acquirenti idonee a rimuovere la situazione di fatto dalla quale, in assenza di prescrizioni, trarrebbe origine una servitu’ per destinazione del padre di famiglia.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 68 e 484 c.p.c., articolo 25 legge fallimentare e articolo 161 disp. att. c.p.c. poiche’ la corte territoriale non avrebbe considerato che il giudice non aveva tenuto conto dei suggerimenti, concernenti la regolamentazione delle servitu’ rese necessarie dalla situazione di interclusione degli immobili, contenuti nella relazione del suo perito, non avendoli trascritti nel decreto di trasferimento.
La doglianza e’ inammissibile.
Infatti, l’interpretazione del decreto di trasferimento e del suo contenuto e’ attivita’ rimessa al giudice del merito la quale puo’ essere contestata solo nei limiti oggi previsti dall’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Nella specie, la corte territoriale ha ritenuto che il giudice, proprio perche’ aveva optato per la vendita frazionata, non poteva non avere implicitamente statuito l’obbligo di eseguire le opere funzionali al nuovo assetto delle servitu’ a carico dei singoli assegnatari che ne derivava, con la conseguenza che detto obbligo era da considerare imposto, anche se non espressamente menzionato nel decreto di trasferimento, per il semplice fatto dell’avvenuto richiamo, contenuto nello stesso provvedimento, alla relazione tecnica che aveva elaborato il frazionamento e proposto i vincoli correlati.
Pertanto, non e’ possibile affermare che la motivazione della decisione sia assente od apparente e, quindi, la censura del ricorrente e’ inammissibile.
3. Con il terzo motivo (OMISSIS) lamenta l’erroneita’ della sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto sussistere la legittimazione attiva degli attori in primo grado.
La doglianza e’ infondata.
Infatti, la Corte di Appello di Venezia ha, innanzitutto, accertato, con una valutazione di merito non censurabile nella presente sede, che il giudice dell’esecuzione e del fallimento aveva imposto, con il decreto di trasferimento, obblighi finalizzati a rimuovere la situazione di interclusione di alcuni degli immobili ceduti. Inoltre, ha ritenuto che detti obblighi potessero essere azionati dai proprietari dei fondi, a beneficio dei quali erano stati previsti, nei confronti dei proprietari degli altri terreni interessati dalla procedura esecutiva.
In particolare, deve ritenersi che, acquistando i lotti individuati nell’ambito delle procedure de quibus, le parti del presente giudizio abbiano reciprocamente accettato di farsi carico delle obbligazioni stabilite dal Tribunale di Rovigo in favore degli altri compratori.
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’erroneita’ della decisione perche’ la corte territoriale avrebbe ritenuto inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in appello, l’eccezione, dallo stesso (OMISSIS) sollevata, secondo cui le opere da eseguire previste nella perizia del giudice dell’esecuzione e del fallimento violavano le distanze legali.
La doglianza e’ infondata.
Infatti, deve osservarsi che la contestazione de qua integra gli estremi di una eccezione di merito in senso stretto, non rilevabile, pertanto, d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
5. Il quinto motivo, che concerne le spese di lite, non deve essere esaminato alla luce del rigetto dei primi quattro.
6. Il ricorso va, pertanto, respinto.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si e’ perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6 – 3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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