Ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto sulla prescrizione del reato

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 18 maggio 2018, n. 22067.

La massima estrapolata:

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto sulla prescrizione del reato, non può mai prescindersi dall’ammissibilità del ricorso originario, sia nel caso in cui la prescrizione sia maturata prima della sentenza di appello che nel caso in cui si maturata successivamente.

Sentenza 18 maggio 2018, n. 22067

Data udienza 6 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. COSTANTINI Francesc – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/07/2017 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCA COSTANTINI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dr. ZACCO FRANCA che conclude per il rigetto del ricorso.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in sostituzione dell’avv. MANFREDA MASSIMO del foro di BRINDISI in difesa di (OMISSIS), come da istanza gia’ depositata precedentemente in cancelleria.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS).
Entrambi gli avvocati insistono per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21/6/2013, la Corte di appello di Lecce confermava la decisione con la quale, in data 27/9/2012, il Tribunale di Lecce – Sezione di Gallipoli, aveva affermato la responsabilita’ penale di (OMISSIS) per i reati di cui all’articolo 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c) e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, in relazione alla lottizzazione abusiva di un’area in zona SIC – ZPS assoggettata a vincolo paesaggistico, effettuata mediante ampliamento di una struttura turistico – ricettiva abusiva, precedentemente realizzata (164 bungalow stabilmente impiantati al suolo, un fabbricato destinato a bar ristorante, un supermercato, una reception, uffici, servizi e strutture accessorie) mediante realizzazione di piazzole di sosta attrezzate per tende e camper, effettuazione di scavi per vere e proprie opere di urbanizzazione (fognature ed impianti di distribuzione elettrica ed idrica), e realizzazione di uno stradone di collegamento e predisposizione di 54 miniappartamenti mobili, composti ognuno da camera da letto, cucina e soggiorno, poggianti su ruote gommate ed installati su binari longitudinali in ferro.
2. Avverso tale pronuncia il (OMISSIS) proponeva ricorso davanti alla Corte di cassazione che, con sentenza n. 36807 del 17 luglio 2017, ha confermato la decisione della Corte territoriale, dichiarando inammissibile il ricorso.
3. Contro questa sentenza (OMISSIS), tramite il proprio difensore, propone ricorso ai sensi dell’articolo 625-bis c.p.p., eccependo, in primo luogo, che la Corte sarebbe incorsa in una svista di tipo percettivo avente ad oggetto la verifica della compatibilita’ delle opere edilizie con la effettiva destinazione urbanistica vigente all’epoca dei fatti, tale da determinare uno sviamento nella formazione della decisione, diversa da quella che altrimenti sarebbe stata adottata. In particolare, la Corte avrebbe erroneamente valutato la programmazione urbanistica del Comune ove insiste la struttura turistico-ricettiva oggetto del procedimento, classificando il territorio interessato come destinato a “zona agricola” quando, invero, tale area e’ sempre stata destinata esclusivamente a “campeggi”, cosi’ come emergerebbe dalla lettura degli atti processuali e dalla destinazione programmata del territorio comunale.
3.1 La terza sezione penale avrebbe inoltre omesso di dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Si rileva che la prescrizione era maturata gia’ prima della sentenza di appello e tuttavia la Corte territoriale aveva omesso di rilevare la causa estintiva. Il ricorrente, all’udienza del 17.07.2017, innanzi alla terza sezione aveva espressamente chiesto non solo l’accoglimento dei motivi di ricorso ma altresi’ la declaratoria di estinzione, conformemente alla richiesta del P.G. e tanto coerentemente con la preliminare richiesta di rinvio in attesa della decisione della Grande Camera della Corte EDU sulla nota e vexata quaestio relativa alla compatibilita’ della confisca in mancanza di sentenza di condanna. Richiesta che altrimenti non troverebbe spiegazione se non proprio per la eccepita prescrizione. Tanto sarebbe anche confermato, come risulta nella intestazione della sentenza, dalla richiesta della difesa di “annullamento senza rinvio”, riguardante proprio la declaratoria di estinzione per prescrizione; richiesta che non sarebbe stata coerente con i motivi di ricorso tendenti tutti ad annullamento con rinvio. Da ultimo, osserva il ricorrente che deve ritenersi illegittimo e non compatibile con il dettato costituzionale, rispetto agli articoli 3 e 24, nonche’ in relazione al principio di ragionevolezza il principio evincibile dalla pronuncia delle Sezioni unite “Ricci” secondo cui, ove la causa estintiva intervenga durante il tempo intercorrente tra la decisione d’appello e quella di legittimita’, e non sia stata dichiarata, e’ ammesso il ricorso ex articolo 625 bis, anche in mancanza di eccezione difensiva stante la doverosita’ della rilevazione (articolo 129 e 609 c.p.p.), mentre non sia previsto un rimedio nel caso in cui la estinzione maturi prima della decisione d’appello.
3.2 Con ulteriore memoria depositata in data 22 marzo 2018, la difesa del (OMISSIS) insiste nell’accoglimento del ricorso ribadendo quanto dedotto nel primo motivo a sostegno dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile in quanto i motivi a cui e’ affidato sono manifestamente infondati non rientrando gli errori denunciati nella categoria degli errori di fatto cui si riferisce l’articolo 625-bis c.p.p..
3. Invero, gia’ all’indomani dell’introduzione nel nuovo articolo 625-bis c.p.p., ad opera della L. 26 marzo 2001, n. 128, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che l’errore “di fatto” e’ “l’errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volonta’, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso” (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221281; Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686). Le Sezioni unite hanno altresi’ precisato che lo sviamento della volonta’ del giudice deve essere decisivo, in quanto determinante per il convincimento del giudice stesso espresso nella soluzione adottata, e deve essere di oggettiva ed immediata rilevabilita’, nel senso che dal controllo degli atti processuali deve trasparire ictu oculi che la decisione e’ stata condizionata da un errore di percezione. Qualora, pertanto, la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non e’ configurabile un errore di fatto, bensi’ di giudizio e come tale non rientrante nella disciplina dettata dalla norma in esame.
4. Ebbene, facendo applicazione dei criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ in materia, risulta evidente che i presunti errori percettivi denunciati sono in realta’ errori che hanno un prevalente contenuto valutativo.
5. Invero, con il primo motivo non si evidenzia un errore di fatto in cui sarebbe incorsa la sentenza di legittimita’ ma si tenta di contestare le conclusioni a cui sono addivenute le pronunce di merito circa l’interpretazione degli strumenti urbanistici e il carattere abusivo delle opere edilizie, all’esito peraltro dell’espletamento di specifici accertamenti di natura tecnica la cui correttezza viene oggi messa in dubbio dal ricorrente. Nel nostro caso, la Corte di Cassazione con la sentenza oggi impugnata ha valutato e deciso tale questione spendendosi diffusamente sulla correttezza delle motivazioni delle pronunce di merito con giudizio valutativo come tale escluso dall’orizzonte dell’invocato rimedio straordinario. Tale giudizio della Cassazione viene censurato dalla difesa del (OMISSIS), ma, sia nella sostanza che nella lettera del ricorso, laddove si legge che “Codesta Ecc.ma Suprema Corte ha erroneamente valutato la programmazione urbanistica del Comune…”, e’ evidente che la contestazione attiene al profilo valutativo e non percettivo della sentenza. Giova per completezza anche rammentare che e’ inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto con il quale si deducano pretesi errori di lettura, comprensione o valutazione di atti processuali del giudizio di merito, invece di una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di cassazione” (Sez. 1, n. 17362 del 15/04/2009, Di Matteo, Rv. 244067; Sez. 6, n. 25121 del 02/04/2012, Romano, Rv. 253105).
6. Quanto al secondo motivo di ricorso si deve osservare che rispetto ai reati contestati risulta certamente decorso il termine di prescrizione gia’ in epoca antecedente alla pronuncia di secondo grado. Tuttavia, non avendo il ricorrente provveduto con uno specifico motivo di ricorso a censurare la pronuncia della corte di appello che aveva omesso di dichiararla, la Terza sezione della corte di cassazione, essendo pervenuta ad una pronuncia di inammissibilita’ del ricorso, del tutto correttamente non ha rilevato la richiamata causa di estinzione del reato.
7. Sotto tale profilo, la pronuncia della Cassazione e’ ineccepibile ponendosi in perfetta sintonia con i principi piu’ volte affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ anche nella sua massima espressione. Invero, con la nota sentenza n. 12602 del 27 dicembre 2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, le Sezioni unite, a fronte di un contrasto sviluppatosi tra le sezioni semplici, hanno avuto modo di fissare chiari principi in relazione alla tematica, che qui interessa, relativa all’individuazione dell’ambito di cognizione rimesso al giudice dell’impugnazione inammissibile ed alla possibilita’ per lo stesso di rilevare eventuali cause di non punibilita’ ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., con specifico riferimento alla prescrizione del reato. Nel dirimere il contrasto, le Sezioni unite hanno aderito all’impostazione tradizionale, gia’ accolta da Sez. U., n. 23428 del 22 marzo 2005, Bracale, Rv. 231164, escludendo che in caso di ricorso manifestamente infondato il giudice dell’inammissibilita’ possa rilevare d’ufficio la prescrizione anche se maturata prima della conclusione della fase di merito. Il Supremo consesso ha preso le mosse dall’impianto interpretativo elaborato sul tema dalla giurisprudenza di legittimita’ a seguito del superamento della dicotomia cause di inammissibilita’ originarie/sopravvenute, ponendosi in linea di continuita’ con la ricostruzione ermeneutica elaborata dalle sentenze “De Luca” e “Bracale” escludendo il superamento della preclusione processuale derivante dall’inammissibilita’ del gravame che, impedendo il passaggio del procedimento all’ulteriore grado di giudizio, inibisce la cognizione della questione e la rivisitazione del decisum per la formazione del cosiddetto “giudicato sostanziale”. In particolare, la Corte ha rimarcato che soltanto l’accertata ammissibilita’ dell’impugnazione, per l’effetto propulsivo che la connota, investe il giudice del potere decisorio sul merito del processo. Al contrario, la declaratoria di inammissibilita’ dell’impugnazione preclude una qualsiasi pronuncia sul merito. Cio’ in quanto “tutte le ipotesi di inammissibilita’ previste, in via generale, dall’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera a), b), c), e, con riguardo specifico al ricorso per cassazione, dall’articolo 606 c.p.p., comma 3, viziano geneticamente l’atto, che, ponendosi al di fuori della cornice normativa di riferimento, provoca la reazione dell’ordinamento con la corrispondente sanzione, quale risposta ad un potere di parte non correttamente esercitato. Dette ipotesi, a prescindere dalle modalita’ piu’ o meno agevoli di rilevazione, sono tutte ugualmente intrinseche alla struttura dell’atto, si’ da renderlo inidoneo ad investire il giudice del grado successivo della piena cognizione del processo”. La sentenza invalidamente impugnata, dunque, diventa intangibile sin dal momento in cui si concretizza la causa di inammissibilita’, che va apprezzata in un’ottica “sostanzialistica” della dinamica impugnatoria e delle relative conseguenze sul piano delle preclusioni processuali (giudicato sostanziale). La successiva declaratoria d’inammissibilita’ della impugnazione da parte del giudice ad quem ha carattere meramente ricognitivo di una situazione gia’ esistente e determina la formazione del giudicato formale.
L’inammissibilita’ dell’impugnazione, quindi, paralizza, sin dal suo insorgere, i poteri decisori del giudice, il quale, al di la’ dell’accertamento di tale profilo processuale, non e’ abilitato a occuparsi del merito e a rilevare, a norma dell’articolo 129 c.p.p., cause di non punibilita’, quale l’estinzione del reato per prescrizione, sia se maturata successivamente alla sentenza impugnata sia se verificatasi in precedenza, nel corso cioe’ del giudizio definito con tale sentenza. Ad avviso della Corte, inoltre, non avrebbe rilievo fare leva sulla ratio ispiratrice dell’articolo 129 c.p.p. per trarre argomenti decisivi a favore della prevalenza della declaratoria di non punibilita’. Tale norma non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilita’, considerato che non attribuisce, di per se’, al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio, svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma si limita a dettare una regola di giudizio, che deve essere adattata alla struttura del processo cosi’ come normativamente disciplinata e che deve guidare il giudice nell’esercizio dei poteri decisori che gia’ gli competono in forza di una corretta investitura.
E’ in questa cornice positiva che va letta e apprezzata la ratio dell’articolo 129 c.p.p., che persegue certamente gli obiettivi del favor innocentiae e dell’economia processuale (immediata declaratoria di cause di non punibilita’), ma nell’ambito di ben individuate scansioni processuali. Ne’ vi sarebbe contrasto con i principi di equita’, razionalita’ e ragionevole durata del processo (articolo 6, § 1, CEDU), di presunzione d’innocenza della persona fino a pronuncia definitiva di colpevolezza (articolo 6, § 2, CEDU) e di prevedibilita’ di tutte le conseguenze negative – anche sotto il profilo della tutela processuale – della condotta realizzata (articolo 7, §1, CEDU), essendo comunque onere della parte interessata attivare correttamente il rapporto processuale d’impugnazione con l’esclusione, in caso contrario, di ogni potere cognitivo del giudice. Hanno inoltre precisato le Sezioni Unite che non avrebbe, altresi’, fondamento normativo la distinzione tra prescrizione maturata prima o dopo la sentenza di merito, posto che “l’omessa rilevazione della prescrizione e’ un dato destinato, come un qualsiasi altro errore, a rimanere privo di rilievo, se non viene attivato il controllo sulla sentenza del giudice precedente, attraverso la proposizione di un valido ricorso”. Conclusivamente, solo nel caso in cui l’intervenuta prescrizione del reato, maturata prima della sentenza di appello, sia stata dedotta – anche se quale unico motivo – nell’ impugnazione, e’ possibile una declaratoria di estinzione del reato, essendo tale atto idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore e ad escludere la formazione del c.d. “giudicato sostanziale”. Ne consegue pertanto che, anche ai fini della ammissibilita’ del ricorso straordinario per errore di fatto sulla prescrizione del reato, non puo’ mai prescindersi dalla ammissibilita’ dell’originario ricorso, sia nel caso in cui la prescrizione sia maturata prima della sentenza di appello che nel caso in cui sia maturata successivamente.
8. In definitiva, deve escludersi il carattere percettivo degli errori denunciati in quanto la motivazione della pronuncia della Suprema Corte si e’ formata attraverso la specifica valutazione del provvedimento impugnato e la prospettazione degli errori contenuta nel ricorso in realta’ denuncia un vizio di motivazione per cui la doglianza si traduce in una non consentita richiesta di rivalutazione dei contenuti della decisione.
9. Alla considerazioni esposte segue la inammissibilita’ del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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