Il comportamento processuale dell’avvocato che suggerisce alla parte difesa di non rispondere alle domande del pubblico ministero in sede di interrogatorio è coerente con il diritto di difesa e, non realizzando alcun nocumento agli interessi dell’assistito, non può essere ricondotto nell’ambito del reato di patrocinio infedele di cui all’art. 380 c.p.

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 30 marzo 2018, n.14751.

Il comportamento processuale dell’avvocato che suggerisce alla parte difesa di non rispondere alle domande del pubblico ministero in sede di interrogatorio è coerente con il diritto di difesa e, non realizzando alcun nocumento agli interessi dell’assistito, non può essere ricondotto nell’ambito del reato di patrocinio infedele di cui all’art. 380 c.p..

CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
SENTENZA 30 marzo 2018, n.14751
Pres. Petruzzellis – est. Bassi
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Udine, sezione specializzata per il riesame, ha disposto l’annullamento del provvedimento del 20 giugno 2017 con cui il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Udine aveva autorizzato la perquisizione degli studi professionali degli Avv.ti S.M. e C.P.A. ed il sequestro disposto in tale sede.
1.1. Come si evince dalla lettura congiunta del provvedimento c.d. genetico e dell’ordinanza del Tribunale oggetto d’impugnativa, il sequestro è stato disposto nell’ambito del procedimento per il reato di cui all’art. 380 cod. pen. avviato nei confronti dei due legali, quale derivazione del procedimento a carico di R.R. per il reato di maltrattamenti in danno della moglie R.F. , scaturito dalle confidenze fatte dal figlio della coppia alle maestre della scuola d’infanzia. Sentita a sommarie informazioni dai Carabinieri di (…) il (omissis) , R.F. confermava la narrazione del figlio in merito ai subiti maltrattamenti, ma, successivamente – sempre sentita sommarie informazioni dai Carabinieri in data (omissis) -, ritrattava integralmente le accuse ed, in conseguenza di ciò, veniva iscritta nel registro degli indagati per il reato di favoreggiamento personale.
Nell’interrogatorio davanti al Sostituto Procuratore della Repubblica fissato originariamente per il 29 maggio 2017 e, poi, celebrato il 6 giugno 2017, la donna, assistita dall’Avv. C.P.A. , si avvaleva della facoltà di non rispondere. Dalle intercettazioni disposte nei confronti di R.R. e della moglie R.F. emergeva che, proprio il giorno in cui avrebbe dovuto svolgersi l’interrogatorio, il primo aveva contattato telefonicamente la moglie, le aveva comunicato che il proprio avvocato (cioè l’Avv. S.M. ) avrebbe incontrato il legale della donna (cioè l’Avv. C.P.A. ) e l’aveva invitata a non rispondere nel corso dell’interrogatorio ed a lasciar parlare il suo avvocato, essendosi in tal senso accordati i difensori. Sulla base del contenuto di tali conversazioni, il pubblico ministero riteneva sussistenti i presupposti per iscrivere entrambi gli Avv.ti C. e S. nel registro degli indagati per il reato di patrocinio infedele, quest’ultima in qualità di concorrente esterno nel reato proprio commesso dal primo, sul presupposto che l’accordo dei due legali avesse recato pregiudizio a R.F. e dei suoi figli minori. L’inquirente disponeva quindi la perquisizione locale personale presso lo studio dei due difensori coinvolti, all’esito della quale venivano sequestrati documenti e supporti informatici.
1.2. Nel disporre – in accoglimento del ricorso – l’annullamento del provvedimento ablativo e la restituzione agli aventi diritto di quanto sottoposto a vincolo reale, il Tribunale ha posto in evidenza come l’Avv. C. , quale legale di R.F. , si fosse limitato a suggerire alla propria assistita, indagata favoreggiamento personale, di avvalersi della facoltà di non rispondere nell’ambito del disposto interrogatorio e, dunque, ad esplicare un diritto espressamente riconosciuto all’indagato/imputato; come il legale fosse stato nominato da poco quale difensore fiduciario della donna e come, pertanto, non potesse avere ancora un quadro completo della situazione, tanto più che la comunicazione con l’assistita era risultata particolarmente difficoltosa, trattandosi di persona analfabeta che non parlava bene la lingua italiana; come lo stesso R.A. , nella prima delle conversazioni intercettate richiamate dal P.M. a sostegno dell’accusa, avesse dichiarato alla moglie di averla chiamata per spiegarle meglio, nella loro lingua, quali fossero le indicazioni del di lei difensore in merito all’interrogatorio che avrebbe dovuto sostenere a breve; come l’indicazione del patrono di qualunque linea difensiva diversa da quello di avvalersi della facoltà di non rispondere sarebbe stata pregiudizievole per la donna come indagata e forse anche come parte lesa del reato di maltrattamenti; come il codice deontologico forense suggerisca ai difensori delle controparti di avere contatti tra loro e di scambiarsi informazioni.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine e ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge penale in relazione agli artt. 110 e 380 cod. pen. Dopo avere illustrato le ragioni dell’interesse processuale a proporre impugnazione, la parte pubblica ha rimarcato come, nel ridurre la condotta oggetto dell’imputazione provvisoria ad un semplice consiglio dato dall’Avv. C. all’assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio – certamente non integrante il reato di patrocinio infedele -, il Tribunale abbia trascurato di considerare che il legale, ancor prima di diventare difensore l’indagata R. per il reato di cui all’art. 378 cod. pen., era difensore di fiducia della medesima e dei figli, persone offese del reato di maltrattamenti ascritto a R.A. . L’evidente commistione e collegamento tra i fatti di maltrattamenti e quelli di favoreggiamento personale sotto il profilo soggettivo e oggettivo aveva portato l’Avv. C. a patrocinare posizioni tra loro difficilmente conciliabili. Il ricorrente ha, altresì, evidenziato come, dalle conversazioni intercettate tra i coniugi R. , emergano i contatti e le intese intercorse tra l’Avv. C. e l’Avv. S. in merito alla condotta che R.F. avrebbe dovuto tenere in sede di interrogatorio (segnatamente quella di avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande del pubblico ministero), senza lasciare alla donna alcun margine di autonoma decisione in merito alla propria difesa; come essi si siano serviti di R.A. per interloquire con la moglie, nonostante il divieto di comunicazione imposto con il provvedimento cautelare in atto. Ad avviso del P.M., l’indicazione del difensore alla R. rispetto al contegno processuale da serbare nell’interrogatorio – ritenuta legittima da parte del Tribunale – trascuri l’esigenza di tutela dell’integrità psico-fisica delle vittime dei maltrattamenti e si ponga dunque in palese contrasto con i doveri professionali dell’Avv. C. di salvaguardia degli interessi delle parti offese.
3. Nelle more della trattazione del ricorso, il difensore dell’Avv. S.M. ha depositato in cancelleria una memoria nella quale ha insistito, con articolate considerazioni, affinché il ricorso del P.M. sia respinto in quanto infondato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato in relazione a tutte le deduzioni mosse e deve, pertanto, essere disatteso.
2. Occorre premettere come, in caso di provvedimenti cautelari reali, nel ricorso proposto dinanzi a questa Corte di legittimità, non siano delibabili vizi che attengano alla motivazione del provvedimento del Tribunale, salvo che non si risolvano nella mancanza assoluta di motivazione, id est in un vizio integrante una violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., riportabile al disposto dell’art. 606, comma 1 lett. c), stesso codice. Ed invero, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione in tema di misure cautelari reali soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129).
2.1. Il ricorso del P.M. può – di conseguenza – essere preso in considerazione con limitato riguardo alle doglianze che si mantengano entro il perimetro dello scrutinio demandato alla Corte di legittimità: non possono pertanto essere delibati – in quanto inammissibili – i rilievi con cui il P.M. si duole del fatto che il Collegio della cautela non abbia ‘compreso affatto i termini dell’ipotesi d’accusa avanzata’, incorrente in un (presunto) travisamento delle emergenze processuali.
Lo scrutinio di questa Corte deve, dunque, essere circoscritto alla verifica se, nell’annullare il provvedimento di sequestro adottato dal Gip, il Tribunale di Udine sia o meno incorso in una violazione di legge penale, là dove ha escluso la sussumibilità della fattispecie concreta nell’ipotesi di cui all’art. 380 cod. pen. In altri termini, il sindacato attiene esclusivamente al profilo della qualificazione giuridica del fatto e non investe la ricostruzione della vicenda, peraltro congruamente compiuta dai giudici della cautela. Il fatto sub iudice, nelle sue articolazioni storico fattuali, come ricostruito in narrativa, può pertanto darsi per acquisito nei termini già sinteticamente illustrati nel paragrafo 1.1 del ritenuto in fatto.
3. Tanto premesso, mette conto di notare che l’art. 380 cod. pen. sanziona il ‘patrocinatore’ o del ‘consulente tecnico’ che ‘rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’autorità giudiziaria’. Il comma secondo della norma prevede poi una circostanza aggravante speciale, là dove dispone che la pena sia aumentata ‘1) se il colpevole ha commesso il fatto colludendo con la parte avversaria; 2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato’.
3.1. Si tratta di un reato proprio che appunto colpisce soltanto due categorie di professionisti – il difensore ed il consulente tecnico – nello svolgimento dell’attività difensiva e di supporto tecnico svolta in un procedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria in itinere. Ai fini della integrazione del delitto non è dunque sufficiente che un avvocato non adempia ai doveri scaturenti dall’accettazione di un qualsiasi incarico di natura legale, ma occorre la pendenza di un procedimento nell’ambito del quale si sia realizzata la violazione degli obblighi assunti con il mandato (Sez. 2, n. 6382 del 29/01/2008, P.G. in proc. Accogli, Rv. 239436).
Giova rimarcare che, nel caso di specie, il reato de quo è contestato all’Avv. C. quale patrono di R.F. (in ipotesi d’accusa danneggiata dal patrocinio infedele) e, dunque, quale soggetto attivo ‘tipico’, ed all’Avv. S. quale concorrente extraneus (essendo ella difensore di R.A. , marito della F. ).
3.2. Il delitto di patrocinio infedele di cui all’art. 380 cod. pen. ha natura plurioffensiva in quanto, oltre a ledere l’amministrazione della giustizia e il regolare funzionamento dell’attività giudiziaria, che impone di rispettare i principi minimi di correttezza e lealtà, richiede la realizzazione di un evento implicante un nocumento concreto agli interessi della parte processuale difesa dal patrocinatore che si rende inadempiente ai suoi doveri professionali. (Sez. 6, n. 45059 del 28/01/2014, p.o. in proc. Rampellotto e altri, Rv. 260506).
3.3. Si tratta, inoltre, di un delitto di evento, segnatamente di danno, là dove, ai fini della relativa integrazione, postula che, quale conseguenza della violazione dei doveri professionali, si sia prodotto un nocumento agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità giudiziaria.
Il danno non deve intendersi in senso civilistico e dunque non è necessario che si verifichi un pregiudizio patrimoniale, potendo anche derivare dal mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici, anche solo di ordine morale, che avrebbero potuto conseguire al corretto e leale esercizio del patrocinio legale (Fattispecie in cui la condotta del professionista aveva determinato un allungamento dei tempi del processo penale, conclusosi con esito negativo per la persona offesa patrocinata). (Sez. 5, n. 22978 del 03/02/2017, Strammiello, Rv. 270200; ez. 2, n. 22702 del 20/05/2008, Fichera e altro, Rv. 240417; Sez. 6, n. 31678 del 28/03/2008, Baldi e altri, Rv. 240645).
Non è revocabile in dubbio che il ‘nocumento agli interessi della parte’ quale conseguenza del patrocinio infedele, costituente evento della fattispecie incriminatrice in argomento, possa sostanziarsi in un pregiudizio di natura processuale – consistente in un ostacolo alla possibilità di vedere riconosciuta la penale responsabilità dell’autore di un reato in danno della parte assistita e dei propri figli – nonché, ed a maggior ragione, nella esposizione propria e dei propri congiunti a nuove condotte lesive.
4. Tanto precisato in linea generale, non può non essere rimarcato come il caso sub iudice presenti connotazioni peculiari ed eccentriche rispetto al paradigma ‘classico’ del patrocinio infedele.
4.1. Ed invero, nella specie, il patrocinatore (cioè l’Avv. C. ) assiste R.F. in due procedimenti penali distinti, ma ‘a parti invertite’, dal momento che nell’uno – quello per maltrattamenti nei confronti del marito R.A. – ella figura quale persona offesa unitamente ai figli minori; nell’altro – quello per favoreggiamento personale in favore del medesimo R.A. – ella risulta indagata. La difesa da parte dell’Avv. C. di un soggetto, al contempo, persona offesa ed indagato in procedimenti ‘a parti invertite’ (a prescindere dall’opportunità di tale doppio patrocinio) impone nondimeno di valutare l’attività defensionale in ipotesi d’accusa integrante il patrocinio infedele, non come un tutt’uno, ma in relazione allo specifico procedimento nel quale essa si sia dispiegata.
4.2. Orbene, secondo quanto dato conto dai Giudici del merito cautelare, nel corso dell’intercettazione del colloquio fra i due coniugi R. eseguita lo stesso giorno dell’interrogatorio di R.F. dinanzi al P.M. in relazione al procedimento per favoreggiamento personale iscritto a suo carico, R.A. riferiva che il proprio avvocato e quello della donna ‘si sono messi assieme’ e aggiungeva che il di lei avvocato ‘dice che non devi parlare’ ‘quando ti chiedono se vuoi rispondere alla domanda’ ‘devi dire che tu parli con il tuo avvocato’. Non è revocabile in dubbio che nel colloquio si faccia un chiaro riferimento a pregressi contatti ed intese fra i legali dei due coniugi e che, per quanto più rileva, vi sia un’eloquente indicazione dell’Avv. C. a R.F. – sebbene veicolata attraverso R.A. – a non rispondere alle domande dell’inquirente. Non può, tuttavia, non rilevarsi come i suggerimenti dati dal patrono all’indagata si riducano ad una sollecitazione a non rispondere alle domande dell’organo dell’accusa, id est a tenere una condotta processuale perfettamente in linea con il diritto di difesa, che vede nell’esercizio della facoltà di non rispondere un’espressione del principio del nemo teneur se detegere, insuscettibile di per sé – in quanto costituente appunto esplicazione dello ius defendendi costituzionalmente garantito dall’art. 24 della Carta Fondamentale – di recare un qualunque danno, economico o processuale, alla patrocinata.
Manca pertanto nella specie il ‘nocumento’ alla parte patrocinata richiesto dall’incriminazione de qua.
4.3. Né può condurre a ritenere infedele il patrocinio la circostanza che siffatto suggerimento dell’Avv. C. avrebbe potuto comportare un nocumento agli interessi della stessa patrocinata e dei figli, nel parallelo procedimento per maltrattamenti in loro danno.
Nel sostenere tale assunto, la parte pubblica ricorrente opera invero una non compiuta valutazione della fattispecie concreta ed, in particolare, considera, ai fini dell’inquadramento giuridico, soltanto una porzione della fattispecie concreta: si concentra sul rapporto intercorrente fra patrocinatore e patrocinata nell’ambito del procedimento per maltrattamenti pendente a carico di R.A. (nel quale R.F. ed i lei figli figurano quali parti lese) e – di contro trascura l’ulteriore porzione del fatto, rappresentato dalla relazione defensionale intercorrente fra i medesimi soggetti nell’ambito del diverso procedimento – sia pure correlato (in senso atecnico) – a carico di R.F. per favoreggiamento personale. Relazione defensionale, quest’ultima, che pur snodandosi in parallelo rispetto alla prima, non può non avere, ai fini dell’inquadramento giuridico, una considerazione preminente rispetto all’altra tanto da lasciarla in ombra -, in ragione del fatto che l’atto processuale, rispetto al quale si sarebbe dispiegata secondo contestazione la condotta tipica del patrocinio infedele, si inquadra nell’ambito del procedimento nel quale R.F. figura quale indagata, e non nell’altro nel quale ella è persona offesa.
Ne discende che la violazione dei doveri professionali, da un lato, ed il nocumento agli interessi della parte patrocinata quale diretta conseguenza di tale violazione, dall’altro lato, devono essere apprezzati nell’ambito del solo procedimento per favoreggiamento personale.
4.4. Ciò posto, va dunque ribadito che il comportamento processuale dell’Avv. C. (ricostruito indirettamente dal tenore del colloquio fra i coniugi R. ) nel suggerire alla parte difesa di non rispondere alle domande dell’inquirente, risulta certamente coerente con il diritto di difesa e, dunque, non realizza un ‘nocumento’ agli interessi della patrocinata.
D’altra parte, rispetto all’atto processuale nel quale il difensore esercitava secondo la contestazione provvisoria – il patrocinio infedele, il suggerimento alla difesa di avvalersi della facoltà di non rispondere non si è tradotto in una contrarietà ai doveri difensivi, e ciò avendo riguardo tanto alle disposizioni che regolano il nostro processo penale, quanto alla deontologia professionale. Sebbene le modalità con le quali il difensore di R.F. svolgeva il patrocinio siano indubbiamente ‘anomale’ e censurabili – là dove per le comunicazioni con l’assistita sembrerebbe essere stato utilizzato, quale interprete, l’indagato di un reato rispetto al quale la propria patrocinata era persona offesa, per di più violazione dei limiti scaturenti dalla misura cautelare imposta allo stesso -, nondimeno l’esercizio dell’attività professionale e, segnatamente, le indicazioni sul comportamento processuale da serbare nell’imminente interrogatorio – sia pure impropriamente veicolate – non possono stimarsi contrarie rispetto ai ‘doveri professionali’ connessi al patrocinio della assistita in relazione allo specifico atto del procedimento nel quale ella figurava quale indagata, risultando anzi coerenti con lo ius defendendi.
4.5. Infine, non può portare a conclusioni diverse la circostanza che l’attività defensionale svolta dall’Avv. C. fosse preceduta da intese con il patrono della sua controparte Avv. S. in ordine alla condotta che R.F. avrebbe dovuto serbare nell’interrogatorio (significativa in tale senso è l’emergenza delle captazioni nelle quali l’Avv. C. , parlando con la propria assistita, riferisce che l’Avv. S. ‘ha detto che non devi rispondere’). Si tratta di condotta suscettibile di integrare una ‘collusione con la parte avversaria’ rilevante ai fini dell’aggravante speciale prevista dal comma secondo n. 1 dell’art. 380 cod. pen., che, nondimeno, presuppone che detto reato sia integrato (ma così non è nella specie per le ragioni sopra esposte).
4.6. Conclusivamente, nella specie, fanno difetto tanto l’infedeltà ai doveri professionali, quanto il nocumento agli interessi della parte assistita, il che esclude la materialità del reato in contestazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

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